Improvvisazione, millantato credito e tanta ignoranza: verità scomode sul giornalismo gastronomico al capolinea tra una pacca sulla spalla e un pranzo gratis per fare fumo negli occhi ai clienti


di Marco Contursi

Questo è un pezzo “cattivo” poiché dice una verità scomoda, che tenevo da tempo nel cassetto e che ora tiro fuori per due avvenimenti che mi hanno spinto a questa decisione:

  • Nei commenti a un mio recente pezzo, sui ristoratori che lodano chi li adula, Antonio Scuteri, responsabile Repubblica Sapori, faceva notare come ad alimentare il fenomeno ci fosse anche l’opera di addetti stampa e simili che organizzano pranzi a scrocco, nei locali di cui si occupano della comunicazione e/o immagine, per blogger anche di infima categoria, pur di mostrare ai loro clienti (ristoratori, pizzaioli ecc) articoli zeppi di lodi, che forse leggeranno in pochissimi.
  • In occasione di un evento, un produttore mi si è avvicinato e mi ha confessato che non ne può più di sedicenti esperti che scrivono del suo o di altri prodotti senza capirne un acca.

Questi due avvenimenti, mi ha dato lo sprint per aprire un pezzo che ho nel cassetto da molto e che farà storcere più di un naso, ma adesso è veramente ora di dire basta a una deriva palese della comunicazione gastronomica.

Lo dico subito: il 70% di chi scrive di cibo, sia come recensore che come addetto stampa, non capisce una cippa. Non ha le conoscenze né le competenze per farlo né cerca di averle e crede di ovviare con campagne di immagine massive o altri modi che però non celano l’incompetenza.

E parlerò per chiari esempi, omettendo solo i nomi per carità di patria.

Qui non farà la differenza se chi scrive sia un blogger o un giornalista, visto che ormai un patentino non si nega a nessuno.

E ora facciamo gli opportuni distinguo:

1) Giornalisti che parlano di cibo, soprattutto di diete e di proprietà degli alimenti, su settimanali e mensili: dovrebbero essere i cosiddetti giornalisti scientifici ossia specializzati nella divulgazione scientifica. Molto spesso purtroppo scrivono sciocchezze. Un esempio, su uno dei  più diffusi settimanali italiani, da 1 milione di copie, leggendo la rubrica di cucina e alimentazione, più volte ho trovato errori grossolani, tipo che l’anguria è un frutto ricchissimo di zuccheri (ne ha meno di una mela), o che le uova vanno lavate con il sapone, mentre il Reg-CE-589-2008 dispone l’esatto contrario. All’inizio ho scritto un paio di volte al Direttore, facendo notare gli errori, poi mi sono rotto e salto la lettura della rubrica, pur continuando a comprare il settimanale. Resta il fatto che 1 milione di persone legge notizie errate sul cibo. E anche sui quotidiani, spesso non viene fatta una selezione attenta e deontologicamente ineccepibile delle persone che scrivono di cibo.

2)Redattori di guide ai ristoranti e simili
Qui, almeno per il passato, non c’era una competenza specifica, soprattutto per quel che riguarda le materie prime. Spesso si trattava o tratta di professionisti di altri settori (notai, avvocati, medici) appassionati di cibo e con la possibilità economica di girare tanti ristoranti, che da semplici avventori si  trasformavano in recensori. Non è un mistero che un notaio era al vertice della guida del Gambero, come pure alcuni ispettori di altre guide che conosco, nella vita fanno altro, né mi risulta che abbiano mai fatto un corso di degustazione di olio, salumi o formaggio in vita loro. La loro è stata una esperienza sul campo, utile sicuramente ma non esaustiva per diventare esperti a 360 gradi.

Questo perché quando c’è stato il boom delle guide, mancava una formazione univoca e chiara e quindi ognuno ha fatto un po’ come voleva. C’è chi prima di scrivere o in corso d’opera si è formato a proprie spese e chi invece si è ritenuto capace di giudicare per scienza infusa.

Sia chiaro, anche se a molti non piace sentirselo dire: se non hai mai studiato le materie prime, sarai sempre mancante di qualcosa nel giudicare un piatto.

Poiché anche il cuoco migliore, se ha usato ad esempio un olio rancido, farà uscire un  piatto difettato, solo che chi lo giudica non è in grado di accorgersene (capitato in due locali, di cui uno stellato).

La materia utilizzata viene prima delle tecniche di cucina, e questo purtroppo a molti risulta ancora difficile da comprendere.

Io posso fare un impasto di pizza ottimo ma se sopra ci metto un prosciutto crudo estero che puzza o un olio difettato, quella pizza è uno schifo. E i prosciutti cotti e crudi che usa almeno il 70% di pizzerie e rosticcerie, sono di bassa qualità. Ma chi giudica, sa riconoscere un prosciutto cotto ricomposto? Un olio rancido o uno spagnolo da picual (80% di quelli nei supermercati), un corbarino da un datterino?…..NO!!!NO!!!NO!!!.

L’ho detto e lo ripeto: chi scrive di arte, di salute, di scienza, si documenta e studia, perché chi scrive di cucina dovrebbe poterlo fare così, dall’oggi al domani, senza un minimo di studio? Forse perché tutti dicono che sanno mangiare? Siamo un popolo di esperti di calcio e di cibo perché nati in Italia? Non scherziamo.

3) Guide di settori determinati (vino, salumi, birre…).
La situazione, almeno per birre e vini è migliore, perché solitamente, chi ne scrive ha fatto corsi di degustazione e quindi usa un linguaggio tecnico e segue delle regole universali di degustazione. Meno bene il discorso per i salumi, se mi tocca leggere che la persona che a capo di una delle guide più “autorevoli di settore” parla di lunga stagionatura in cantina per un prosciutto cotto. Una affermazione che non merita commenti. Eppure la persona in questione è ritenuta una autorità del settore, almeno per il gruppo nazionale per cui scrive…..

4) Blogger, uffici stampa, agenzie di comunicazione e affini: Qui la cosa si fa ridicola e a me girano le scatole davvero. Tutti scrivono di tutto e vale la regola dello “scribo ergo sum”. E se un occhio esperto, nota sciocchezze allucinanti, per il lettore medio, sono invece tante verità, per il solo fatto che vengono scritte magari pure su blog a cui collaborano pure penne autorevoli.

E’ tutto un immenso calderone, e a tutti questi personaggi non passa neanche per l’anticamera del cervello di studiare un po’.

Un esempio? A Napoli parte a breve un corso di assaggio dei salumi organizzato da me come referente Onas e con docenti di tutta italia, ad un costo contenuto di 150 euro. Ho mandato la notizia ad oltre 50 tra titolari di gastronomie rinomate, di wine bar che puntano sui taglieri di salumi e formaggi, a blogger e giornalisti che scrivono di cibo, spesso in modo errato proprio sui salumi. Sapete quanti si sono iscritti? ZERO!!!! I 37 partecipanti sono perlopiù semplici appassionati, o ragazzi volenterosi come i due commessi del reparto gastronomia di un supermercato che, a proprie spese, fanno quello che dovrebbe far fare loro l’azienda, ossia formazione.

Cioè, per capirci: 2 commessi fanno il corso e tutti questi blogger e esperti titolari di gastronomie no? Il dato si commenta da solo. Se però poi, uno sotto i loro articoli fa notare le cazzate scritte o quando siede nei loro locali le mediocrità passate per eccellenze, poi si offendono.

Questo perchè vige la regola che l’apparenza conti più della sostanza, perché come dice Edmund Burke “L’umanità è una mandria di esseri che devono essere governati con la frode, l’inganno, e con lo spettacolo”.

Come spiegarsi sennò  il caso del produttore di salumi che decide di affidarsi ad una agenzia di comunicazione per pubblicizzare la differenza dei propri prodotti da quelli degli altri, senza far prima provare questi prodotti a chi degusta salumi in modo professionale? E soprattutto senza controllare l’etichetta dei propri salumi che non è a norma di legge. Ma all’agenzia di comunicazione questo non interessa, come non interessa farsi una formazione specifica prima di pubblicizzare un prodotto, quindi o o salumi o formaggi o panini o bistecche o pizze, tutto si pubblicizza in modo uguale, con video commoventi  e slogan accattivanti, e chissenefrega se poi quei salumi recano una dicitura in etichetta che è ritenuta errata per la legge italiana. Conta cioè raccontare una favola, ad adulti che, ancora credono alla favola del contadino che accarezza il maiale ogni mattina o dei polli allevati a manna celeste e rugiada, quando la realtà di una attività commerciale che lavora, è fatta di numeri che non si soddisfano con le chiacchiere. “Le chiacchiere fanno e chierchie”, dicevano gli anziani.

Ma posso io sentire un tizio che parlando in un locale di uno jamon iberico de bellota (prosciutto patanegra per capirci), racconta la storiella che i maiali sono massaggiati uno ad uno “come fanno coi manzi di Kobe” e che vengono allevati a 2000 metri d’altitudine?

La cosa assurda è che c’era un pubblico che lo ascoltava estasiato, perché né a quel grandissimo “esperto”, nè al titolare del locale che l’ha chiamato, nè alla utenza del locale interessa capirne davvero di quel prosciutto, ma solo ascoltare una favola. Ma a sto punto compratevi un bel libro di Esopo, almeno in quelle favole c’era un insegnamento.

O ancora il pizzaiolo che di prodotti ne capisce come io di matematica   e prima mi chiede consigli e li ha, gratis, poi non li segue e mette in carta cannonau a prezzi folli, apre quindi, con un rappresentante che gli ha venduto l’impossibile, e infine si rivolge prima a un consulente a cui racconta di soldi chiesti, non si sa da chi, per farlo uscire su dei blog, poi a una agenzia di comunicazione famosa nel settore, e di certo non economica, per pubblicizzare cosa? Un  menù che, se è quello dell’ultima volta, era una accozzaglia di presidi, prodotti dop, con prodotti di cash, e olio sufficiente, messi a caso? Ma l’importante è fare 10mila like, non migliorare la propria offerta e poi pubblicizzarla.

Dico io: vuoi fare il blogger di cibo? Vuoi fare l’addetto stampa di una realtà del food? Vuoi curare l’immagine e la comunicazione di un artigiano del gusto? Diamine, studia quello di cui ti occupi, sennò spari solo schiocchezze.

Dico io: sei un appassionato di cibo e ti piace girare per locali e spendere così i tuoi soldi e il tuo tempo libero? Perfetto, studia così non ti fai fregare dal primo imbonitore che ti vende un jamon de cebo per un de bellota e ti frega i soldi o ti mostra il video-fiaba dei maiali che vivono bradi in un prato inglese più ordinato di quelli di Buckingham palace, quando un suino all’aperto fa più danni di un escavatore.

La comunicazione, oggi più che mai, richiede competenza della materia che si va a trattare e non una sterile applicazione di modelli validi urbi et orbi, almeno per fare la differenza e non usare l’utenza come un branco di pecore che si muove al fischio del pastore.

Ma al peggio non c’è mai fine e sono sicuro ne vedremo ancora delle belle.

p.s. ogni riferimento a persone o cose NON è puramente casuale. Molti si complimentano con me in privato quando dico o scrivo queste cose, se più persone del settore si esponessero, forse qual cosina cambierebbe, ad iniziare da quei ristoratori o produttori che criticano in privato chi scrive di loro, accusandoli di scarsa competenza, ma sono pronti ad applaudire se gli stessi ne scrivono bene, perché una lode, anche se da un incompetente fa sempre piacere riceverla. Ma a ben pensarci, è come se un cieco ti dice che sei bello…..cui prodest?

14 Commenti

  1. Bravo Marco. Posso testimoniare con ulteriori testimoni la storia dei soldi presunti per essere pubblicati visto che è storia cje ti ho raccontato proprio io in quanto capitata a me personalmente. Presunti perché nella realtà quelli con un reale ritorno non si pagano. Nemmeno con la magnata a scrocco. Ma questa è una favola ormai difficile da sconfessare.
    Per il resto siamo in linea su tutto.
    Si affonda in un mare di beata crassa ignoranza dalla quale nessuno sembra voler emergere e sguazza felice come il maiale nel fango.
    Inutile che ti racconti nella mia carriera di docente di mucche con ABS o di ogm con il cromosoma del parassita x per evitare che il frutto sia attaccato.
    Il food attrae e agli occhi di molti sembra la via per i soldi facili.
    Meno male. Prima passano loro e poi mi trovo i clienti alla porta. Mai proposto i servizi della nostra agenzia. Non abbiamo commerciale. ;)

  2. Ho letto l’articolo, e da semplice appassionato di cucina e di buon cibo, dico umilmente che è la sacro Santa verità. Finalmente un articolo che mette in risalto quella che è la vera realtà di esperti blogger, giornalisti gastronomici, autorevoli rappresentanti di guide gastronomiche e ristoranti stellati. Grazie e grande Sig. Marco Contursi.

  3. Bravo Contursi.ma, lo so che è difficile, bisogna cominciare a fare i nomi, se no la Sua “denuncia” sarà poco efficace. Ricorda il “ti vorrei morto” di Sgarbi al suo maestro Zeri? Sembrò folle, invece fu coraggioso e il caro Vittorio diede avvio alla sua formidabile carriera. Chi cerca la verità ed è vicino al cittadino-consumatore non potrà non avere consensi e stima.

  4. Gentile Bruno, spero che ancora qualcosa cambi, poi quando avrò perduto anche la più minima speranza, ci sarà la fase dei nomi e degli attacchi frontali.Ma siamo sicuri che il cittadino capirebbe? o segue chi gli fa credere la favola dei polli allevati a manna e rugiada?

  5. “A volte la gente non vuole ascoltare la verità perché non vuole vedere le proprie illusioni distrutte.”
    Caro Marco la verità non la vuole sentire nessuno, soprattutto un ristoratore, e lo dico in quanto tale… E’ così bello illudersi di fare tutto bene :)
    Oggi le persone vogliono seguire gente su instagram che fanno vite perfette, non si svegliano mai con un capello fuori posto, sono sempre felici. E pizzaioli che dalle foto sembrano sempre avere mille persone nei locali e non bruciare mai una pizza. E chef con una tale voglia di apparire e di essere ad ogni manifestazione che ti viene da dire: che bravo, avrà formato persone così capaci da poter cucinare al posto suo.
    Oggi la vita è un’illusione, come questo tuo pezzo, che non toccherà minimamente le persone di cui parla, il dubbio pervade solo te, loro sono così dannatamente convinti…

    1. I processi evolutivi dei consumatori sono certo graduali e a volte contradittori ma, inarrestabili. E’ compito delle avanguardie coraggiose tracciarne i sentieri e le direzioni. Ce lo insegna la storia. Penso a come era la ristorazione 40 anni fa in Italia e in CAMPANIA. Forza Marco

  6. Caro Marco, come tu già sai, l’uomo per vivere deve pur guadagnare qualcosa, e in mancanza di una professione come la si immagina ci si lascia andare in quelle opportunità che il mercato offre con il minor sforzo possibile creando così fenomeni di tendenze.

    Quindi, ecco che in un’annata spuntano più comunicatori che funghi (solo perché uno sa parlare, è convinto di saper comunicare).

    Viviamo in un “mondo” dove tutti si improvvisano su tutto, da parte dei ristoratori molti approdano in questo settore senza conoscere le reali peculiarità di questa attività (muratori che aprono locande, imprenditori edili che a malapena sanno che differenza passa da un ristorante e una trattoria si avventurano nel mondo della gastronomia di alto livello, e potrei continuare all’infinito), nel mondo della comunicazione invece basta che uno legga qualche articolo in rete per eleggersi a “conoscitore esperto”, spesso senza verificare minimamente l’attendibilità della fonte informativa.

    In un certo qual modo la maggioranza di noi sono attratti da ciò che io chiamo “fascino della mediocrità”. Per fare le cose per bene occorre che ci si impegni molto, a volte anche oltre l’immaginabile. Già solo l’impegno cognitivo nel mettere a fuoco ciò che occorre fare scoraggia dall’agire e quindi si sceglie la via più facile, ovvero la sufficienza, la mediocrità.

    La causa di quanto contesti caro Marco, come tu già sai, prende forma da alcune dinamiche di una certa realtà, dove da un lato abbiamo un consumatore “pigro” che si comporta come un gregge di pecore “dove va una, van tutte”, questo per abbassare il livello di percezione dei sei “rischi” insiti nel processo d’acquisto. Azione che porta loro ad avvalersi di informazioni di facile reperibilità secondo la regola del minor sforzo cognitivo (quindi, opinion leader, legittimi o pseudo-tali).

    Dall’altra parte abbiamo i ristoratori interessati ad aumentare il cash flow, ma sono anche i reali responsabili della loro reputazione. Essi (nella media), di marketing e comunicazione (che non sono mai la stessa cosa, ma la seconda è conseguente alla prima), non ne sanno gran ché, per questo ignorano che un’azione di marketing costruita ad hoc sia la scelta risolutiva. Azione molto complessa che prevede varie fasi, una è detta di marketing analitica, una detta di marketing strategico e una detta di marketing operativo che non può realizzare né un giornalista, né un blogger né tanto meno un influencer.

    Inoltre una campagna di comunicazione, (attraverso vari canali, giornalisti, web, social, radio, tv, ecc.), per la costruzione della brand reputation e la promozione di un’attività è figlia della fase strategica (che è fondata sui dati raccolti nella fase analitica), come si può intuire essa non può essere la conseguenza di attività improvvisate, soprattutto da gente poco o per niente competente.

    Portare un’azienda o un locale al successo reale, meritato e “sistematico” significa seguire ciò che le regole del marketing dettano, avvalendosi di professionisti qualificati, perché solo loro possono “garantire” risultati concreti entro certi limiti di tempo o consigliare di disinvestire prima di arrivare al fallimento.
    Ovviamente, l’esborso significativo di denaro che l’imprenditore gastronomico spesso non ha o non è disposto a investire fa da ulteriore deterrente.

    Allora…
    Si può sempre “urlare fuori dalla porta quanto si è belli” e quanto si è buoni”, (una forma evoluta di come si faceva al mercato una volta, aspettando che il consumatore sprovveduto si lasciasse incantare).
    Detto ciò, a mio avviso, quello che deve cambiare è la mentalità soprattutto degli esercenti, devono essere più professionali e chiedere maggiore professionalità ai loro consulenti (se ne hanno), pagando il dovuto, perché come diceva mio nonno: “quanto spendi tanto appendi”.

    Altrimenti altro che “eccellenze”, evviva la mediocrità.

  7. ma che cacchio dice questo De Nigris? contorto…. incomprensibile.. Povero consumatore medio… si sente ignorante al cospetto di questi azzeccagarbugli che devono sbarcare il lunario. Parlate semplice!! aiutate gli esercenti a scegliere il meglio possibile e informate il cittadino-consumatore correttamente.

    1. Bruno, Enrico de Nigris, forse con parole un pò forbite, ma è un tecnico del settore molto preparato, dice una sacrosanta verità: le persone spesso sono mediocri e quindi preferiscono che sia qualcuno simile a loro a dire cosa fare o comprare o mangiare , piuttosto che formarsi o ascoltare chi ne sa più di loro. Ieri proprio si è iscritto al corso onas un giovane pizzaiolo che si fa 102 km er venire al corso, poichè “voglio capire cosa metto sulla mia pizza”, mentre foodblogger o produttori giudicano 60 km troppo “lontano”…….per non parlare dei tanti titolari di gastronomie che credono di sapere e poi scrivono sciocchezze……Enrico de Nigris ha perfettamente ragione, troppe volte la mediocrità detta legge.

  8. Ringrazio tutti per i complimenti, mi sarebbe piaciuto si aprisse un dibattito su certe forme di pubblicità nel mondo del food ma vedo che chi le fa preferisce sfuggire un confronto che lo vedrebbe in sicura difficoltà..

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