Rapicano, a Carinola torna il Falerno


La spinta casertana è dovuta alla scoperta commerciale del casavecchia, del pallegrello nero e bianco, vitigni che hanno fatto venire la voglia a molti di mettersi a produrre dopo le grandi interpretazioni di Moio che li ha fatti scoprire alla critica e al pubblico. Abbiamo dunque una nutrita schiera di vini garage, spesso lavorati in cantine assolutamente non attrezzate per l’accoglienza, ma l’entusiasmo non manca. Tra i protagonisti di questa new wave c’è sicuramente Nicola Trabucco, agronomo, impegnato nell’orto di Don Alfonso e nelle vigne di Fontana Galardi, Alois, Vestini Campagnano, Fattoria La Rivola, enologo di Masseria Felicia il cui Falerno non finisce mai di stupirci. Falerno, appunto: perché se sulle colline caiatine ci si dedica molto ai tre vitigni del momento è anche vero che tra Roccamonfina e Sessa Aurunca non mancano le novità come la Falanghina di Porto di Mola a Rocca d’Evandro e lo splendido Aleatico Passito Cantina del Borgo di Delli Colli a Galluccio, tanto per citare due chicche. Cento chilometri di qui, cento di là, Trabucco ha messo una bella e accogliente cantina con bottaia a otto metri di profondità, proprio di fronte a casa, siamo a Santa Croce di Carinola, e si è aggiunto ai produttori di Falerno. Già, perché anche il rosso più meridionale della Campania, caldo, cotto, esplosivo, strutturato, continua a presentare novità: c’è il Reverano di Perrotta Amore a Sessa, Papa a Falciano del Massico sta lavorando ad una bellissima vendemmia tardiva per segnare le Colonne d’Ercole oltre le quali il vino diventa liquore, Masseria Felicia è in uscita con il nuovo Etichetta Bronzo 2002. Tutto questo oltre ai classici di Moio e Villa Matilde che sono gli assi portanti su cui scivola la seconda vita del Falerno. Nicola ci propone due Falerno con aglianico e piedirosso: Erre e Rapicaro. Oltre cinquemila ceppi per ettaro del clone aglianico di Taurasi, affinamento in barrique di Allier e Never di primo passaggio, poi in bottiglia. L’Erre è un vino dal colore rubino, con aromi di frutta rossa, note balsamiche e spezie. Il Rapicano ha la stessa uva, più lungo il tempo di permanenza in legno, almeno un anno, e in bottiglia, sei mesi. Offre sentori più complessi al naso e presenta maggiore intensità e persistenza in bocca. L’interpretazione si avvicina più a quella classica del Falerno, anche se il blend con il piedirosso ingentilisce e ammorbidisce l’aglianico conferendogli un tono più riconoscibile al palato internazionale. Ottima la scelta di piantare aglianico di Taurasi, sul terreno vulcanico di Roccamonfina abbandona i sentori di tabacco per assumere toni minerali decisamente più spiccati. Lo beviamo su un brasato di carne di bufala per celebrare Caserta delle meraviglie.r