L’eredità campana di Serena Gusmeri per Vecchie Terre di Montefili, Chianti Classico
Ho incrociato le vivacità e determinazione di Serena Gusmeri diversi anni fa quando lavorava per gli affascinanti progetti dei fratelli Muratori tra Benevento e Ischia. La ritrovo oggi come enologa e agronoma e, spesso e volentieri, portavoce del Chianti Classico Vecchie Terre di Montefili tra Greve e Panzano Treasures of Biodiversity – Vecchie Terre di Montefili
Si è trasferita lì nel 2015 dopo l’acquisizione da parte di tre amici americani (Nicola Marzovilla, Frank Bynum e Tom Peck Jr) di questa proprietà nata nel ‘75 che si distingue per le altitudini (540m s.l.m.) riscontrabili nella tensione di ogni sorso, fil rouge della verticale svolta il 29 maggio presso il noto ristorante l’Ebrezza di Teonilla a Napoli.
“L’esperienza campana ha sviluppato in me la passione per l’autoctono” dichiara subito Serena ed è, quindi, solo Sangiovese per i suoi Chianti Classico.
Dodici ettari e mezzo a corpo unico (tra Panzano e Montefioralle) non sono una banalità, undici sono dedicati al Sangiovese con tre diverse coste (– Pietraforte, Alberese e Argilliti Scistose) e uno e mezzo al Cabernet Sauvignon per il singolo Super Tuscan aziendale per un totale di 6 etichette tra Chianti classico, 2 Gran Selezione (una selezione e uno da vecchie vigne), un Sangiovese da vigneto storico, oltre al Super Tuscan (Cabernet Sauvignon in prevalenza sul Sangiovese).
La cena napoletana è stata occasione di una verticale per pochi colleghi del territorio con abbinamenti perfetti proposti dalla solita professionalità di Luca Di Leva. Gradevole l’annata 2021 giovane e fruttata con il ragù vegetale, sorprendente l’abbinamento della 2019 con triglia, lardo e piselli per quanto carnosa e decisa a richiamare un rosso di questa portata. Un classico appagante il connubio del 5/4 di manzo arrostito con ketchup di ciliegie con la 2017 o il suo classico raviolo con genovese in accostamento alla 2016. Infine i formaggi campani (come provolone del monaco, il blu di bufala e il Carmasciano) sgrassati dalla 2015.
Un percorso lineare che ha fatto venire fuori le annate in purezza per un vino vinificato in acciaio con fermentazione spontanea e affinato in botte grande di 30Hl (le vecchie Gambellotto rigenerate per sfruttare le doghe più spesse). L’obiettivo è anche quello di esaltare il lavoro di zonazione.
La proprietà americana ha dato una spinta anche all’internazionalizzazione con il mercato italiano che copre il 20% ma che si prospetta di fare crescere in percentuale.
Dunque, in sintesi, ho trovato golosa e immediata la 2021 con note di marasca e spezie verdi rinfrescanti; stratificata la 2019 la cui sintesi perfetta potrebbe essere rappresentata dall’arancia amara intinta nel cioccolato poi ciliegia sotto-spirito, fumo e patciouli per un sorso tannico ma non pesante. La 2017 risponde all’annata eclettica con succosità ma senza perdere in acidità al sorso. Invece la 2016 colpisce per finezza e , è penetrante più che intensa con note di frutti di bosco, castagna, ardesia e un soffio balsamico; composta al palato per un sorso austero. La 2015 è densa ed evoluta con note di caffè, avvolgente con finale ammandorlato.