La “rivoluzione” viticola della Basilicata in Val d’Agri


La Val d’Agri

di Carmen Autuori

La Basilicata è terra fiera e altera e resiste agli attacchi al suo magnifico territorio, disegnato da boschi, fiumi e torrenti che tratteggiano le catene montuose, perpetrati in onore del dio denaro. Una regione che conserva, inossidabile, il suo fascino a tratti severo, e cela un giacimento di sorprese.

Nell’ Alta Val d’Agri, ad esempio, ci si imbatte in affioramenti di greggio che convivono con la natura circostante dando origine ad uno spettacolo che ha dell’incredibile.

Val d’Agri, gli affioramenti naturali di greggio

Mentre alle pendici di Grumento Nova, nel territorio del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese si trova il Parco Archeologico di Grumentum che racchiude i resti dell’antica città romana. Fondata dai Romani nella prima metà del III sec. a.C., fu uno dei centri più importanti della Lucania antica, fino al trasferimento dei suoi abitanti nella nuova fondazione di Grumento Nova, poco distante, deciso dai Normanni alla fine dell’XI secolo.

Val d’Agri, Parco Archelogico di Grumentum

E dall’osservazione attenta e scientifica di questo territorio nasce una vera e propria rivoluzione che fa crollare certezze assolute legate al mondo del vino svelata nel libro di Stefano Del Lungo – archeologo e ricercatore CNR, curatore insieme ad Angelo Raffaele Caputo – agronomo e ricercatore CREA -, edito dall’Istituto Geografico Militare, “Fra le montagne di Enotria. Forma antica del territorio e paesaggio vitivinicolo dell’Alta Val D’Agri”.

Val d’Agri, Basilicata antica

La ricerca è stata promossa dal Consorzio di Tutela della DOC Terre dell’Alta Val D’Agri con lo scopo di rafforzare il processo di riappropriazione e valorizzazione del proprio terroir vitivinicolo. L’obiettivo è quello di rendere noto il grande patrimonio di biodiversità vitivinicola, la diversità paesaggistica e di conseguenza la capacità produttiva di un terroir con una ricchissima varietà di vitigni autoctoni (giosana, iusana o zimellone bianco, malvasia ad acino piccolo, aglianico bianco, colatammurro) promuovendone il rientro in produzione.

Il libro

Una vera e propria rivoluzione, dicevamo, dove la storia del vino cambia totalmente direzione: non sono più i Greci ad introdurre la viticoltura in Italia, ma si scopre un Meridione abitato nell’entroterra da popoli che sulla viticoltura hanno fondato la loro civiltà. Sostanzialmente, è stato dimostrato (vedremo come) che nel corso del II millennio a. C il Terzo Centro di Domesticazione, come definisce la zona Stefano Del Lungo, smentisce che la vite, attraverso le Alpi, sarebbe giunta in Italia dall’Oriente.

Nel testo si vuole dimostrare che per ricostruire in maniera scientifica e completa un terroir, le indagini pedologiche, ambientali, gli esami ampelografici e le analisi genetiche non possono prescindere dalle Scienze Storiche, Archeologiche ed Antropologiche dal periodo miceneo all’età romana dell’intera Alta Val D’Agri.

Infatti, fu proprio dai contatti con i Micenei avuti a partire XIV secolo a.C. che inizia l’evoluzione di coloro che abitano nell’entroterra appenninico tanto da apparire esperti viticoltori ai coloni greci sbarcati sulle coste ioniche nella seconda metà dell’VIII secolo a. C. Nell’Odissea è descritta la loro sorpresa nel trovare “un mare color del vino”. Scompare, così, la narrazione dei greci sprezzanti del pericolo che dominano le popolazioni dell’entroterra portando con sé la vite ed il vino. Al contrario, viene fuori l’immagine di popoli e culture diverse che incontrandosi si scambiano semi, informazioni che affinano la loro conoscenza per allevare la vite, per selezionarla e per produrre vino.

Questo anche grazie agli antichi tratturi che partendo dalla foce dell’Agri hanno permesso ai coloni siriti (da Siris presso Policoro) prima e dai sibariti poi di raggiungere la sorgente e dunque l’Alta Val D’Agri.

C’è voluto una squadra di tutto rispetto per avvalorare questa tesi e dargli solidità. L’inquadramento geografico e pedoclimatico è di Pasquale Cirigliano, agronomo e ricercatore CREA, che pone a confronto i contesti viticoli attualmente produttivi della Val d’Agri con alcune interessanti aree dell’emisfero australe (Provincia di Rio Negro, Argentina) aventi caratteristiche ambientali molto simili e ora molto richieste dalla viticoltura, in pieno cambiamento climatico.

Val d’Agri, la vendemmia

L’importanza di avere un’idea complessiva sulla distribuzione e il movimento delle varietà di viti nella Val d’Agri, oggetto della seconda ricerca, è a cura di Angelo Raffaele Caputo, Marica Gasparro, Francesco Mazzone, Sabino Roccotelli e Vittorio Alba, agronomi, enologi e ricercatori del CNR.

Questo introduce l’indagine di Stefano Del Lungo, volta a stabilire le modalità con le quali la civiltà greca prima e i Romani poi abbiano raggiunto l’alta Valle, confrontandosi con gli Enotri e i Lucani fino a giungere al paesaggio tipico di Grumentum.

Con il proposito di inserire la produzione viticola nel più ampio tema della biodiversità agricola conosciuta dai tempi più antichi, Annarita Sannazzaro, archeologa specializzata nell’ Età Classica, trae spunto dall’inserimento di modellini in metallo di frutta nei corredi funebri e nei depositi degli ex voto presenti nei santuari conosciuti in Basilicata.

Gli archeologi Antonio Affuso e Addolorata Preite, invece, si concentrano sulle cantine in grotta, ponendo in risalto l’importanza di una civiltà che della vite ha fatto il suo asse economico portante sin dal tempo degli Enotri.

A chiudere il volume la disamina curata da Agata Maggio, demoetnoantropologa e da Dorangela Graziano, esperta in conservazione del patrimonio archivistico, sull’importanza della cartografia storica quale strumento su cui, in parte, fondare la ricostruzione del paesaggio agrario e supportare le proposte per una sua tutela.

Il Consorzio di Tutela della Doc Terre dell’Alta Val D’Agri

Le aziende produttrici, che aderiscono al Consorzio di Tutela, sono attualmente 8 e commercializzano 15 etichette, di cui 13 DOC Terre dell’Alta Val D’Agri e 2 IGT Basilicata, per un totale di circa 100.000 bottiglie all’anno.

Tre le tipologie prodotte: il “Rosso”, che può seguire un invecchiamento di minimo un anno, il “Rosso Riserva”, che invecchia due anni di cui almeno sei mesi in botti di legno, e il “Rosato”, che prevede anche l’utilizzo di malvasia di Basilicata. Il “Terre dell’Alta Val d’Agri” è un vino particolarmente equilibrato, strutturato e adatto a invecchiare.

I vigneti sono allevati su terreni di medio impasto ad un massimo di 800 metri sul livello del mare, situati nei comuni di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno, tutti in provincia di Potenza.

Come messo in evidenza nel testo “Fra le montagne di Enotria” da Pasquale Cirigliano, l’area della DOC “Terre dell’Alta Val d’Agri”, a causa dei cambiamenti climatici e delle condizioni di siccità che hanno caratterizzato gli ultimi anni, che assimilano le condizioni climatiche a quelle della provincia del Rio Negro in Argentina, tende a diventare, dal punto di vista agro-climatico, adatta alla coltivazione della vite per la produzione di vini di qualità.

In questo scenario, particolarmente adatti alla coltivazione sono proprio quegli antichi vitigni autoctoni che sono stati sottoposti a molti cicli di selezione naturale nel corso dei millenni e che quindi hanno attraversato fasi climatiche estreme