Il Falcone 1986 di Rivera e il fascino dei vini invecchiati


Il Falcone 1986, Rivera

Un bel ragù da Cantina Astroni come è tradizione che il Covid aveva interrotto, nei giorni più freddi dell’anno, se di freddo si può parlare a dieci gradi. Molti hanno portato qualche bottiglia oltre i deliziosi vini da Falanghina e Piedirosso dell’azienda di cui tanto abbiamo scritto nel corso degli ultimi vent’anni. Fra i tanti vini ho preferito questo portato dall’amico Pico, non perchè fosse il più buono, ma perchè era il più antico.
Si tratta di un Nero di Troia del lontano 1986, l’anno della crisi del metanolo, realizzato dall’allora giovanissimo Severino Garofano chiamato come consulente dall’azienda fondata da Sebastiano De Corato a Castel Del Monte nell’immediato secondo Dopoguerra.
Mi sono chiesto questa mia fissazione per i vini invecchiati da cosa nasca. Beh, in realtà il racconto del tempo è l’essenza stessa del vino, è il fattore che lo differenzia dalle altre bevande e che lo rende affascinante oltre che prezioso visto che le bottiglie più costose della Terra hanno sempre una certa età. Il valore del tempo è tanto più importante adesso, in una società di radicali trasformazioni che durano lo spazio di una generazione, in cui si cresce nel mito della velocità e la memoria è quella di una farfalla perchè dura solo la giornata dei social per poi andare oltre, tanto è vero che viviamo di continue scoperte e competizioni a chi ha fatto prima qualcosa in qualsiasi campo.
L’importanza del tempo invece fa la differenza, sarà per questo che finchè l’età me lo ha consentito ho sempre frequentato persone più grandi di me, assetato di rubare quanto più possibile dalla loro esperienza, avido dei loro racconti, affamato di vedere il mondo con i loro occhi e sentirlo con il proprio udito: pensate al rumore delle carrozze, tanto per dire, gli odori dei negozi prima che gli scienziati pazzi delle multinazionali imponessero un cibo asettico e inodore come sinonimo di sicurezza.
Il vino è un amico che ci racconta il mondo passato, gli anni trascorsi ed è questo, precisamente il suo fascino.
Il Falcone per esempio ci racconta una modernità inimmaginabile, come tutti i grandi degli anni ’80: il suo frutto era ancora integro, la ciliegia sbuffava fra note di cenere, legno in perfetto equilibrio, tannini levigati dal tempo regalavano sostanza e bevibilità al sorso. Proprio la discriminante nell’uso del tempo fa la differenza fra una azienda buona e una grande cantina, perchè il tempo richiede una virtù preziosa ma in via di estinzione: la pazienza.
Cosa c’è di più efficace di una vendetta che, come si diceva prima, è un piatto da servire freddo? O di un regalo fatto in ritardo ma pensato?
Il vino evoca il tempo, ma anche i luoghi. Impossibile bere questo Il Falcone senza pensare all’inquietante e travolgente castello ottagonale di Federico II che sembra pensate da un extraterrestre.
Ovviamente ci devono essere delle premesse che rispondano ai canoni dell’analisi sensoriale. Immaginate la nonnina di 90 anni tonica, che ha battuto il record dei 200 metri in 54 secondi. La sua storia non è più interessante da raccontare di un giovane che impiega la metà del tempo? Certo dunque che un vino deve conservare la freschezza, non essere ossidato e maderizzato, ma proprio perchè arriva integro all’appuntamento dello stappo è di sicuro un grande vino.
Non il più buono, ma il più affascinante.

www.rivera.it

 

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