Menu Degustazione / Aimo e Nadia bistRo, Milano


bistRo, Risotto Carnaroli, zucca, taleggio e maggiorana

bistRo, Risotto Carnaroli, zucca, taleggio e maggiorana

di Fabrizio Scarpato

C’è la cucina d’autore, originale, personale, tecnica, e c’è la cucina che si ispira alla tradizione. Quanto a personalità e originalità la seconda potrebbe anche superare la prima, non fosse altro perché la tradizione è fatta di memoria, ricordi, esperienze le più diverse, perché diverse sono le persone e differenti sono i luoghi. Talvolta questi due modi di approcciare fornelli, padelle e tegami si identificano in un solo cuoco, in una sola tavola: in quel fortunato caso il commensale sarà fornito di scalette, caschetto e lampada da speleologo, perché la profondità e la verticalità di sapori e riferimenti culturali saranno tali da richiedere un certo partecipato e divertito impegno, non esente da coinvolgimenti emotivi.
C’è poi la cucina del “vorrei ma non posso”, in cui saranno sufficienti al limite un paio di bermuda per sciacquettare in superficie tra modaiolismi, fiorellini, fogliolinismi, bottoncini e ghirigori prêt-à-porter, come se l’abito, compreso trucco e parrucco, fosse sufficiente a fare il monaco, senza peraltro interessarsi più di tanto a chi sia, da dove venga e cosa abbia da dirci il monaco suddetto.
Ma c’è anche una cucina del “potrei ma non voglio”, in cui il cuoco non cade nei tranelli dell’apparenza, magari ha persino confidenza con la storia del monaco, che poi sarebbero gli ingredienti che usa, ma preferisce non impegnare il cliente in escursioni ritenute troppo faticose (o inutili, chissà) limitandosi ad offrirgli un pacchetto che comprenda buon cibo, un locale gradevole, una piccola carta con vini di tendenza, prezzi accettabili (o quasi…), una spruzzata di mondanità, magari qualche goccia di cultura, in una miscela che forse vorrebbe essere rassicurante, lontana dagli eccessi sia speleologici che natatori, ma che porta con sé la necessità di non sbagliare una misura, di non perdere equilibrio tra le componenti, pena un galleggiamento piacevole ma alla fine noioso.
Com’è o come non è, quando entri nel ”bistRo” di Aimo e Nadia e ti rifletti in quella scultura dorata affissa alla parete, sei portato a pensare a una esperienza diversa, perché diverso è l’arredo e diversi i colori rispetto a quelli che di norma siamo abituati a cogliere in un ristorante. Un ingresso, due sale poste su due piani e una miriade di “angoli”, di cantucci in cui magari rifugiarsi, accoccolandosi per la colazione, stringendo a sé un cuscino al momento del tè o dell’aperitivo, verosimilmente beandosi di un caleidoscopio di colori a seconda del tipo e dell’intensità della luce, naturale o artificiale che sia. Perché c’è l’angolo orientale con carta da parati in tessuto raffinato raffigurante tigri, serpenti e cardellini nascosti in lussureggianti intrecci di fogliame, o quello floreale  che richiama la pop art warholiana, ma anche certe coperte all’uncinetto della zia, o ancora il velluto e il raso dalle verdi iridescenze della sala grande, griffate Etro, il tutto contrappuntato da cuscini variopinti, da mobili e sedute in legni e di epoche diverse, che si alternano sotto il grande lampadario viola in stile liberty. L’occhio vaga divertito, la mente si astiene,  incuriosita  ma anche insospettita dall’abbondanza di tessuto e da piccole incongruenze come la grande finestra nuda che dà su un anonimo piazzale, o il varco aperto che dal tavolo in sala mostra il retro del bancone del bar nell’altra stanza, o ancora il grande condizionatore sospeso sull’apertura che affaccia sul passe della cucina, che non è propriamente a vista ma certamente a portata di udito, a giudicare dalla netta percezione delle strigliate del cuoco all’indirizzo dei giovani ragazzi del servizio.
L’indirizzo della carta guarda alla cucina classica italiana, da nord a sud, e c’era da aspettarselo visto l’imprinting della casa madre. Così si alternano i sapori piemontesi di una buona Tartara di vitella, arricchita da una salsa tonnata decisamente pregevole, e l’intensità tutta siciliana degli Spaghettoni con pesto di erbe, pomodori secchi, mandorle e bottarga, ricchi e opulenti tanto da apparire un filo asciutti; oppure il profumo del tartufo bianco, grattato generosamente su un Uovo morbido con spinaci, cavolfiore e nocciole, e il calore di uno Stufato di Fassone, sedano rapa e barbabietole di buon morso, passando per un Risotto, zucca e taleggio ben fatto quanto ecumenico (spirale compresa).
bistRo, Tartara di vitella, salsa tonnata e insalate di campo

bistRo, Tartara di vitella, salsa tonnata e insalate di campo

bistRo, Uovo morbido, cavolfiori, spinaci e nocciole

bistRo, Uovo morbido, cavolfiori, spinaci e nocciole

Cucina confortevole, per una sala piena, tra il brusio delle voci e il tintinnio delle posate, ma forse poco profonda, priva di guizzi e di estrazione nei piatti. Almeno fino a una strepitosa Pasta mista con cozze, broccoli, limone e peperoncino che finalmente dà una spallata alla chiacchierata, all’incontro di lavoro, alla riunione di famiglia per riportare l’attenzione sul piatto, che è lì davanti a te e se ne frega delle nuances delle pareti, ma racconta semplicemente una storia di calore e sale, di forza e tradizione, di ammiccamenti e passione.
bistRo, Pasta mista, broccoli, cozze, peperoncino e limone

bistRo, Pasta mista, broccoli, cozze, peperoncino e limone

E’ probabile che l’arredo, curato dalla gallerista e designer Rossana Orlandi (ecco il -Ro evidenziato nel nome) vicina di casa al di là di un bel cortile molto milanese, voglia richiamare sentimenti avvolgenti, di complice intimità, ma in qualche modo anche trasgressivi, passionali, pur muovendosi sul limite sottile del ridondante.
bistRo, Stufato di vitellone Fassone, sedano rapa, barbabietola

bistRo, Stufato di vitellone Fassone, sedano rapa, barbabietola

bistRo, Carpaccio di ananas all'anice stellato

bistRo, Carpaccio di ananas all’anice stellato

La proposta della cucina invece appare come volutamente semplificata, ineccepibile, ma solo raramente capace di innescare meccanismi di curiosità e spiazzamento, determinando un effetto distonico nelle aspettative, uno scollamento che lascia sospesi, non coinvolti fino in fondo, in un’altalena tra bellezza e malinconia paolocontiana, quella da tinello marron. E se questo straniamento dovesse invece essere l’obiettivo finale, i dolci non farebbero che sottolinearlo: prima una Mousse di cioccolato con uva fragola e noci che viene inopinatamente servita in un asessuato e mesto bicchiere, poi un Carpaccio di ananas marinato con anice stellato, che diventa emblematico, perché costruito, nudo, morbido, dorato, vellutato, postmoderno, bellissimo, buonissimo… ma pur sempre solo e soltanto un frutto, seppur mirabilmente affettato e impreziosito. Tutto molto semplice, si potrebbe dire. Pure troppo: perché la semplicità è un’altra cosa, un’altra fatica, e come tale spesso la più difficile da realizzare.

Aimo e Nadia bistRo
via Matteo Bandello 14
Milano

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