Pizza, Sergio Miccù (APN): torniamo a chiamarla a casa e in ufficio


Pizzaiuoli school square

Pizzaiuoli school square

di Sergio Miccu

“Chiamiamo una pizza?”. 
Negli anni ’70-’80 questa era una frase bellissima. Pronunciata intorno all’ orario di cena, significava letteralmente telefonare alla pizzeria sotto casa e ordinare una pizza a domicilio.
Non si chiamava delivery e non c’erano i riders ma quando il “ragazzo delle consegne” arrivava con quel cartone fumante era gran festa. E il profumo era già sinonimo di convivialità familiare.
Sergio Miccu'

Sergio Miccu’

Il fenomeno di quello che poi è stato definito pizza gourmet era inimmaginabile come pure l’evoluzione della diatriba sugli impasti e, lo dico senza polemica, il dibattito sulla biga, sul cornicione canotto.
La pizza era semplicemente e magicamente la pizza.
E, per i locali, era certamente più cospicuo il fatturato derivante dall’asporto che quello dovuto al consumo al tavolo.
Memore di quei tempi e di quell’esperienza, il mio invito ai consumatori oggi è proprio quello di  tornare a “chiamare la pizza” a domicilio.

Se oggi, ai tempi del Covid, i ristoranti e le pizzerie restano aperte fino alle 18, dobbiamo tener presente che le consegne a domicilio sono sempre consentite.

Con una telefonata alla pizzeria sotto casa o alla pizzeria preferita possiamo, da un lato, aiutare i pizzaiuoli e dall’altro riscoprire quanto è bello riunire la famiglia intorno ad un tavolo a mangiare una pizza.

Abbiamo postato questo messaggio anche sul nostro canale Fb.

Insieme a messaggi di speranza: la pizza ha superato tutti i momenti critici, le Guerre, il colera e la Spagnola: sono certo che sarà l’alimento base dal quale potrà ripartire, speriamo presto, l’economia di settore.

Facciamo una telefonata alla pizzeria sotto casa. Mangiamola a domicilio. Aiutiamo la pizza. Aiutiamo l’economia di Napoli e della Campania.

Sergio Miccù