Il Moscato di Saracena


Il finale di Pasqua, ma in realtà ogni fine pasto, può essere chiuso con un pensiero a Saracena, un comune a 600 metri nel Parco del Pollino, non lontano da Castrovillari: una comunità di 4000 persone il cui reddito è prevalentemente agricolo, segnatamente con la produzione dell’olio che, tramandata da padre in figlio, è effettuata con metodo tradizionale, con concimazione biologica. Oggi è parte di Città Slow, Città del Vino e Città dell’Olio, tre circuiti che hanno contribuito a riqualificare ulteriormente l’immagine diffondendola fra il pubblico degli apapssionati.

Nasce qui, siamo in provincia di Cosenza, uno dei pochi vini italiani adottati da Slow Food come presidio per via di un procedimento assolutamente particolare, le cui origini risalgono, dal punto di vista documentale, almeno al ’500.

I più esperti conoscono Viola (www.cantineviola.it) e Feudo dei Sanseverino (www.feudodeisanseverino.it) ben posizionati sulle guide specializzate 2008, segnaliamo Gallicchio ([email protected]) anche lui aderente al Consorzio Calabria Citra presieduto da Domenico Stancati. Nel blend rientrano la guarnaccia, la malvasia, l’odoacra, quest’ultima in proporzioni minori.

Ma la vera particolarità è il metodo: dopo la raccolta l’uva moscato è appesa a graticci ombreggiati e fatto appassire per 20 giorni circa. A questo punto, manualmente in stile francese vengono selezionati gli acini migliori, eliminando quelli con muffe indesiderate e altri difetti. Segue una pigiatura estremamente soffice, a mano, da cui si ottiene il secondo mosto. I due mosti, quello «passito» e quello «cotto» ottenuto dalla bollitura delle altre uve sino alla riduzione di un terzo, vengono poi uniti provocando una fermentazione assolutamente naturale (con i lieviti già presenti nelle uve) che dura fino a due settimane. Dopo due o tre travasi e circa sei, sette mesi di tempo si arriva all’imbottigliamento. Il vino è color ambra, intensamente profumato, elegante in bocca e con una discreta persistenza. Non è però particolarmente adatto all’invecchiamento, non supera i due anni. Al palato mantiene eleganza e finezza, discreta persistenza, buon equilibrio, con una piacevole nota amarognola.

Una vera chicca, insomma, nata dalla necessità di vinificare insieme uve con diversi tempi di maturazione (il moscato è molto precoce, soprattutto al Sud). Di necessità, virtù.

Il Mattino, marzo 2008