Repetita iuvant: l’Aglianico ha un po’ di febbre


Repetita iuvant, soprattutto nel mondo del 2.0 dove l’ultimo che dice una cosa l’ha scritta per primo (cit.). Lo ripropongo anche in vista dell’analisi del Poliphemo 2009 in arrivo e perché mi colpisce  l’attualità dei suoi contenuti.

Post del 27 giugno 2010. In questo periodo l’Aglianico è un po’ come la ragazza più bella del paese, tutti i basilischi si vantano di essere stati con lei, ma senza alcun fondamento di realtà.
Così la critica straparla ed elogia l’ Aglianico, ma chi lo sta bevendo?
In giro le notizie non sono confortanti anche se dobbiamo dire subito che l’Aglianico sta meglio di altri vitigni italiani, come prova la sua espansione verso Molise, Puglia e persino Calabria oltre che nelle due regioni storicamente vocate, Basilicata e Campania.

Alcune grandi aziende hanno ideato e presentato a Vitigno Italia una manifestazione per promuovere la sua conoscenza in Italia e possibilmente nel mondo, e anche questo è un segnale di qualcosa che non gira come dovrebbe, lamentele dei piccoli produttori irpini, del Taburno e vulturini a parte.
Molti hanno per esempio preferito declassare il 2002 e il 2006 da Taurasi docg a Campi Taurasini o Irpinia doc pur di smaltire un po’ lo stoccaggio.

Luigi Tecce, un borgognone in Irpinia:-) (foto di Mauro Erro)

Vorrei provare a sistematizzare i punti di debolezza
1-Anzitutto, hanno ragione le grandi aziende, il vitigno è poco conosciuto anche perché le quantità sono abbastanza basse. Complessivamente la produzione oscilla dai sette agli otto milioni di bottiglie tutto compreso secondo i miei calcoli, ma di Taurasi, Aglianico del Taburno e Aglianico del Vulture, ossia le tre denominazioni più importanti e radicate nel tempo, non si superano i tre milioni.
Questo significa che non è facile da trovare e infatti nelle carte dei ristoranti italiani è quasi totalmente assente, fatta eccezione ovviamente per quelli campani e lucani.

2-Si tratta di un vitigno di non facile interpretazione e che abbisogna, per essere credibile, della merce più difficile da trovare in questo mondo omologato: il tempo. Ancora oggi la stragrande maggioranza dei produttori lo ammorbisce con il piedirosso quando rispetta la tradizione, ma soprattutto con montepulciano, primitivo e, peggio ancora, con il merlot.
L’obiettivo è di ottenere un risultato che nega la ragion d’essere dell’Aglianico perché difficilmente può essere bevuto con soddisfazione prima di tre, quattro anni. Si può far guidare un’auto da corsa a un bimbo di cinque anni?
La prova è che quando abbiamo vini di solo aglianico di uno o due anni non sono mai memorabili mentre quelli corretti, la maggioranza, sono magari buoni, potabili, ma privi di carattere proprio.

Sandro Lonardo, Contrade di Taurasi. La caratterizzazione come risorsa

4-L’Aglianico può avere un naso austero ma difficilmente piacione e suadente, in bocca richiede preparazione ed è soprattutto vocato all’abbinamento. E’ un vino non per tutti, ma per chi ha fatto almeno le Superiori. Sarebbe sbagliato pensare dunque che queste bottiglie possano essere dirette ad un pubblico generico e non preparato perché richiedono palati colti e allenati.
Dobbiamo riabituarci all’idea che non tutto è per tutti.
Quanto all’abbinamento, notiamo per l’ennesima volta che ormai il 99,9 per cento dei piatti dell’alta ristorazione non è adatto ai rossi strutturati, dunque tanto meno all’Aglianico, e che solo un cliente russo può bere un rosso invecchiato su una spigola al sale in un ristorante della Costiera.
Al tempo stesso le trattorie, gli agriturismi e le osterie dove si conservano i piatti di tradizioni per tenere i prezzi accessibili, offrono spesso Aglianico di seconda o terza fascia, dunque spesso corretti ma dunque incapaci di entrare nella memoria palatale.

Luigi Moio, il Taurasi come progetto

4-Taburno, ma soprattutto Taurasi e Vulture non hanno adeguato la filiera alle ambizioni dei prezzi in etichetta. Oggi per chiedere più di dieci euro franco cantina bisogna avere alle spalle un marchio aziendale o di territorio: non a caso si muovono solo i prodotti delle aziende già in qualche modo consolidate da qualche anno. Obnubilati dalla scempiaggine individualista, molti piccoli produttori che si sono affacciati negli ultimi dieci anni hanno pensato che fosse sufficiente mettere gli stessi prezzi dell’azienda di riferimento per stare sul mercato senza problemi. Hanno pensato a produrre senza analisi di mercato e solo orecchiando quel che faceva il vicino che a sua volta si muoveva nello stesso modo.

Il ripiegamento di questi territori sul piano promozionale (sparita Anteprima Taurasi, mai creata un’analoga manifestazione nel Vulture, Gigione a Torrecuso nel Sannio) li ha comodamente relegati nel dimenticatoio.

Soccorso Romano, Il Cancelliere. La forza della memoria contadina

5-La schizzofrenia comunicativa. Ancora oggi la maggioranza delle aziende non risponde alle mail, non ha siti consultabili e aggiornati, ignora facebook e twitter, pratica una politica differenziata dei prezzi da ristoratore a ristoratore, tiene lo stesso vino nel ristorante stellato e nella salumeria accanto (fate un giro ad Amalfi), è preoccupata di smaltire lo stoccaggio piuttosto che di creare un desiderio nel consumatore, come i buattari di pummarole. Le stesse aziende sperano che un brindisi di Madonna con l’Aglianico possa cambiare le sorti di questo vino, ovviamente del loro che è veroaglianicomentrequellodeglialtrino, ma naturalmente aspettano l’ente pubblico per catturare il personaggio famoso e spesso questi brindisi sono invece fatti con starlette televisive, a volte decadute e dunque dal tariffario più abbordabile, relegando così il territorio ad habitat naturale dei camionisti. Due facce della stessa medaglia, la subcultura televisiva. Per questo il Sud è diventato una sorta di Eden dei marchettari appena appena conosciuti.

Cosa poter fare per uscire da questo impasse che tiene piene tante cantine?

Io credo sia necessario anzitutto fare un prodotto in cui credere, unico, irripetibile. Ci vorrebbero produttori pignoli in bottiglia come Nino Di Costanzo lo è nella composizione visiva dei suoi fantastici piatti. Esseri maniacali, capaci di ascoltare la natura e al tempo stesso tirare dritti per la propria strada: non cercare inutili scorciatoie annacquando i top wine con merlot, sangiovese, montepulciano e primitivo, non seppellirli in bare di legno, rispettare la sapidità e l’amaro cercando possibilmente la finezza e l’eleganza.
Il vino rosso importante non è una zoccola che deve andare con tutti, ma qualcosa che si deve conquistare.
Giocare sul tempo: iniziare a cacciare vini dopo dieci anni, quando davvero l’aglianico è maturo per essere bevuto e diventare così unici al mondo.
Si dirà, e nel frattempo?
A parte che i bianchi fanno cassa magnificamente, direi che è inutile dare aspirina a chi ha un male grave, serve la chemio se si vuole uscirne.
Servono decisioni drastiche e sorprendenti.

Una parabola
Quindici anni fa dissi alla Cantina Valcalore nel Cilento che era opportuno lasciar perder con il (qui è maschile) Barbera e pensare a vitigni del territorio campano. La risposta fu: non possiamo espiantare e chiedere ai contadini di rinunciare al reddito per due o tre anni
Dieci anni fa feci la stessa domanda ed ebbi la stessa risposta
Cinque anni fa idem
Un paio di anni fa ebbi una addirittura smentita scritta da un presidente secondo il quale non avevo capito che il loro vino era più buono di quello dei piemontesi
Poi la cantina è stata commissariata perché in costante difficoltà economica
Dieci giorni fa ho rifatto l’osservazione di quindici anni fa nella rinata struttura. Mi è stato risposto che non si può chiedere ai contadini (che tra l’altro non vengono più pagati per il conferimento delle uve) di aspettare uno o de anni.
Questo è il Sud dell’Appennino. Attenzione per i dettagli e assenza di una visione strategica. Che dite, un Falanghina di Paestum avrebbe avuto più appeal del trebbiano? O un Aglianicone del Barbera?
Nello stesso periodo di tempo il Cile è diventato una superpotenza enologica e in molto meno tempo la Provenza famosa per i rosati.

Ora noi diciamo ai piccoli produttori: tenete il vostro vino a lungo, fate cru e potrete venderlo al prezzo che vorrete. Soprattutto specializzatevi in una sola tipologia di uva, non pensate di fare tutto come le grandi aziende solo perché stupidi e ignoranti ristoratori ve lo chiedono. Sono gli stessi che non vi compreranno più perché avranno avuto una offerta più bassa e non li aiutate a capire il vostro valore.

Usate la testa, usate il tempo

 

28 Commenti

  1. Ogni tanto fare il punto della situazione è molto utile. Trovo nel lavoro di questo blog una cosa ammirevole, e non perchè mi onoro, di essere un piccolo pezzo: lo spassionato interesse per l’agricoltura. Se un produttore avesse l’occhio lungo di leggere tra queste pagine non potrebbe sbagliare. C’è tutto quello che occorre per un’analisi del proprio scenario competitivo allargato e ristretto. Le tendenze di gusto e di mercato. Dall’Italia all’estero. Il fatto è che non si può piu’, in nessuna professione, star rinchiusi nel proprio laboratorio o cantina: bisogna leggere e informarsi. Il web di qualità è molto utile. Dopo che uno ha letto un pezzo sull’aglianico cosi’ e seguita ancora caparbiamente una strada opposta, allora, è sordo. E non si lamenti. Non si tratta di consigli di prendere alla lettera, non è certo quello lo scopo. Ma di fatto di una vera consulenza strategica elargita for free. Sprecarla sarebbe follia. Produttori: almneo rifletteteci un pò.

  2. L’attesa amplifica il piacere raggiunto poi nel tempo, ma oggi si vuole tutto e subito, condannandosi automaticamente alla sconfitta ed alla delusione. Nella produzione di un vino così esigente è indispensabile la cura ed il rispetto quasi religioso per la sua natura apparentemente scontrosa, ma che sa regalere grandi emozioni rispettando a pieno ogni tratto del suo carattere ed i suoi tempi. Ognuno ha i suoi tempi. La conoscenza ed il rispetto della cultura ,della storia di un vitigno e del suo territorio sono indispensabili per ottenere risultati gratificanti. Tutto ciò ovviamente unito a valide strategie di marketing e comunicazione che sembrano ancora lontane anni luce dalle testoline dei produttori campani e degli enti regionali. Questo tipo di sollecitazione la faccio spesso, nel mio piccolo, sul territorio vesuviano, dove un altro vitigno storico stenta a decollare, scontroso a sua volta, il piedirosso, ma che trattato nella giusta maniera esprime grande piacevolezza e forte identità di territorio, praticamente le caratteristiche che ti permettono di farti notare, ricordare, e non essere uno dei tanti messi in fila nella speranza che qualcuno si interessi a te. Personalmente amo l’aglianico interpretato da Luigi Tecce, uno dei pochi che sa trattarlo con grande rispetto, attendendo i tempi giusti sia in vigna che in cantina. Certo è un piccolo produttore quindi può permettersi di dedicare massima cura ad ogni piccolo particolare. Ma quanti piccoli produttori lo fanno?

  3. Infatti Monica.. Ho appena mandato il link ad un caro amico lucano, consulente agronomo. Che ha sempre lamentato il poco interesse generale verso gli ottimi prodotti della sua zona, aglianico compreso. Lui su Internet usa solo l’email e qualche volta pubblica una foto dei bimbi su Facebook.
    Non posso più lasciarlo a se’ stesso, non ora che si stanno creando dei network spontanei pieni di ottime risorse a cui anche lui potrebbe attingere per potenziare lavoro, relazioni ed attenzione verso la sua zona produttiva.
    Si, non sprechiamole queste risorse.
    Ale

  4. bel post , nel quale non voglio entrare per evidente mancanza di conoscenza delle cose campane.
    ma migliorero’.
    maffi due pero’ mi chiede di intervenire riguardo all’evidente contraddizione dell’ultima foto : un corpo meraviglioso inserito in una cassa peregrina : luciano non devi nemmeno pagare !!!

    l’ esperto lo hai in casa . basta chiedere :-))

  5. Grazie Luciano per questo appassionata analisi. Penso che una visione terza, fuori dalla visone abberrata imposta dal “mercato” possa aiutare noi produttoi a focalizzare i problemi e a trovare le risposte adeguate alla propria realtà. I punti deboli che che hai rilevato rispecchiano altre realtà soprattutto al Sud e dal mio punto di vista, cioè da Cirò, non posso che riconoscere molte delle nostre problematiche.

    Il punto cruciale del tuo articolo secondo me si condensa in una sola parola TEMPO.
    E’ sempre più evidente la divaricazione tra il “Tempo dell’enologia” e il “Tempo della viticoltura”.
    Il primo risponde a logiche industriali che si adeguano ad un mondo veloce e globalizzato (mutevolezza dei gusti, uniformità dei prodotti, ecc.), il secondo risponde necessariamente ai tempi della natura che incarnano la lentezza derivante dal legame pianta-territorio-uomo e genera un prodotto unico, mai uguale nello spazio e nel tempo.

    Velocità e Lentezza: Pensiero veloce di chi cambia il mondo e pensa di migliorarlo, utile a far funzionare la macchina sempre più velocemente illudendosi di poterlo fare all’infinito; Pensiero lento di chi ascolta la terra che calpesta, che permette di abitare il tempo con poche cose.

    Oggi piccole realtà vitivinicole, territori in cui il legame terra-uomo è millenario, sono tentati dalle sirene della velocità, a rinunciare alla loro identità e a sacrificarlo sull’altare della modernità.
    Ma questa non è l’unica possibilità, si può ri-guardare il territorio: averne riguardo e tornare a guardarlo. Riallacciare con il presente saperi e risorse del passato, senza nostalgie, permettendo una continuità con il futuro.

    E in questi contesti l’errore più grosso è commesso dai piccoli produttori che vogliono andare veloci, pensando di imitare le grandi aziende, senza però averne i mezzi economici e culturali, l’esperienza e le conoscenze per poter realizzare prodotti “industriali”.

    Lenti. Dobbiamo rallentare. Perchè quando la vita rallenta, quando si rispetta il tempo, si rivela la nostra identità più ricca e più vera.

  6. Sintesi lucida di una situazione sulla quale si fa un’enorme fatica ad intervenire. Eppure ormai i tempi sono maturi per non continuare a commettere errori. In teoria ci sono stati investimenti in cultura, formazione, infrastrutture, promozione, ma senza coordinamento e senza una strategia…Ce la faremo a prendere l’ultimo treno?

  7. Analisi sacrosanta|!!! Quello che non riesco a capire, però, è come mai i nostri piccoli produttori (mi riferisco all’Irpinia essenzialmente), che non vivono di vitivinicoltura come più volte da te Luciano sottolineato, non abbiano la lungimiranza di fare un prodotto “come Cristo comanda” e saper aspettare la sua evoluzione nel tempo, trascurando l’esigenza di fare cassa che, vista la loro condizione di “hobbisti del vino”, non hanno.
    O meglio, lo capisco e lo so ma non lo condivido, per conoscenza diretta di molti piccoli imprenditori dell’Aglianico : è come al solito una questione culturale . Non ci si crede fino in fondo alle potenzialità che questo vitigno può esprimere nella cura maniacale del prodotto di partenza e poi nell’invecchiamento.Molte sono le responsabilità campanilistiche compiacenti di addetti ai lavori,di alcuni giornalisti,di molti politici di campanile,di sommelier e cosa molto grave, di enti istituzionali quali l’ “etereo” Consorzio di Tutela e degli inesistenti enti locali.Basta riunirci in quattro o cinque, competenti o incompetenti non importa, basta avere un titolo e a volte neanche quello, intorno ad un tavolo più o meno elegante, roteare il calice, pardon baloon, annusare come dei segugi alla ricerca della preda e sputare la nostra ennesima scontata magnificazione del liquido rosso che abbiamo davanti, a prescindere, il nostro territorio non ci può tradire. Il nostro territorio no, ma alcuni produttori frettolosi si : quelli che preferiscono investire i loro risparmi in B.O.T. piuttosto che nell’ elevazione dei propri prodotti. Non a caso siamo i teorizzatori di “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”. Siamo all’anno zero (non quello di Santoro). Che fare???
    Le soluzioni qui proposte sono tutte da sottoscrivere in pieno! Ma il problema è un altro : come arrivarci.
    Mi spiego meglio. Come convincere i Bernard Dugat-Py dell’Irpinia, mi scuso per l’accostamento improvvido, che è meglio stressare le viti per avere una minore ma migliore produzione?Come convincerli che un siffatto prodotto di partenza, avendo la pazienza e la lungimiranza di aspettare almeno dieci anni per immetterlo sul mercato, rappresenta sicuramente un investimento molto più sicuro e produttivo di un titolo di stato che nella migliore delle ipotesi ti fa recuperare solo l’inflazione?
    Allora, signori miei, qui entra in gioco l’onestà intellettuale delle persone, prima che dei ruoli. Ognuno di noi che riesce a distinguere un Fiano da un Aglianico, si rimbocchi le maniche e cominci a predicare questo verbo che qui abbiamo esplicitato fino alla noia, senza alcuna remora,senza alcun timore riverenziale nei confronti di politici, sindaci , grandi produttori e consorzi vari. Potremo dire abbiamo fatto la nostra parte.

  8. Gran bel pezzo Luciano.
    Hai ragione praticamente su tutto. Solo, credo che ci sia un alleato di cui non si tiene conto: il mercato. Se sbagli, ti punisce anche se non vuoi presto o tardi. Capisco il desiderio – e la necessità – di una visione d’insieme e di progetti a lungo periodo ma tra i tanti che lavorano con i piedi, tanto per, vedo giovani e meno giovani appassionati e tenaci, che si stanno facendo strada con i fatti e con le unghie.

    Fil.

    1. su questa cosa mi vengono due o trecento cose da dire.

      rendendomi conto che la stragrande maggioranza sono cattivissime mi astengo, non dopo essermi congratulato con il clooney di salerno :-)

      1. Caro Giancarlo, concordo per la cassa. Proporrei la cosa che ho visto recentemente.
        Luciano…

  9. Quante verità Lucià…
    Ci domandiamo da cinque giorni le stesse cose, e incazzati ci diamo le stesse risposte che tu hai magistralmente enunciato.
    Personalmente non credo pero’ nella difficoltà di stare sul mercato per mancanza di numeri, anzi reputo che possa essere una grande opportunità. Inutile provare a chiedere ad un produttore di Beaune o qualsiasi altro villaggio qui intorno vini di tre-quattro anni fa, non ne hanno se non per le proprie verticali (risicatissime).

    Chiedo scusa se vi è qualche errore di battitura ma qua pure i pc sono espressione del terroir…
    Angelo

  10. Tutto giusto, o quasi. Niente o poco da eccepire. Analisi giusta, corretta e condivisibile. Solo che mi sembra che tu sia un poco troppo severo e pessimista nel complesso. Capisco che il tuo ruolo di fustigatore, nella fattispecie, ti porta a spronare tutto l’ambiente per migliorare lo stato delle cose. Ma io credo che l’Aglianico, più di altri vitigni autoctoni meridionali a bacca rossa come il Primitivo, il Negroamaro, il Gaglioppo, il Cannonau, il Carignano o il Nero d’Avola sappia esprimersi a ottimi livelli qualitativi e venga apprezzato molto anche fuori territorio e, addirittura, all’estero. Per fortuna esistono ottimi produttori e una nuova schiera di preparati e competenti enologi, che hanno dato nuovo impulso a tutto l’ambiente. E’ vero che viviamo ancora in una fase di sperimentazione,di crescita, di identità specifica, ma certamente se raffrontiamo la situazione attuale con quella che si registrava appena 20 o 15 anni fa, bisogna affermare che le cose sono migliorate in modo esponenziale. Secondo me bisogna tener presente che in Campania, dopo aver insegnato a tutto il mondo la viticoltura – Francia compresa – abbiamo vissuto un lungo periodo di oblìo, dal quale siamo venuti fuoi soltanto da pochi anni. Questo, ovviamente, ha comportato uno sforzo notevole di tutto il settore vitivinicolo, per poterci allineare ad altre regioni più progredite del Paese, come la Toscana e il Piemonte, per esempio. Ma pian piano stiamo risalendo la china e proprio l’Aglianico – più ancora del Fiano, del Greco, del Piedirosso, della Falanghina e di altri vitigni locali – è diventato il nostro testimonial nel mondo, il nostro fiore all’occhiello. In conclusione, quindi, io penso che si possa essere più ottimisti e sereni per il futuro. Abbracci cilentani.

  11. Luciano, riporto parte di una discussione che dal tuo post si è aperta su Fb.
    Concordo al 90% su quanto da te scritto e “quoto” totalmente alcune parti. Concordo totalmente sull’importanza dell’elemento tempo, sull’identità territoriale e sulla sua forza nel contrapporsi alla logica dell’industria.
    Quel 10% di riserve che ho nasce dal fatto concreto che tra l’ideale e il reale, tra ciò che vorrei fare e ciò che riesco a realizzare, c’è un limite che è quello del flusso di cassa. E sto parlando del circolante, quello che mi fa stare in piedi, non quello che mi fa fare reddito. Tra l’ottusità dello scimmiottare la grande azienda e l’obiettivo di aspettare 10 anni per l’uscita di un vino c’è un mondo fatto di equilibri difficili e scelte coraggiose in un quadro macroeconomico generale” complicato”, in cui crediti bancari sono inaccessibili al settore, di spalle larghe e di dimensioni, di rischio imprenditoriale e di coraggio, ma anche di territorio che non fa sistema
    Esempio concreto, faccio nascere una riserva e la tengo in affinamento a lungo. Io oggi lo posso fare per numeri piccoli perchè ho problemi di spazi, immobilizzazioni di capitale anche solo per l’aquisto di semplici tappi e bottiglie per 10 anni o per destinare spazio della cantina all’invecchiamento per periodi così lunghi. Riesco ad essere lungimirante ma per un pezzettino piccolo piccolo.
    Quanto al resto, neanche un dubbio piccolo piccolo :)

    1. Si ho seguito la discussione e i numerosi interventi su Fb
      Ma a te chiedo: quale editore metterebbe in commercio un libro senza gli ultimi capitoli?
      Dunque, perché non pensare negli stessi termini di un Aglianico?
      Proviamo Taurasi 2004, 2005 e 2006 e con gli amici diciamo: ottimi, tra dieci anni ce li godremo…Ma non siamo negociant e non vorremmo diventare indovini.
      Per la spesa corrente, c’è il base, ci sono in qualche caso i bianchi. Senza contare che una volta arrivati al giro basta seguire anno dopo anno e non si è più senza vino.

      1. Concordo con la replica e credo sia così in tutte le professioni o le attività. Credo sacrosanta questa risposta “Per la spesa corrente, c’è il base, ci sono in qualche caso i bianchi. Senza contare che una volta arrivati al giro basta seguire anno dopo anno e non si è più senza vino.” Tuttaviamancano ancora i numeri per un “base” significativo. Ma è sicuramente uno dei punti fermi da considerare per una ripresa.

  12. Malgi ha ragione: i passi in avanti sono stati enormi negli ultimi anni. Bisogna avere pazienza, difficile correre sempre senza fermarsi mai

  13. Caro Luciano,
    la tua analisi è molto interessante, spero che mi aiuti nella mia attività professionale.Spesso ne parlo con i miei amici clienti della maturazione organolettica dell’aglianico, come condizione essenziale per il successo di questo vino.
    ti abbraccio

  14. qualche giorno fà, al rientro da una delle più belle e ben organizzate manifestazioni enologiche italiane
    TERROIR VINO ,sono arrivata alle sue stesse conclusioni ! quindi non può immaginare la mia gioia(c’è un pò di masochismo essendo io una produttrice di aglianico) nel leggere la sua splendida analisi su questo meraviglioso ma difficile vitigno.Certo non è per tutti ,ma ciò anche perchè è poco conosciuto al di fuori della Campania e Basilicata, forse perchè se ne parla poco, non tutti sanno che un vino a base di aglianico è giustamente tannico perchè i tannini lo caratterizzano,ecc.ecc.
    Comunque 100, 1000 articoli come il suo, che rendano edotti i comuni bevitori ,diano conferme a coloro che qualcosa con l’esperienza hanno imparato e soprattutto aprano gli occhi e diano spunti di riflessione oltre che sani consigli
    a quella miriade di piccoli produttori come me

  15. Buongiorno Luciano,
    analisi molto interessante, concordo a pieno con quanto scritto.
    Abito a Torino ma sono originario della Basilicata e credo di conoscere abbastanza bene l’Aglianico del Vulture e anche uanbuona parte di vini piemontesi.
    Ho provato più volte a cercare di far apprezzare e capire, con tutta la mia passione, l’Aglianico del Vulture a colleghi e appasionati senza ottenere grandi risultati perchè semprescimmiottato dai vini piemontesi…
    Mi viene però spontanea una domanda…perchè si è disposti ad aspettare 2-3-4….anni per poter bere un Barolo, un Barbaresco, un Gattinara e spendere anche 25-30 € e invece non è possibile aspettare gli stessi anni per bere un ottimo Aglianico del Vulture???
    Sto notando ultimamente in Piemonte (con le presentazioni del Barolo 2006 e del Barbaresco 2007) che si abbia la tendenza a fare vini ormai quasi pronti/pronti come richiede il consumatore ma a scapito del terroir e della loro caratteristica. Spero che questo nel Vulture non accada e che si continui a fare il vero Aglianico un po’ rude,tannico e duro……ma che lascia tanti ricordi e tante soddisfazioni!!!!

  16. Luciano la tua analisi è lucida, impeccabile e – come tutte le cose di un’evidenza incontestabile – si specchia nell’inerzia e nelle contradizioni della realtà del nostro sud dove alla fine sembra tutto difficile e dove vince la frammentazione. Dove, troppo spesso, ad aggravare le coser c’è anche la presunzione che impedisce di vedere soluzioni, idee che sono invece a pochi centimetri dal nostro naso. Leggendoti oggi mi è venuta in mente una frase di qualche anno fa quando un noto ristoratore/viticoltore di Montalcino una volta mi ha detto: “se al sud si lavorasse in prospettiva sull’Aglianico, noi dovremmo solo chiudere bottega”.
    Il treno del vino è il treno dello sviluppo e della difesa (dal cemento) del territorio (e del suo valore al metro quadro nel differenziale tra suolo agricolo e quello edificabile che in Campania è amplissimo, purtroppo). Un treno che purtroppo sta passando. Grazie per interventi come questi, magari qualcuno si convincerà…

  17. Giulia scusami, questo passaggio non mi è chiaro: “l’aglianico non può correre, poco si presta alle emulazioni, o a progetti innovativi di effetto scenico e mediatico…”

    Soprattutto perchè subito dopo aggiungi :”In questo senso i piccoli produttori lungimiranti, come Tecce, Il Cancelliere, e grandi scienziati – vignaioli come Luigi Moio stanno dando una spinta e un’impronta profonda verso il cambiamento, l’evoluzione…”

    Puoi chiarire questo passaggio?

  18. i produttori di aglianico dovrebbero consorziarsi per creare un prodotto di fascia media (io penso sui 7€ fissi in scaffale, non meno né più). tutti-i-produttori.
    altro che (come mi è arrivato alle orecchie recentemente) svendersi a meno di 3€ le meglio bottiglie..
    fissare un livello qualitativo legato all’aglianico in purezza e basta.
    ‘orca miseria!

  19. Dopo tre anni tutto drammaticamente vero se non in peggio sopratutto per le riserve la cui giacenza in cantina sta diventando seriamente preoccupante.Nel mio piccolo da un po’ di tempo sto lanciando l’idea di consorziarsi per aprire dei punti vendita nelle principali città prima che per disperazione finiscano ad uno ad uno nelle mani della grande distribuzione a prezzi sottocosto.FM.

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