Manuela Piancastelli, Pallagrello. Il vino del vento, del fiume e del re


La copertina del libro sul Pallagrello di Manuela Piancastelli

Da migliaia di anni si fa il vino in Italia, ma da pochissimo siamo passati dall’empirismo pratico alla scienza. La riscoperta dei vitigni cosiddetti minori ne è una testimonianza, posto che anche per i più famosi gli studi non abbondano: non c’è paragone fra il numero saggidedicati allo Chardonnay con il Fiano, il Greco e la Falanghina messi insieme. Ecco perché il libro da poco in libreria di Manuela Piancastelli è decisamente prezioso. Con il piglio di una scrittura giornalistica, dunque capace di farsi capire da tutti, e la pignoleria di una ricerca che sempre contraddistingue i suoi lavori(voglio ricordare l’ultimo su Basile, “Napoli, zuccaro & cannella. Cibi e vini da favola nel Cunto de li Cunti” per i tipi di Valtrend. Con lo stesso editore ecco adesso «Pallagrello. Il vino del vento, del fiume e del re» (224 pagine, 18 euro). Si tratta di uve bianche e rosse che fecero parte della famosa Vigna del Ventaglio voluta dai Borboni che all’agricoltura e alla zootecnia hanno sempre dedicato grande attenzione.

Manuela è stata protagonista della sua riscoperta e del suo rilancio insieme a suo marito Peppe Mancini, sostenuti da Luigi Moio. Sarebbe bastata il racconto della riscoperta di questa piccola epopea vitivinicola che ha come scenario le oniriche colline di Caiazzo e Castel Campagnano per avere il materiale per un libro. La giornalista lascia questo racconto a Peppe per dedicarsi ad un duro e difficoltoso lavoro di ricostruzione sulle origini di questo vitigno intimamente legato al Volturno basandosi sulle ricerche di archivio e di biblioteca. La scrittura scorrevole e piacevole ci fa vivere gli ultimi secoli del Regno delle Due Sicilie in modo entusiasmante e sorprendente. Apprendiamo, tra l’altro, come i vini toscani fossero in parte già rinomati ma che anche la Campani era una regione importante per la qualità, fino alla fillossera, una sorta di Armageddon della viticoltura che in Campania arriva in ritardo, quasi a ridosso della seconda guerra mondiale, cancellando tracce e memoria di molte uve autoctone. Tra queste, appunto, il Pallagrello Bianco e il Pallagrello Rosso.
Dicevamo che Manuela è stata protagonista della riscoperta di queste due uve oltre che di una terza, il Casavecchia, prima da giornalista, poi da vera e propria produttrice mettendo sul mercato bottiglie di eccellenza sempre premiate dalle guide specializzate superando non poche difficoltà, burocratiche anzitutto e poi anche societarie. In poco più di vent’anni questo vitigno ha potuto ricostruire un proprio profilo commerciale determinandola nascita di almeno una ventina di cantine impegnate nella sua produzione. Un vero e proprio successo difficile da replicare oggi.
Il libro è dunque al tempo stesso una sorta di una autobiografia di una memoria prima individuale e poi finalmente collettiva, ma al tempo stesso un affresco sulle vicende vitivinicole degli ultimi tre secoli a Napoli e in Campania.
Imperdibile.