Il Taurasi secondo Caggiano


di Alessandro Marra

Antonio e Alessandro

Foto Domenico Minicozzi

UN GRANDE UOMO, UNA GRANDE STORIA, UN GRANDE VINO

Credetemi: non è affatto facile raccontare con le parole ciò che ho vissuto in una fredda giornata trascorsa in visita alla “Cantine Antonio Caggiano”.
è marzo: insieme a due amici, arrivo a Taurasi nel primo pomeriggio. Raggiunta la contrada Sala (ove ha sede l’azienda), incrociamo un uomo a piedi, sciarpa rossa al collo e “coppola” in testa; ci scruta, come spesso accade nel paesello con i “forestieri”. “Benvenuti! Vi stavo aspettando”.
Antonio Caggiano ci conduce subito all’interno della sede aziendale: da una parte, il punto vendita; dall’altra, l’accogliente sala di degustazione, una bella credenza restaurata con le bottiglie storiche e i riconoscimenti ottenuti dai vini affissi al muro.
Rimaniamo attratti da una serie di fotografie in grande formato, nascoste in un angolo.
UN GRANDE UOMO.
Antonio – un passato da geometra – è un eccellente fotografo oltre che uno straordinario vigneron. Le sue fotografie trasudano la stessa passione che c’è nei suoi vini. Non nasconde la sua emozione mentre le mostra a noi, condividendo quei ricordi ancora così limpidi nella sua mente.
La foto scattata nel deserto, a “Bechar” (la cittadina algerina visitata nel corso del suo viaggio nel Sahara) e il suo “Fiano di Avellino”; “Devon”, l’isolotto di ghiaccio raggiunto nel corso della spedizione al Polo Nord (dove incontrò un orso polare), poi divenuto il nome del suo “Greco di Tufo”.
“Basta parlare di fotografie. Siete venuti per il vino, no?!” Antonio ci precede nella vicina sala dove ha allestito una “vigna fotografica”. Tralci, grappoli, terreni: un vero e proprio studio della terra e della vite.
UNA GRANDE STORIA.
La costruzione della cantina cominciò nel 1991 (due anni dopo il “Taurasi” divenne DOCG); il progetto – elaborato dal figlio Pino – prevedeva in larga parte l’utilizzo di materiali di recupero, di ciò che la gente si era affrettata a buttare in discarica dopo il terremoto dell’80. Oggi, si sviluppa su cinque piani ed è ancora in fase di completamento.
Antonio ci fa strada nel “cuore” dell’azienda: migliaia di bottiglie di “Taurasi Vigna Macchia dei Goti”, di “Salae Domini” (quello il nome del vecchio vigneto di famiglia e dell’odierno agriturismo) e di “Taurì” (l’aglianico di Taurasi “giovane”) che riposano nelle nicchie ricavate tra le pareti di pietra e di tufo; qua e là le etichette storiche dell’azienda e le bottiglie destinate alle esportazioni. Dovunque barriques, vecchi attrezzi contadini. Non un angolo, non una parete ove non sia possibile scorgere utensili o arnesi per la viticultura, presepi di legno, opere d’arte in vetro o ceramica eseguite da alcuni suoi amici artisti. è sincero quando parla della sua intenzione di creare un vero e proprio museo del vino e dell’arte vitivinicola.
UN GRANDE VINO.
Poi, la parte moderna dell’azienda, quella destinata alla vinificazione, all’imbottigliamento e all’etichettatura. Le vasche d’acciaio per la vinificazione del “Fiagrè” (blend di Fiano di Avellino e Greco di Tufo) e tutti gli altri macchinari d’avanguardia.
Eh sì, perché – Antonio ne è sicuro – “per fare un grande vino c’è bisogno della compresenza di più fattori: la terra, con le sue caratteristiche morfologiche; l’andamento climatico, con il susseguirsi delle stagioni e i fenomeni atmosferici; l’uva, con la perfetta cura dei grappoli sì da assicurarne una perfetta maturazione. E l’uomo, con le sue capacità e competenze tecniche, supportate dalla tecnologia”.
Ritornando dai locali di vinificazione, ripercorriamo le fasi della produzione del “Taurasi”: le uve – raccolte a mano – vengono diraspate e pigiate; poi sottoposte a fermentazione con macerazione intensa, quindi a fermentazione malolattica. Infine, la maturazione in barriques di rovere francese Troncai, Center e Vosges per un periodo di 12-18 mesi (l’affinamento obbligatorio previsto dal disciplinare è di 3 anni).
Torniamo nella sala di degustazione per fare qualche scatto con lui e con le bottiglie storiche dell’azienda. Non senza emozione ammiro tra le mie mani la prima bottiglia di “Taurasi” prodotta nel 1994, con la dedica personale a firma del prof. Luigi Moio.
Ci dona una bottiglia di “Vigna Macchia dei Goti 2003”, ottenuto dalle uve della vigna che si scorge in primo piano dalle ampie vetrate dalla sala: il vero “Taurasi”, il “Taurasi” secondo Caggiano!