Le saghe familiari e la filosofia Relais & Chateaux. La Bonne Etape a Chateau Arnoux


La grande tradizione, il senso di appartenenza territoriale , il campanile prima e  il nazionalismo dopo,  il senso del dovere,  il carisma generazionale,  la continuità infinita nei secoli  con la priorità “del tramandandarsi in famiglia” i segreti dell’artigianato,  i titoli annuali conferiti ai Migliori Operai di Francia, ed infine  la conversione di tutto quanto costruito pazientemente e rimesso finalmente  al giudizio del pubblico.  Il risultato ,  prevedibilmente concretizzatosi nel conseguente ed inevitabile riconoscimento mondiale del grande lavoro fatto per secoli . Quelle cose che così spesso sono mancate all’alta ristorazione italiana e che hanno invece contribuito sostanzialmente ad apportare tutti quei valori aggiunti all’industria del turismo e del comparto agroalimentare francese, attraverso la continuità nei secoli, sia in cucina che nei vigneti, piccoli  mattoni che tutti insieme hanno reso possibile la costruzione dell’ ineguagliata grandeur dell’arte dell’ospitalità su tutto il territorio d’oltralpe.

Troisgros, Blanc, Bras, Haeberlin, ma l’elenco potrebbe proseguire in un articolato percorso tristellato antecedente a qualsiasi Sopexa o altra organizzazione dedita alla promozione del prodotto agroalimentare francese . La grandi tradizioni familiari  rese note al pubblico grazie allo sviluppo progressivo di comunicazione immaginato da Andrè Michelin ed in seguito  alla filosofia Relais Chateaux,  quest’ultima nata  nel tardo secondo dopo-guerra per informare i primi agiati turisti su quali fossero le migliori soste sui cammini che collegavano Parigi al sud, verso il Mediterraneo.
In realtà l’associazione nacque nel 1954 sotto la definizione  soft  di “Relais de Campagne” e  solo venti anni dopo divenne più pomposamente rinominata Relais & Chateaux, e i primi associati furono pochissimi , situati  in direzione Mediterraneo e  in direzione Atlantico, le mete marine dei parigini.

Ciò rappresentava un modo di viaggiare profondamente  diverso dalla concezione turistica all’italiana, e ancora oggi la differenza è evidente. Un concetto saggio e rivelatorio di un certo savoir vivre identificato sotto l’efficace slogan delle cinque ” C ” :  charme, cuisine, courtesie, caractere, calme.  Un idea del “ Viaggiare “ che prevedeva lo spostamento durante la mattinata e parte del pomeriggio lungo le affascinanti ma trafficate Route Nazionali (pas d’autoroute all’epoque) , e fermarsi nel tardo pomeriggio per una sosta che includeva cena e pernottamento di qualità sotto il medesimo tetto.
Situazione che oggi, per le restrizioni alcoliche che ben conosciamo, sarebbe auspicabile sfruttare sempre di più per non rischiare nulla, salvo il trascorrere una bella serata a tavola e una serena notte di riposo in accoglienti camere invece che in un ufficio di Commissariato.

L'ingresso de La Bonne Etape, 18 camere, 50 coperti, grande cantina, piscina, parcheggio privato...

La rete Relais Chateaux si allargò e coprì con gli anni tutto l’esagono ed in seguito si allargò ovunque nel mondo. Ora non voglio entrare nei fatti politici economici legati all’associazione e neppure nelle trame di qualche poco velata polemica portata da diversi albergatori nei confronti della politica di espansione applicata dallo storico presidente Regis Bulot,  il Blatter del turismo, e preferirei tornare alla parte romantica dell’espansione della rete R & C .

Oltre all’asse centrale che scendeva da Parigi verso la costa mediterranea e a quello occidentale lungo la Valle della Loira , gli associati si diffusero su altre rotte di transito nord sud, proponendo la loro buona tappa di sosta. E proprio La Bonne Etape è l’insegna che sulla Route Napoleon invita a interrompere piacevolmente il tragitto tra le Alpi e la Costa Azzurra.

Anche qui la storia si ripete, perché sono quattro le generazioni che si sono succedute .  Il presente   nasconde  con difficoltà l’atmosfera decadente che sta velando  questo classico ristorante con annesse prestigiose camere,  cautamente stellato dalla  Michelin e invece spinto in passato alla sommità dei 18/20mi  dalla Gault Millau, nel tempo in cui usava ancora il punteggio . L’ultima della dinastia Gleize ha solo 13 anni e quindi il nonno dovrà aspettare ancora parecchio prima di poter sperare che la saga familiare possa ripartire con nuovo entusiasmo e riportare al rango che merita questa istituzione provenzale.

Scorcio della sala e Condrieu Cuilleron nel secchio. Il tutto di traverso, periodico omaggio al maestro del trasversale.

La sala borghese stracarica di colori, di tessuti, di mobili, di argenti, di suppellettili superflui, dove rimane ben poco spazio in cui muoversi agevolmente , e in cui  i giovani e incerti ragazzi lo fanno con ancor più imbarazzo degli stessi clienti. L’unica regista, la ragazza che vedete mentre scaloppa l’agnello al gueridon, che con pazienza materna cerca di portare a casa il risultato ,  sorridendo e assecondando, consapevole di non essere supportata da dei fuori classe.

Servizio al gueridon.

All’aperitivo, dove già i problemi di comunicazione con il sommelier criptico ci portano a bere un dolciastro kir cassis ( pas Royale, solo kir purtroppo…) che sarà accompagnato da un tristissimo piattino di fiori di zucchino giustiziati sommariamente in friggitrice, ma più che altro direi vulcanizzati. L’orto biologico di proprietà è una bella cosa, però se poi maltratti così la verdura che di nuovo dovrebbe ribellarsi alla filosofia Steineriana per come utilizzata e proposta con il ruolo importantissimo di amuse bouche, dove se la cava in corner solo la brunoise di zucchina alla menta mentre la melanzana confit e la brandade di patate e baccalà non sono degne di stelle, neanche col binocolo.

Aperitivo e mise en place.

Amuse bouche.

Peccato anche per la melanzana in insalata calda di porcini e tartufi, dove si salvano solo gli ottimi porcini mentre l’amara melanzana si trascina dietro anche l’incolpevole tartufo. Fa tenerezza vedere la presentazione infantile della tartare di salmone marinato maison, dove è stata ricreata la sagoma di un battello con tanto di vele e ruote laterali. I condimenti eccessivi (senape e limone) e la temperatura polare di servizio faranno il resto.

Tartare de saumon en bateau...

Insalata calda di porcini, melanzane e tartufi neri...

Il carrè d’agnello, la cui cottura è stata richiesta ma poi non rispettata, si salva comunque perché ugualmente tenero. Molto meglio i fiori di zucchina farciti e gratinati al forno che lo accompagnano. E meglio ancora il maialino farcito e servito con patate noisette, tenero e succoso , il miglior piatto della giornata.

Maialino farcito, pomme noisette.

Carrè d'agnello e fiori di zucchine farciti.

Un capitolo a parte merita invece la carta dei vini, perché quando si capita dentro ad una situazione declinante, che ha perso forse buona parte della clientela storica, ci si ritrova spesso di fronte ad una impressionante scelta di grandi vini rimasti invenduti negli anni. E qui, più che in altre decine di monostellati francesi, varrebbe la pena di tornare anche solo per fare scempio di questa cantina che offre grandi cru a partire dagli anni 40-50 a prezzi congrui.

Corton rouge Bonneau du Martray 1982

... e il suo tappo.

Però per essere certi della buona conservazione bisognava fare un test ed eccoci quindi alle prese con questo Corton grand cru (rosso) del Domaine Bonneau du Martray 1982 . Annata piccola sull’appellation , lo so, ma per fare un test doppio va bene, perché così senza spendere una follia abbiamo potuto verificare la tenuta della cantina. Tappo perfetto, etichetta quasi illeggibile ma vino in condizioni più che confortanti, terziarizzato con gentilezza e bevuto piacevolmente anche con la piccola ma più che dignitosa selezione di formaggi.

Banyuls Hors d'age Parcè

C’è spazio anche per un Hors d’Age di Banyuls, almeno per me, Maffi non mi segue più, l’ho perso  sui sentieri scoscesi  del Roussillon, lo ritrovo solo per un assaggio di coreografica piccola pasticceria. Il vino mi conferma che qui si può tornare, ne ho parlato con il mio avvocato di questa cantina, mi ha subito garantito che a Chateau Arnoux si “debba tornare assolutamente”,  nonostante tutto,  si debba comunque tornare, anche prima che la giovane Gleize diventi maggiorenne.

Dettaglio della piccola pasticceria.

La saga familiare e la filosofia Relais Chateaux mantengono il loro  fascino, e noi italiani, pieni di complessi di inferiorità,  continuamo a subirlo piacevolmente, come un temporale estivo.

gdf

 

La Bonne Etape – Pierre e Jany Gleize

Route du Lac

04160 Château-Arnoux

Tél : 33 (0)4 92 64 00 09

[email protected]

www.bonneetape.com

GDF

4 Commenti

  1. associazione costosissima per gli albergatori, e in certe zone europee, Spagna in particolare, abbandonataa se stessa

  2. “un tristissimo piattino di fiori di zucchino giustiziati sommariamente in friggitrice, ma più che altro direi vulcanizzati”: Roberto, ma dove le trovi queste espressioni che rendono al 200/100 l’idea di quello che vuoi comunicare? Bravissimo, ma consiglio vivamente ai ristoratori di tutto il mondo di prestare attenzione agli avventori che indossano lacoste e pantaloni color senape o giù di lì…
    P.S. Il tappo del “Corton” non mi sembra proprio perfetto…

    1. Si Lello , intendevo dire che l’umidità del tappo , uscito senza sofferenza, rivela la bontà della cantina. Il tappo proprio perfetto di suo non è, ma sono stato felice che sia uscito nel modo migliore dopo 28 anni ;-)

      Il fiore di zucchino non aveva alibi, quello lasciato nel piattino era annerito .
      Non lo puoi portare in tavola così…

  3. Il complesso di inferiorità è legato all’imitazione non riusicta. Invece di perseguirla, basta uscire dall’imitazione, cercare la propria specificità, crederci e promuoverla. Nelle cose che contano non valgono i modelli, valgono le specificità.

    Oggi i canali di comunicazione sono più democratici, se si imparasse ad usarli meglio il gap con la potenza dei grandi sistemi, dei grandi gruppi, diminuirebbe. Anzi sta già diminuendo.

    Loubet m’è piaciuto moltissimo, la cucina e la rece sprizzavano gioia, invece in questo dove il suggerimento è di andarci solo per bere qualche buona bottiglia è sostanzialmente triste anche il tono della rece. Si dice no? bere per dimenticare.. Il bere fa gioire, fa conoscere, fa ricordare e fa anche dimenticare.

    Ma la profondità e la vivezza, in verticali di millesimi, con cui in queste rece viene trasmessa un’esperienza, si condividano o no tutte le convinzioni gdf, attivano sempre il piacere più grande, quello di imparare.

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