Il Moscato della Basilicata


C’è un vino capace di mettere d’accordo tutti, persino bevitori e astemi, raffinati sommelier e dilettanti, grandi e piccini, e che forse proprio per questo motivo è snobbato dalla critica specializzata da cui è stato relegato nel dimenticatoio. Parliamo ovviamente del Moscato, diffuso in tutta Italia e da sempre amato dai contadini per la ricchezza aromatica e il gusto dolce capace di regalare allegria nei giorni di festa e ristorare dopo una giornata passata nei campi.Invece no, rosso, rosso e ancora rosso. Sembra proprio che nel nostro paese i produttori non debbano impegnarsi in altro per dimostrare di essere bravi e per ambire a scalare le classifiche giornalistiche-pubblicitarie. Sulle tracce di Federico II abbiamo riscoperto il Moscato della Basilicata di Armando Martino, la grande casa vinicola di Rionero in Vulture che più di ogni altra è riuscita a commercializzare l’Aglianico del Vulture. Il padrone di Mediobanca Enrico Cuccia lo scoprì per caso in un negozio di Milano e da quel momento se ne è sempre fornito regolarmente dal rappresentante in Lombardia, fino a quando almeno le consegne non divennero sempre più complicate per motivi di sicurezza: fu sentendo il lamento del suo uomo in Val Padana che Martino seppe di avere un cliente un po’ speciale.Ma torniamo al Moscato, un bianco abbondantemente sotto i 5 euro in uscita dall’azienda, mosto parzialmente fermentato dove l’alcol non raggiunge i 6 gradi: al naso è immediatamente riconoscibile l’uva moscato, l’aroma è intenso e persistente e in bocca mantiene le promesse, anzi, di più: prevale la nota di freschezza e di eleganza tipica dei bianchi lucani del Vulture dove il suolo vulcanico, le escursioni termiche, le vigne piantate in collina, il freddo invernale e il fresco estivo, sono capaci di regalare grandissimi vini capaci di mettere in riga la maggior parte di quelli delle altre regioni. Difatti anche il Greco di Armando, unico esempio di questo vitigno a bacca bianca vinificato in purezza da un produttore lucano, conferma questa regola poco conosciuta dell’Appennino Meridionale e ribadita nella nostra tavola della Festa della Mamma dove il vino piacque a tutti.