I migliori panettoni italiani? Venite pure in Campania e scoprite i magnifici sei


Anna Chiavazzo Il Giardino di Ginevra con i suoi panettoni

di Donatella Bernabò Silorata*

Non ditelo a un milanese. Vi sciorinerebbe almeno cinquecento anni di storia. Perché, a dire il vero, il panettone è nato in terra lombarda, all’epoca di Ludovico il Moro. Ma i pasticceri campani, negli ultimi anni, contendono ai colleghi del nord successi e riconoscimenti.

Come la giovane  Carmen Vecchioni di Dolciarte di Avellino il cui panettone figura nella top ten nazionale del Gambero rosso accanto a nomi del calibro di Morandin. E non è certo l’unica a far parlare di sé. Da Salerno a Casapulla, dalla Costa d’Amalfi alle pendici del Vesuvio, è tutto un fiorire di panettoni artigianali che i buongustai prenotano anche un anno prima.

È  la rivincita del fatto a mano sul prodotto industriale, del compro local sulla globalizzazione del gusto e del mercato. Perché il panettone campano innanzitutto si distingue per gli ingredienti. Non solo uvetta e canditi, ma fichi bianchi del Cilento, vino Pallagrello, creme di agrumi d’Amalfi, nocciole di Giffoni.  Eccole le varianti nostrane che appassionano i gourmand. Il panettone di Anna Chiavazzo per esempio è un capolavoro di pazienza e fantasia, impastato a mano con farina integrale, lievito madre e solo ingredienti di altissima qualità. Dal suo piccolo laboratorio, Il Giardino di Ginevra,  a Casapulla, in provincia di Caserta, escono non più di 400 panettoni l’anno.

In quel di Amalfi, Tiziano Mita tiene banco con la sua piccola Dolceria dell’Antico Portico.

In cima alle classifiche nazionali già da qualche anno figurano anche i nomi di Pasquale Marigliano, il maestro pasticcere che ha portato un po’ di Francia a San Gennarello di Ottaviano,

Alfonso Pepe

e Alfonso Pepe di Sant’Egidio del Monte Albino, nel salernitano, che da oltre vent’anni sforna panettoni buoni e naturali, senza alcun conservante, sia nella versione classica che nelle varianti golose al limoncello, ai fichi bianchi del Cilento, al cioccolato e, su richiesta, anche per celiaci. La ricetta che accomuna questi capolavori è la lunga lievitazione – più di trentasei ore – e l’utilizzo del lievito madre. Le varianti seguono estro e ricerca personale. Come quella di Pietro Macellaro, cilentano, 33 anni che è un caso a sé (www.pietromacellaro.it). Nella sua azienda agricola biologica a Piaggine, nel cuore del Parco nazionale del Cilento, produce le materie prime che utilizza per dare verve ai suoi panettoni. E che panettoni! Un trionfo di profumi, abbinamenti e consistenze: con le melanzane, il rosmarino, il peperoncino corno di capra Cilentano, la lavanda, gli agrumi, il burro di bufala. Per creatività e credo culinario – niente conservanti, né emulsionanti – è nell’aristocrazia dei panettoni. Ne sforna non più di 70 al giorno, per scelta. Dal nonno ha carpito i segreti della lievitazione naturale e con le sue confezioni strizza l’occhio al design ecosostenibile utilizzando cartone riciclato.

Per la prima volta ha partecipato alla due giorni milanese di Re Panettone, la manifestazione cult del settore che riunisce solo i 36 migliori pasticceri nazionali, portando a casa un successo clamoroso e i complimenti di chi di panettone se ne intende. Da cinquecento anni e più.
*Pubblicato su Repubblica il 21 dicembre

3 Commenti

  1. Per la verità manca anche Pasquale Marigliano . Forse però a parte Alfonso Pepe si è voluto dare spazio agli emergenti !

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