Jocalis 2004 Passito Beneventano igt


AIA DEI COLOMBI

Uva: falanghina
Fascia di prezzo: da 15 a 20 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Mi volgo con sempre maggiore passione ai vini dolci non caricaturali. Anzitutto perché mi accorgo che, qualunque sia la tavola in gioco, il loro arrivo segna il momento della riconciliazione tra chi beve e chi no, segno dunque di un approccio ancestrale mediterraneo in cui i colori riflettono il sole o sono il segno di antiche pratiche contadine ormai completamente disperse. Mentre i rossi hanno un fascino incredibile e ancora tutto da scoprire. Il secondo motivo sono il costo e la difficoltà di fare vini dolci moderni, ossia puliti sul piano olfattivo, eleganti e ricchi, capaci di camminare negli anni. Infine su questo fronte abbiamo ancora tanto da studiare uve di cui ormai si conosce abbastanza bene il comportamento, mi riferisco a falanghina e fiano, ormai ogni anno vinificate in secco da oltre cento aziende di areali diversi. In particolare è davvero stupefacente vedere come la prima, considerato sino agli anni ’80 un vitigno da distillazione perché ritenuto privo di aromi e dunque neutro, sia invece capace di sfoderare il suo carattere anche in questo segmento come ormai dimostra la pluriennale esperienza dell’Eleusi di Villa Matilde. A questi temi è dedicata quest’anno la sezione Piccole Vigne curata in amicizia per Vitigno Italia con una decina di cantine campane con annessa degustazione che condurremo insieme a Nicoletta Gargiulo lunedì 25 maggio dalle 15 alle 16,30. Intanto ho riprovato il Jocalis 2004 degli amici Nino e Marcellino con tantissima soddisfazione sulla pastiera un po’ ruspante delle Palme: il riassaggio a quasi un anno di distanza è stato ancora più gratificante per il lavoro svolto in vigna e la ricchezza di profumi, nessuno agguato ossidativo come temono i due fratelli per via di un uso molto moderato di solfiti, ma buona freschezza in un guanto dolce di camomilla secca e agrumi canditi. Un vino ideale su alcuni piatti a base di maiale nero casertano in cui la glassatura delle mele sia spinta sino all’impalbabile confine del dolce-salato medioevale, penso al piatto bandiera del Foro dei Baroni di Puglianello ma anche ad un piatto provato l’altra sera a Casa del Nonno 13 di Raffaele Vitale al netto delle patate (ossia solo annurca e carne avvolta nel lardo). Ma senza andare su questi percorsi, godetelo sulla pastiera pasquale e sulla opulenta e barocca pasticceria napoletana. Non vi deluderà. A me ha esaltato sicché lo volgo dalle due alle tre bottiglie del mio indice personale di gradimento.
Assaggio del 30 maggio 2008. L’azienda di Marcellino Pascale lavora esclusivamente su falanghina, fiano e aglianico, come molte ormai nel Sannio: dai dieci ettari si sono ormai raggiunte le 50.000 bottiglie e l’avventura iniziata nel 2002 con il grande Angelo Pizzi sembra proseguire bene. Ben conosciuta per il Vignasuprema e il Colle dell’Aia, stavolta vogliamo soffermarci un attimo sull’atto finale, a conferma di come quella di Benevento sembra essere ormai la provincia più impegnata sul fronte dolce. Alle spalle c’è una motivazione molto semplice, ossia è l’unica provincia dove l’uva abbonda ed è più facile fare fronte alla bassa resa in bottiglia. Ma se questa è la ragione più immediata, alle spalle si misura un rinnovato impegno di molte aziende che proprio con i passiti, completano l’offerta. Il millesimo 2004 e il vitigno sono due elementi che costituiscono la precondizione per un buon risultato anche se, provando il Jocalis, è facile convincersi di essere solo all’inizio di una storia lunghissima grazie alla buona vena acida del vino e al giusto equilibrio raggiunto con le altre componenti: l’annata sostanzialmente magra per i bianchi e la vinificazione in acciaio ha sicuramente giocato bene in questa direzione relegando nell’angolo la componente zuccherina: la raccolta è stata fatta alla fine di ottobre, l’appassimento sui graticci è proseguito sino alla metà di dicembre, poi la fermentazione, senza vinacce, molto lunga e infine l’elevamento in botti di rovere per 18 mesi. Ancora sei mesi in bottiglia, pochi, prima di uscire sul mercato. Al naso, intenso e persistente, prevale subito una piacevole sensazione di frutta bianca sotto spirito, pere o anche chicchi d’uva, a cui subentrano ben presto il tostato dolce del legno, spezie come la cannella, i chiodi di garofano in un valzer ricco di componenti anche se ancora privo delle necessaria prodondità. In bocca il primo impatto è la freschezza, ben sostenuta e che porta avanti la beva sino ai tre quarti, quando poi prevale la dolcezza accompagnato dalle note di frutta sotto spirito: qui si rivela appunto l’annata magra perché manca il balzo finale, la chiusura è piuttosto brusca e inaspettata, quasi una sparizione. Lo stile rivela comunque una buona percezione delle potenziaità di questo vino, la consapevoezza della necessità di insistere con le prove senza remore, magari rischiando ancora qualcosa in più nella fase di appassimento e nella composizione finale del vino. L’abbinamento omeopatico è costituito ovviamente dalla pasticceria, sia quella classica napoletana che quella secca dell’Appennino meridionale, ma si può rischiare su molti piatti, qualche formaggetto come il Laticauda di media stagionatura, persino su gamberoni crudi. Aveva in questo assaggio due bottiglie di gradimento

Sede a Guardia Sanframondi. Contrada Sapenzia, 24
Tel. 0824.817384
Enologo: Angelo Pizzi
Bottiglie prodotte: 50.000
Ettari: 10 di proprietà
Vitigni: falanghina, fiano e aglianico