Acerra: la rivoluzione in un seme. Così si difende la biodiversità


Acerra: la rivoluzione in un seme

di Marina Alaimo

“La rivoluzione in un seme” è il motto di Patrizia Spigno, responsabile scientifica dei progetti per la cooperativa ARCA 2010 di Acerra. Condiviso pienamente dall’intera squadra di lavoro impegnata nel recupero e la valorizzazione delle cultivar tradizionali di ortaggi regionali. Andare controtendenza è sempre un atto rivoluzionario, specie se il fine del proprio impegno ha un rilevante valore sociale e culturale. l’ARCA 2010, tra i numerosi progetti in atto, ha condotto un’importante ricerca sulla valorizzazione di numerose varietà di pomodorino del piennolo del Vesuvio e di pomodoro San Marzano sostenendo poi l’inserimento dei semi in agricoltura.

 

Lo stesso procedimento è stato applicato a numerosissimi altri ecotipi di ortaggi e legumi. Potrebbe sembrare una cosa banale, ma non lo è affatto. I nostri palati sono purtroppo omologati da una offerta di mercato globale e la possibilità di assaporare i prodotti tipici di un territorio si tramuta in un privilegio. La cooperativa è attiva dal 2012, fondata da un gruppo di ricercatori di EURECO (ex Cirio ricerche) e questo progetto è finanziato dalla Regione Campania. Nei circa 53.000 mq dell’azienda agricola sperimentale sono compresi i locali frigoriferi della banca del germoplasma delle varietà campane, proprietà della Regione, che lo distribuisce attraverso il piano rurale strategico 214 F1 agli agricoltori che fanno richiesta di adesione alla misura.

Grazie a questo piano sono stati coltivati tra il 2011 e il 2013 150 ettari e, considerando che ogni singolo agricoltore diventa custode del seme ed a sua volta lo moltiplica ogni anno, gli ettari coltivati sono molti di più. A questi si impongono i principi dell’agricoltura sostenibile al fine di garantire prodotti sani e rispettosi dell’ambiente. Tale progetto rappresenta una occasione unica per le aziende aderenti di essere competitive sul mercato e di garantirsi un adeguato reddito. I prodotti ottenuti sono di altissima qualità e particolarmente saporiti in quanto selezionati nel tempo dai contadini proprio perché più gustosi di altri.

E la richiesta sul mercato di ortaggi e legumi tradizionali è in costante crescita. Inoltre sono quelli che meglio si adattano ad essere coltivati sui territori di origine, quindi risultano più vigorosi e necessitano meno di trattamenti rispetto alle cultivar/ibridi standard. Nel campo sperimentale di Acerra da un paio di anni all’imbrunire sono tornate a brillare le lucciole, una luce di gradita speranza.

Un commento

  1. Molto puntuale e fecondo di considerazioni profonde l’incipit dell’ articolo: “la rivoluzione in un seme”. Ci indica con precisione il significato di rivoluzione, che non vuol dire semplicemente “cambiare” come viene oggi inteso nella vulgata corrente, essendo il vero significato “ritorno al punto originario” (rivoluzione dei pianeti ecc.). Che poi questo ritorno alle origini venga associato al “seme” è praticamente perfetto nel contesto del discorso in oggetto. In questo campo rivoluzione è tornare alla perizia incarnata nella intelligenza, nella dedizione e nel lavoro dei padri e delle madri, riprendendoci quello che è nostro è che ci è stato sottratto dalle multinazionali delle sementi e degli alimenti nella loro visione economica e schiavista. Con buona pace di quanti professano un animo ecologista ed ambientalista pur essendo, nel contempo, esegeti del pensiero illuminista prima e progressista in seguito, la quale li ha convinti della bontà della visione scientista ed econimicista che ci ha regalato questa stupenda merda consumistica servita in un vassoio che è rappresentato da questa “civiltà” cancerogena e radioattiva.

I commenti sono chiusi.