Life of Wine ed il valore della longevità


Life of Wine

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di Daniele Moroni, Gianmarco Nulli Gennari, Maurizio Valeriani

Un evento che si fonda sull’importanza dell’evoluzione del vino, non è cosa di tutti i giorni e per di più non può lasciare indifferenti proprio noi che nella nostra Guida (I Vini d’Italia de L’Espresso ), presentata da poco alla Lepolda di Firenze abbiamo introdotto una sezione dedicata ai “100 vini da riassaggiare”.

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È stato dunque naturale partecipare con entusiasmo a “Life of Wine”, manifestazione organizzata dallo studio UMAMI  a Roma il 29 Ottobre presso l’Hotel Radisson. Sessanta aziende di diversi territori italiani hanno presentato la loro ultima annata in commercio, di uno dei loro vini particolarmente rappresentativi,  affiancandogli un’annata con qualche anno di invecchiamento e un” pezzo di storia della cantina”  per dimostrare che il vino evolve e spesso quelle bottiglie dimenticate nel tempo sorprendono colui che ha la fortuna poterle assaggiare.

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Ecco i vini che ci hanno particolarmente sorpreso:

Alto Adige Müller-Thurgau Feldmarschall 2015 e 2009  prima e ultima annata del tappo a vite) – Tiefenbrunner.

L’annata 2015 mette in mostra la gioventù, con note di nocciola, erbe alpine e agrume in evidenza e  vivacità, densità e persistenza, che  ne confermano le formidabili doti;

L’annata 2009 evidenzia come il Müller-Thurgau  abbia la capacità di sfidare il tempo. Il bouquet è avvicinabile a quello del Riesling Renano con una nota di idrocarburo che ben si sposa con sensazioni di frutta secca. Il sorso è ancora vivo con un lungo e piacevole finale di pietra focaia;

Alto Adige Sauvignon Voglar 2008 – Peter Dipoli. Siamo davanti a un vignaiolo singolare e a una figura di riferimento per i colleghi: appassionato vero, distributore di etichette straniere, ha da poco festeggiato il quarto di secolo come produttore. La sua cantina firma un sauvignon che da anni è caposaldo per tutta la regione. Questo 2008 è ormai giunto a piena maturità e ha una beva irresistibile: alterna all’olfattiva i classici sentori varietali di foglia di pomodoro a note più minerali, mentre in bocca è slanciato, vibrante, di grande precisione ed eleganza, quasi salato. Allungo e chiusura sono da manuale. Sorprendente per freschezza e vitalità il 1992 (se vi capita la bottiglia giusta), terza annata prodotta;

Verdicchio dei Castelli di Jesi riserva San Paolo 2010 – Pievalta. La succursale marchigiana dell’azienda franciacortina Barone Pizzini ha da tempo spiccato il volo e si propone ormai come tappa obbligata per gli amanti del Verdicchio. Questa etichetta in particolare può vantare una regolarità impressionante: abbiamo trovato ottimi vini del 2015 (un pargolo in fasce), del 2009 e del 2004, che a differenza di quanto avviene ora affinò anche in legno. Il 2010 è la quintessenza del vitigno, con un naso ancora nervoso dominato dalla nocciola, dalle erbe fini e dai cereali; palato avvolgente ed equilibrato, dal frutto croccante e saporito, con discreta acidità e piacevolissimo finale speziato e ammandorlato;

Rossese di Dolceacqua Superiore Posaù 2010 – Maccario Dringenberg. Quella di Giovanna Maccario è una delle aziende protagoniste della rinascita della denominazione ligure, un terroir che Luigi Veronelli, spesso in vena di iperboli, aveva paragonato a Romanèe Conti. Questo 2010 presenta profumi silvestri e mentolati, poi spezie, iodio, fiori, frutti di bosco; tannini finissimi, ricamati, succosi, per una beva complessa, con ricordi di china e frutta secca. Di gran classe, bella progressione e lunghissima persistenza. Il 2016 della stessa etichetta promette altrettanto;

Chianti Rufina Riserva 1980 – Selvapiana. Forse la bottiglia più emozionante della giornata, da una tenuta che da sempre rappresenta l’essenza della Rufina. La longevità dei suoi rossi pare sia perfino proverbiale ed ecco la conferma: un vino di 37 anni quasi irreale, che mantiene corpo e acidità addirittura esuberante (in azienda ricordano che non fu svolta la fermentazione malolattica), testimone fedele della sua terra e dello stile in quegli anni prevalente, in Toscana e non solo. Nelle annate più recenti (come la 2013, la 2009 e la 2007 provate al Radisson) sembra imporsi un profilo “modernista”, con toni dolci e maturità del frutto più spinta;

Primitivo di Gioia del Colle Muro Sant’Angelo Contrada Barbatto 2009 – Chiaromonte. La lunghezza del nome, davvero impegnativa, è però direttamente proporzionale alla bontà del liquido nel bicchiere, per chi scrive uno dei migliori Primitivo mai assaggiati. Da vecchi alberelli recuperati all’abbandono, un vino che è un miracolo di equilibrio: la potenza dell’alcool e degli zuccheri, tipici del vitigno, sono contrastati e bilanciati alla perfezione da una freschezza di frutto purissima, avvertibile anche al naso, che regala infine un sorso complesso, profondo, perfino elegante, dalla dinamica irresistibile. Di poco inferiori le edizioni 2010 e 2013;

Barbaresco Rabaja 2014 e 1998 – Cortese: un Cru di Barbaresco che mette in evidenza la longevità del Nebbiolo:

Annata 2014:  le note floreali e fruttate del vitigno sono evidenti e ben si accompagnano a profumi di spezie, cioccolato, caffè e rabarbaro. Il tannino sorregge note fresche e mentolate anticipando una chiusura molto persistente;

Annata 1998 i profumi si sono evoluti, note di macchia mediterranea si accompagnano a spezie dolci, cuoio e tabacco, un tannino elegante e vivo introduce un finale speziato e persistente;

Vino Nobile di Montepulciano 1997-  Salcheto: un vero e proprio capolavoro con freschezza e sapidità in evidenza, toni di sottobosco che si uniscono a sentori di frutti rossi e spezie, e una sorprendente succosità e persistenza.

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