Il Concorso Internazionale Grenaches du Monde: come testare la qualità intrinseca e la duttilità di un vitigno


Postazione di degustazione

Postazione di degustazione

di Gianmarco Nulli Gennari

Essere coinvolto come giudice al concorso vinicolo mondiale “Grenaches du Monde” è senza dubbio un’esperienza altamente formativa. Obbliga ad allargare lo sguardo e ad abbandonare la prospettiva italo-centrica che giocoforza ti accompagna nelle abituali sessioni di degustazione. Tanto più quando il concorso in oggetto vede come protagonista un’uva e un vino che in Italia rappresenta un’esperienza consolidata e strettamente legata a un luogo di provenienza ben preciso, come è per il Cannonau della Sardegna, oppure riguarda situazioni recentissime e singolari basate su un prodotto di nicchia, raro, e ancora sconosciuto alla gran parte dei consumatori (come è il caso del Bordò marchigiano).

Badge identificativo

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La Notte delle Grenaches

La Notte delle Grenaches

Anzitutto è stimolante e istruttivo il confronto con gli altri giudici. Per dire, nel mio panel (ogni tavolo era formato da cinque componenti, il nostro ha giudicato 54 vini in due mattinate di assaggi) c’erano un sommelier coreano, un enologo spagnolo, un giornalista francese e un giornalista catalano di lingua ed origine francese, ma con base lavorativa a Barcellona.

I parametri, dicevo, si confondono, si rimescolano, perché dal vitigno Grenache o Garnacha nascono molti dei rossi più tipici della Catalogna spagnola (nella vasta area che circonda le città di Barcellona e Tarragona) e francese (in particolare nel Roussillon, dal mare alle pendici dei Pirenei). Per quelle zone la Grenache rappresenta un po’ quello che è il Sangiovese nella nostra Toscana: si trova dappertutto e dà vini ottenuti sia in purezza che in assemblaggio con altre uve. La Sardegna, dove il Cannonau viene coltivato ovunque, dal Golfo dell’Asinara fino ai dintorni di Cagliari, resta un caso a parte, santificato con orgoglio da alcune recenti scoperte scientifiche che sostengono, contrariamente a quanto era stato stabilito in precedenza, che è proprio dall’isola dei Nuraghi che il vitigno si sarebbe propagato lungo le coste settentrionali del Mediterraneo.

Al netto di tali questioni di primogenitura, ho constatato nella mia esperienza di giudice di “Grenaches du Monde” la qualità intrinseca e la duttilità di un’uva che, comprese le varianti a bacca bianca, Blanc e Gris, sa dare vini validi, spesso buoni, a volte perfino eccezionali, in uno spettro di tipologie che va dalla bollicina al bianco fermo, dal rosso giovane a quello da invecchiamento, fino ad arrivare a straordinari flaconi di vini da dessert o meditazione, a volte invecchiati per decenni.

Sala di degustazione Grenaches du Monde

Sala di degustazione Grenaches du Monde

La Notte delle Grenaches, splendido evento aperto anche al pubblico, dove è stato possibile provare tutti i vini iscritti al Concorso, mi ha dato l’opportunità di completare il quadro degli assaggi.

Qui di seguito faccio un breve elenco di prodotti che mi hanno sorpreso, rallegrando il mio palato e allargando i miei orizzonti. Come vedrete si tratta di vini diversissimi tra loro, con un doppio filo conduttore: il vitigno e il terroir del Mediterraneo.

Chrysopée Collioure Blanc 2016 – M. Chapoutier, Domaine del Bila Haut (Grenache Gris 90%, Grenache Blanc 10%). Un bianco straordinario da un produttore noto anzitutto per i suoi rossi del Rodano (Hermitage in primis), approdato da una ventina d’anni anche nel Roussillon. Profumi agrumati (lime, buccia d’arancia), di pane tostato, pesca e albicocca, pepe bianco, frutta secca. Sorso assai articolato, dove la mineralità incrocia una struttura considerevole, sale e freschezza donano sapore e agilità nonostante l’affinamento di sei mesi in legno piccolo (e i due mesi di bâtonnage sulle fecce nobili). Persistenza lunghissima e speziata. Un vino che fa capire come i grandi bianchi francesi non nascono necessariamente solo dallo Chardonnay della Borgogna.

Tziu Simone Rosato Barbagia Igt 2017 – Francesco Cadinu (Cannonau 100%). Mamojada è ormai da tempo la zona di maggior fermento per il Cannonau sardo: in questo piccolo centro della Barbagia sono nate negli ultimi anni diverse cantine nuove guidate da una nuova generazione, che ha puntato tutto su tradizione e qualità. Uno di questi è senz’altro Francesco Cadinu, che ha deciso di affiancare al suo Cannonau Perdas Longas questo bellissimo rosato, che in realtà appartiene in tutto e per tutto alla storia mamojadina: vinificato, com’è d’uso da queste parti, con un leggero residuo zuccherino, odora di rose e zucchero filato, lamponi, fragoline di bosco. In bocca lo zucchero si sente ma non ostacola la piacevolezza di beva, grazie a un’acidità sostenuta e alla fragranza del frutto. Goloso, gastronomico, pericolosamente compulsivo, con chiusura saporita e complessa. Da una vigna di settant’anni.

Émotion Collioure Rouge 2016 – Clos Castell (Grenache Noir 80%, Carignan 20%). Jean Christophe Jose ha abbandonato una ventina d’anni fa la professione di chimico per dedicarsi interamente alle vigne di famiglia… e ha fatto bene, a giudicare da questo bellissimo rosso che nel mio personale cartellino di giudice ha ottenuto il punteggio più alto nella due giorni del concorso! È un vino che incrocia alla perfezione modernità e rispetto della tradizione, ottenuto da vecchie vigne e affinato per due anni in barriques nuove (che non si sentono…). Naso di frutti rossi e neri, spezie, pane tostato, dal palato elegantissimo, segnato da un tannino finemente estratto e da una struttura non enorme ma di buona consistenza. Bel finale fresco e succoso, notevole potenziale evolutivo e un rapporto qualità-prezzo da applausi (non più di 20 euro la bottiglia).

Wo Tulbagh 2017 – Brenn-o-kem (Pty) Ltd t/a Waverley Hills (Grenache Noir 87%, Shiraz 8%, Mourvèdre 3% Viognier 2%). Vino singolare, che ha colto di sorpresa il nostro tavolo (siamo rimasti a bocca aperta quando abbiamo letto che veniva dal Sudafrica) e ha conquistato gli appassionati, visto che durante la serata finale, con tutti i vini del concorso a disposizione del pubblico, è stata una delle prime bottiglie a svuotarsi. Giocato su note evolutive, alla cieca poteva confondersi benissimo con un Cannonau della tradizione… E invece il suo artefice, Johan Delport, ha la sua base a un centinaio di km da Città del Capo ed è stato soprannominato “The Godfather of Grenache” perché per primo, nella regione, ha vinificato il vitigno in purezza invece che in assemblaggio com’è uso locale. Colore granato molto scarico; olfatto di mela matura, fragola, spezie chiare; sorso fresco, leggero, davvero scorrevole e goloso, dal tannino setoso e affascinante. E io che credevo che il Sudafrica fosse solo Pinotage e Cabernet!

Rivesaltes Ambré Le Barral 1988 Vin Doux Naturel – Domaine Comelade (Grenache Gris, Maccabeu). Un vino magico che appare inaspettatamente in un pomeriggio dedicato alle vigne e ai vini di Maury, denominazione fondata sui rossi dolci fortificati. E invece, nella piazzetta dove i produttori hanno allestito i loro banchetti per i giudici del concorso in visita, la bottiglia che mi rapisce di più è questo bianco di oltre trent’anni, complesso, delicato, con tenui note ossidative e di nocciola, caramello, caffè, fichi secchi, frutta disidratata. I sedici gradi alcolici non si sentono, l’acidità garantisce equilibrio ma resta discreta, quasi a non voler disturbare la corrispondenza d’amorosi sensi tra dolcezza e palato (e cuore) del degustatore. Eccezionale rapporto qualità-prezzo (circa 18 euro in cantina).