Intervista al bartender: Maurizio Zanni, Shibuya Izakaya a Tokyo
di Luigi Giordano
Attualmente dove lavori e che mansione occupi?
Da Shibuya Izakaya. Shibuya si intende uno dei 2 quartieri più cool di Tokyo e forse anche il più famoso grazie ad Hachiko, Izakaya è il nome del locale da cui prendiamo ispirazione.Letteralmente significa I=sedersi 居 Zaka=bevanda alcolica酒Ya=negozio 屋. Sono dei tipici locali in cui si servono bevande, in particolare Sake, Shochu e Whisky, ma anche altre referenze, accompagnate da cibo. Esistono diverse tipologie, quella a cui ci inspiriamo in particolare vengono denominate “ChainIzakaya”, concetto più moderno in cui offriamo un ampia scelta di food e beverage.Trattiamo principalmente la cucina tipica giapponese, come Ramen, okonomiyaki,sando e bao, mentre per i beverage abbiamo una lista di circa 15 sake e una cocktail list basata su Highball e Sour. Io mi occupo di tutto il lato beverage, e svolgo anche una figura di Sake sommelier SSA in quanto abbiamo un sala “Kaiten”(Tavolo a Nastro) in cui diamo un offerta “Omakase”(mi affido a te) con pairing di Sake
Com’è nata questa passione?
-Più che passione la chiamerei senso del dovere. Prima di cominciare a “servire” al bar credo di aver cambiato diverse manzioni un po’ per necessità, un po’ per trovare il mio posto nel mondo. Ho capito che questo era il lavoro che più si avvicinava al mio modo di essere e soprattutto l’unico in cui avrei potuto portare avanti un idea. Con l’avanzare del tempo è diventata una passione.
-Quali sono stati i locali e le esperienze che ti hanno fatto crescere di più?
-Ogni locale è stata un esperienza. Ho avuto la fortuna di cominciare in un periodo in cui il mondo del bar ed i bartenders cominciavano ad evolversi anche a Napoli, ognuno di loro in diversi contesti, mi hanno insegnato cosa significa stare al bar aldilà di ricette e ingredienti. Significativa e anche la più longeva è stata l’ esperienza all’Antiquario, cominciare dal primo giorno mi ha dato la possibilità di capire l’evoluzione della professione e su cosa realmente basarsi.
–Come descrivi il tuo stile di miscelazione?
-Direi Classico. Non amo cambiare troppo quelle che sono le strutture dei cocktail che hanno fatto la storia. Ho sempre basato il mio approccio sul concetto di twist on Classic, e cercando semplicemente,in base al contesto, di evolvere quella che può essere una ricetta standard.
-Tornassi indietro rifaresti tutti i sacrifici?
-Assolutamente si. Forse aggiungerei qualche esperienza estera, ad oggi unico rammarico.
–Come vedi le nuovi generazioni del bartending?
-Non me ne vogliano ma direi confuse. Non è colpa loro, c’è talmente tanta roba in giro che oggi è difficile capire da dove partire e dove arrivare. È un po’ come fare il musicista.
-Un tuo cocktail iconico
-Sicuramente uno dei cocktail che più mi rappresenta è lo “Slow Emotion” vincitore della competitionClairin nel 2017 con cui ho avuto la possibilità con l’azienda Velier di volare ad Haiti (luogo di produzione del Clairin) alla ricerca della distillerie. Il drink è la reinterpretazione di un punch, inspirato alla natura caraibica e alla “vita lenta”.
Slow Emotion:
Casimir

