Puianello di Quattro Castella, Reggio Emilia: l’Arciprete


Via Taddei, 11/C
Tel. 0522.886525
Aperto solo la sera. A pranzo su prenotazione.

Il cotechino

Ad appena cinque chilometri da Reggio, un piccolo locale, venti coperti venti, luci soffuse, eleganza essenziale.
Francesco Miselli ha girato tanto, venti anni vissuti tra Canada, Nicaragua fino poi alle tappe di studio in cucine italiane importanti, come l’Ambasciata di Quistello, dove si è definitivamente convinto che la presentazione di un piatto è fondamentale ma nella testa dello chef deve sempre seguire – mai precedere – l’esecuzione. Poi, tre anni fa, due ottimi motivi per fermarsi: una bimba e l’apertura di un ristorante in proprio, con la moglie Emanuela in sala.
Aperto alle novità, ai giochi del gusto, non condivide gli esperimenti che hanno come punto di partenza concettuale la mise en place, invece che la ricerca dei prodotti e il lavoro ai fornelli. I suoi 4 fuochi sono il baricentro assoluto della sua idea di cucina. Quasi nulla passa velocemente in padella. Cotture lente, salse, fondi. Tutto prende il suo tempo. Anche perché lo chef dell’Arciprete recupera molto della tradizione emiliana e modenese (è di Sassuolo). Il suo macellaio di fiducia gli dice che è l’unico a comprare la coda, o il guanciale di manzo: sono pezzi difficili, richiedono ore e ore di cottura. Ma perché rinunciare ad un muscolo come il guanciale di un ruminante, sempre in allenamento? E’ uno spreco farlo finire nel “macinato” secondo Francesco. Che lo fa bollire per 5 o 6 ore e riposare nel suo brodo per una notte intera, così che il giorno dopo è pronto (!) per la cottura.
Cominciamo con due dei suoi divertimenti preferiti, le chips di zucca, e il sushi di parmigiano, semplice e gustoso come lo può pensare un emiliano contento di tornare a casa dopo l’Oriente: bietola al posto delle alghe, il colore del balsamico invece che della soia, sapidità e freschezza in ottimo equilibrio.
L’apertura del pasto, come il resto del menu’, offre una buona scelta tra carne e pesce, quest’ultimo spesso e volentieri sottoposto ad affumicatura, seguendo la lezione canadese. Molto buona la millefoglie di cotechino con purea di patate, sgrassato dalla salsa verde emiliana ma soprattutto dallo zenzero candito. Attenzione, in questo caso la spezia non è un richiamo esotico, ma l’ingrediente principe di una salsa casalinga del Natale di Modena di qualche generazione fa, lavorato insieme al pangrattato e al balsamico. La variante di pesce prevede uno spiedo di pescatrice, servita in “abito autunnale” con umido di pomodoro e polenta di castagne in fiocco; oppure il polpo grigliato, in realtà ancora un gioco di cotture: viene prima lessato a pressione con olio, prezzemolo e pomodorini e solo dopo passato alla griglia.
Nel breviario del territorio al capitolo delle “prime minestre” la parola tortello non può mancare. Qui sono ripieni di baccalà, la sfoglia è da manuale, come quella dei cappelletti solo saltati in padella, serviti asciutti con tanto parmigiano reggiano. Il baccalà viene anche proposto come secondo piatto, fritto in polpette accompagnate dalle mostarde preparate in casa. E poi filetto di sogliola con fondo di cottura alle mandorle e carciofi fritti oppure un’ottima coda al nocino, intenerita prima al forno e poi ben stufata, o, ancora, costata di bufalo.
Per chiudere una fetta di salame di cioccolato, come alle feste di quando si era bambini (il cacao è sopraffino, conviene cedere alla tentazione, e ai ricordi) oppure un bicchiere di zabaione servito caldo, direttamente dal paiolo alla faccia di tutti i dessert ipocritamente leggeri.
La carta dei vini propone buone etichette del territorio con qualche frettolosa incursione in altre regioni: meglio restare in maniera più convinta e curiosa in Emilia. Ed infatti Francesco ed Emanuela stanno studiando un percorso di lambruschi più strutturato che porti nel loro locale le cantine della zona. Il pane e i grissini sono fatti e aromatizzati in casa, il servizio qui è ospitalità vera e quindi non sarete sorpresi di non trovarlo tra le voci del conto. Sui 40 euro, ben spesi.

Virginia Di Falco