La Città della Pizza a Roma: tre giorni indimenticabili di libertà


Città della pizza

Città della pizza

di Luciano Pignataro

Manca ancora il bilancio ufficiale dei numeri, ma file così lunghe non si vedevano dai tempi dell’Unione Sovietica o degli uffici postali meccanizzati con le Olivetti. Migliaia e migliaia di persone sono venute al Reni District superando ogni difficoltà, compresa quella della maratona di Roma.
La Città della Pizza è stata una grande festa di popolo, appassionati, famiglie intere, bimbi che imparavano ad ammaccare, critici, giornalisti. E poi tutti i grandi della pizza napoletana e italiana: mancavano, per impegni pregressi, solo Franco Pepe impegnato a Los Angeles e Simone Padoan.
Con l’organizzazione collaudata di Vinoforum di Emiliano De Venuti, insieme a Tania Mauri, Luciana Squadrilli, Stefano Callegari siamo riusciti a mettere insieme le migliori energie del momento del mondo pizza. Una rassegna senza precedenti, libera.
Il successo ha superato ogni più ottimistica previsione, le file sono state lunghe, il prossimo anno sicuramente andranno aumentate le postazioni e reso operativa la prenotazione on line. La gente è stata talmente tanta che le pizzerie hanno esaurito i panetti (ognuna ne aveva circa 600) prima del tempo.

Il laboratorio con Gino Sorbillo e Alessandro Condurro (Da MIchele)

Il laboratorio con Gino Sorbillo e Alessandro Condurro (Da MIchele)

Ora in questa sede interessa mettere due paletti precisi, ossia fare due considerazioni due.

La prima è che La Città della Pizza non è la più grande manifestazione sul tema, basti pensare al Pizza Village a Napoli con i suoi 50 forni sul lungomare e centinaia di migliaia di presenze, ma sicuramente è stata la più ampia nell’offrire il panorama dei diversi stile da Nord a Sud. La stessa rappresentanza napoletana era al completo, dal “canotto” alla tradizione dura e pura di  Michele. Questa è stata la grande forza della manifestazione che ha visto Roma compatta, come pure le migliori pizzerie al taglio e italiane del Centro Nord.

La seconda riflessione viene dall’intervento di Enzo Coccia, che ha sottolineato la necessità di inserire la figura del pizzaiolo nelle materie di studio nelle scuole statali perché la formazione non può essere affidata ai privati che perseguono le loro, legittime, logiche commerciali. L’ondata dell’integrale che qualche anno fa voleva far credere che chi usava la 00 era avvelenatore ne è un esempio. Il commerciale deve vendere, e non ci sono scrupoli sulle argomentazioni pur di raggiungere questo scopo.
Bene, lo stesso vale per il rapporto tra sponsor e manifestazioni come questa. Nel senso che la presenza della pubblicità è sacrosanta, ma non può e non deve determinare i contenuti di una manifestazione. Sarebbe come se uno sponsor di una partita di calcio dovesse decidere anche chi vince. La Città della Pizza è riuscita a mantenere questo equilibrio, e questo è un merito di Emiliano perché nei tempi brevi può diventare un punto di riferimento assoluto per tutto il mondo pizza. La libertà di scelta e l’autonomia dei contenuti sono il primo presupposto per il prestigio di una manifestazione, in caso contrario si fa comunicazione commerciale che è un’altra cosa.

2 Commenti

  1. Lo stato pontificio fu conquistato e annesso all’Italia con le armi,ora i Borboni si apprestano ad invadere Roma con la pizza.Se Franceschiello primo faceva” peppetiare”il suo ragù presto incoroneremo Lucianone primo re della pizza artigianale:adesso si dice slow,ma la filosofia è sempre quella della lentezza.Stupidate?Fino ad un certo punto.Basta fare solo una considerazione:si ricordano altri che hanno provato a contrastare in modo così efficace lo strapotere dell’industria e del cibo veloce sopratutto al centro sud? Personalmente no,ma attendo volentieri segnalazioni.Francesco Mondelli.

  2. Nel post ci sono argomentazioni che condivido e che ho anche espresso in alcuni commenti.
    Esprimo una mia opinione: manifestazioni come queste sono comunicazione. Sono eventi organizzati dal marketing.
    La libertà è un’altra cosa.

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