Pizza Chicago Style, vale una capitale mondiale?


Pizza Chicago

Alta, soffice e stracondita, figlia di una teglia oliata e profonda.

Pizza Chicago: uno stile che vale una capitale mondiale?

La città del vento si autoproclama tale e, mentre Napoli inorridisce, gli Stati Uniti non soltanto ci credono, ma ne sono persino convinti, al punto da interrogarsi più sulle diverse varianti a stelle e strisce che non su quelle nostre.

Icona almeno quanto gli hot-dog, la “Chicago-style pizza” è di gran lunga uno dei cibi più amati del Midwest, addirittura dell’America intera. Lontana diecimila miglia dal sottile disco di pasta napoletano, affonda le sue radici burrose negli anni ’40 del secolo scorso e trova nel boom economico delle grandi catene, e nei volti famosi dei tanti testimonial, la chiave di un successo che la celebra nel mondo.

Un cognome a caso? Obama, ad esempio. Con Michelle che la adora e con Barack che invece, quasi tradendo il contesto che lo ha cresciuto, dichiara a scena aperta di preferire la “New York-style”. Comunque meglio rispetto alle sue origini hawaiane, stando alle quali avrebbe magari potuto inneggiare pure…all’ananas.

Immagini e sapori parlano da soli. E riconducono più alla nostra focaccia che non alla nostra pizza. Il cornicione è alto quasi 5 centimetri, quasi quanto la pizza stessa. La cottura non ha praticamente nulla a che vedere con i 90 secondi del forno a legna, bensì è lunghissima e oscilla tra i 30 e i 50 minuti. La farcitura è un trionfo (o un disastro, dipende dai punti di vista) di formaggio, mozzarella e pomodoro, ma anche di salsiccia, salame, cipolle, peperoni e in generale verdure. Una sorta di festa, dunque. Un po’ troppo “rumorosa”, storce il naso qualcuno.

Una specialità che tuttavia a certe latitudini è cultura, orgoglio e attrazione turistica. Nonché già Storia, appunto. Già stile e capitale da proclamare, da celebrare. Un capolavoro diverso da quello napoletano Patrimonio Unesco, ma non per questo meno sentito o meno prestigioso. Almeno a detta degli amici americani, che rivendicano per bocca di noti commentatori una possibilità di scelta, una varietà e una diversità senza pari. Senza contare, peraltro, i numeri di un impianto colossale: il consumo è di 13 chili l’anno per persona (più di un chilo di pizza al mese!), il business vale un quinto della ristorazione, vende 3 miliardi di pizze l’anno, produce un giro d’affari da 35 miliardi di euro.

Una mostruosità che, no, non lascia a Napoli l’esclusiva del concetto e che anzi Napoli la sfida apertamente, per quanto le reazioni non si siano fatte attendere.

E così, mentre qualcuno la corregge con della farina di mais e mentre tutti la descrivono come croccante e fragrante, ma al tempo stesso come burrosa e scioglievole, il miracolo di Chicago reclama il suo palcoscenico e se lo prende. Con buona pace di noi napoletani, ma la partita non è chiusa, non finisce certo qui. Alla prossima pronuncia, al prossimo tweet, alla prossima pizza.

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