Riapertura dei pub con il delivery. La parola a 21 publican campani!


Birra alla Spina

Birra alla Spina

di Alfonso del Forno

Quando stiamo per avvicinarci al cinquantesimo giorno di quarantena, con il settore della ristorazione in ginocchio (per essere ottimisti), arriva la notizia che il Governatore della Campania Vincenzo De Luca ha emanato un’ordinanza che  prevede la riapertura delle attività ristorative per la sola consegna a domicilio, il cosiddetto Delivery. Questa parola, diventata ormai di uso comune, sembra la luce per molti, il ritorno alla normalità e la speranza che il peggio sia passato e si potrà presto ritornare alla vita normale.

Sembra…

Perché poi, andando a leggere l’ordinanza, si fa riferimento a fasce orarie prestabilite e l’obbligo di rispettare il protocollo di sicurezza sanitaria allegato. Qui iniziano le note dolenti che hanno fatto demoralizzare molti ristoratori. Le norme di sicurezza sono sacrosante, fondamentali per la salute dei lavoratori e dei consumatori, ma devono essere applicabili e compatibili con il tipo di lavoro svolto. Camice monouso, guanti, mascherina e sovra-scarpe non sono proprio l’abbigliamento più agevole per un pizzaiolo o uno chef, tenuto conto anche dell’alta infiammabilità di alcuni di questi dispositivi. Senza tener conto che tutti questi DPI non sono stati richiesti agli operatori che hanno lavorato durante tutto il periodo della quarantena (salumerie, supermercati, fruttivendoli, etc…). Altro ostacolo è quello della sanificazione dei locali, che deve essere realizzata da ditte esterne autorizzate, non dallo stesso ristoratore con la propria forza lavoro, con un aggravio di spesa importante. Ultimo ostacolo verso il traguardo del Delivery è la visita medica per certificare il buono stato di salute degli operatori, cosa difficile da fare senza essersi sottoposti al tampone per verificare la positività al Covid-19.

Diciamo che la speranza di respirare aria di lavoro, per molti ristoratori non è tale e la delusione serpeggia tra loro.

Questo mi ha spinto a conoscere meglio lo stato d’animo dei publican campani. Ne ho contattato ventuno e ho chiesto loro se riapriranno le porte dei loro pub il 27 aprile.

 

Ugo Torre – Babette (Napoli)

“Non apriremo al delivery. Abbiamo cominciato a informarci per trovare sul mercato quanto richiesto dalle normative, con grande difficoltà di reperimento. Tra le altre cose credo sia impossibile riuscire a completare l’iter burocratico entro il 27, soprattutto per le visite mediche richieste, per nulla semplici da effettuare in questo periodo”.

 

Carmine e Silvio Carnicelli – Beer Hunters (Agropoli)

“Abbiamo deciso di aprire il delivery, in una prima fase, solo con la consegna delle birre. Crediamo che sia comunque un modo per riaffacciarsi a una normalità che stiamo aspettando da tanto. La successiva consegna del food vedrà inoltre una sostanziale rivisitazione di tutti i nostri panini sia per la difficoltà nel reperire alcuni ingredienti chiavi sia per garantire la giusta qualità del prodotto consegnato. Speriamo di uscirne il prima possibile e poter tornare da entrambe le parti dei nostri amati banconi”.

 

Maurizio Avagliano – Hoplà (Cava de’ Tirreni)

“Questa ordinanza regionale è la mazzata finale. Riapriremmo con maggiori costi di prima, senza poter lavorare bene. Fino ad oggi, per essere certi di essere sani era necessario fare un tampone. Invece ora, per riaprire l’attività, basta fare una semplice visita medica. A questo punto non ci sono i presupposti di sicurezza sanitaria ed economici. Non abbiamo ricevuto neppure indicazioni per fare un corso di formazione e prepararci alle nuove disposizioni”.

 

Francesco Ferro – Il Monaco Ubriaco (Pontecagnano)

“Io resto chiuso dal 27 perché  il mio locale non è commercialmente valido per l’asporto, è fuori zona da tutto. La finestra di apertura dalla 16 alle 22 non è congruente col tipo di lavoro che svolge un pub. Restare chiusi fin quando passa tutto è la soluzione migliore, ma lo Stato non riesce a garantirci. Sono chiuso da 50 giorni. Iio e mia moglie facciamo lo stesso lavoro e non abbiamo ricevuto nemmeno un euro finora. Serve un piano di riavvio serio, altrimenti il 20% delle attività in Italia non rialzerà più la serranda!”

 

Anna Tescione – La Quinta Pinta (Caserta)

“Noi non apriamo il 27. Il pub  è il luogo per eccellenza della socialità, convivialità, le risate, le barzellette, le birre condivise, il sorriso e le battute sceme. Come si può ridurre tutto questo in un asettico delivery? Questo non è più il pub, è il lavoro del medico e tale rimane se dalla convivialità si passa alla sterilità! Le misure richieste sono inoltre obbligatorie solamente per chi vorrebbe aprire il 27 ma nessuno le ha imposte a chi finora ha venduto pane, mozzarella, frutta. A noi manca il contatto: la birra e il panino sono il pretesto, non il fine per stare insieme”.

 

Mario D’Addio – Historia (Puglianello)

“Tenendo conto della nostra ubicazione, piccolo centro del beneventano, non abbiamo servizi a cui affidarci, quindi non apriamo in forma ridotta per il delivery. Aspettiamo un protocollo ufficiale per capire quali sono le direttive per la riapertura e ci muoveremo di conseguenza. Non sarà facile. Abbiamo previsto una riduzione del 50-60% del fatturato, quindi dovremo rimodulare il locale. La proposta delle birre sarà ridotta, per dare maggiore rotazione alle birre fresche. Quella gastronomica seguirà la stessa dinamica. Purtroppo dovremo ridurre il personale. Sarà l’ennesima inaugurazione, si riparte da zero. L’unica cosa che riusciamo a salvare è l’esperienza ventennale che ci tornerà utile”.

 

Ciro Salvini – Oro, Incenso e Birra (Salerno)

“Il provvedimento per il Delivery non lo troviamo giusto, perché ci sono altri negozi che durante la quarantena sono stati aperti e non sono state richieste le stesse cose dell’attuale dispositivo, come ad esempio la certificazione del medico, la sanificazione e l’abbigliamento dedicato. Per quanto riguarda noi, non faremo il delivery del food, ma facciamo consegna diretta delle birre”.

 

Adele Barletta – Malto Reale (Caserta)

“Da lunedì riprendiamo il delivery, consapevoli che non è una soluzione ai problemi. Il locale ha dei costi elevati anche da fermo, quindi cercheremo di mettere una pezza a questa situazione. Speriamo di capire anche in futuro come muoverci. Purtroppo solo in Campania sono state date regole così rigide, ma non possiamo stare fermi a guardare. Noi dobbiamo riprendere per cominciare a dare una parvenza di normalità alle nostre vite, più dal punto di vista psicologico che economico”.

 

Marco Tomacelli – Joker (Napoli)

“Lunedì non riapro. Aspetto almeno la fine del lockdown nazionale e poi capire cosa fare dal 18 maggio in poi. Joker non è nato per fare asporto. Ci sono altri soggetti nati già con quella filosofia e sono strutturati per farlo, ma dovremo adeguarci anche noi a questa forma di commercio. Sto già lavorando per adattare Joker al delivery, anche perché sarà l’unica forma di attività che sarà possibile con il distanziamento sociale”.

 

Antonio Napolitano – Gusto, amore e fantasia (Tufino)

“Noi vorremmo riaprire con il delivery, anche perché sia già strutturati e lo facciamo da tempo. Il problema più grande è adeguarsi alle nuove normative, a partire dalle visite mediche. Mi sono recato dal mio medico per richiedere un certificato, come previsto dal decreto, e lei mi ha risposto che all’Asl chiedono che il tampone e l’attestazione siano eseguiti dal competente medico del lavoro, che ha prenotazioni da un mese. Quindi è impossibile fare in tempo per il 27”.

 

Bartolo Cioffi – Drop (Angri)

“Mi manca il mio lavoro. Aprirei stasera stessa ma non credo che valga la pena a queste condizioni. La possibilità di contagio è ancora alta e non vorrei essere veicolo di contagio per i miei clienti, perché per quanto possa adottare tutte le misure, io non sono un medico e potrei commettere errori. Le norme da seguire sono molte e c’è bisogno di tempo per organizzarsi e offrire un servizio sicuro nella tutela di tutti. Inoltre le spese da sostenere sarebbero le stesse, con meno della metà degli incassi. Non posso e non voglio abbassare la qualità del mio locale. Piuttosto chiudo!”

 

Giorgio Saginario – Alter Ego (Benevento)

“Noi non riapriremo. Per fare il delivery bisogna essere organizzati, non si può improvvisare. Gli incassi non coprirebbero le spese. Probabilmente sarà l’unico modo per vendere nei prossimi mesi, ma bisognerebbe rivedere completamente la nostra filosofia. Bisogna tener conto anche della minore disponibilità economica dei consumatori, che metterebbero in secondo piano le spese per beni non necessari come quelli che offriamo noi come pub. Al momento la cosa migliore è stare fermi, perdiamo sicuramente meno soldi. Vediamo se ci saranno provvedimenti da parte del Governo per risollevare l’economia del nostro settore e decideremo se e come riaprire”.

 

Giacomo delle Cave – Sturgis (Brusciano)

“Noi apriamo al delivery, rispettando tutte le misure previste dall’ordinanza n. 37 del 22/04/2020. Avere un locale significa avere spese di affitto e utenze, che non ho mai smesso di pagare, responsabilità nei confronti dei miei dipendenti e delle loro famiglie che ad oggi non hanno ancora percepito la CIG e quindi per me significa stipendi da pagare regolarmente. Il delivery serve a sopperire a tutto questo? Certo che no, ma almeno riusciamo a tamponare qualche spesa. Vorrei ringraziare tutti quelli che in prima linea hanno rischiato e rischiano tutt’ora contro questo “mostro”. Il mio augurio più grande è che si trovi al più presto una cura, un vaccino, in modo da riabbracciare le persone che amiamo e riaprire i nostri locali con la gioia nel cuore”.

 

Nello Marciano – Maneba Industries (Striano)

“Nei primi 30 minuti dopo la notizia della possibile riapertura eravamo entusiasti e abbiamo fatto conoscere al mondo che avremmo riaperto. Poi è bastato iniziare a cercare i DPI richiesti, parlare col medico e fare due preventivi per la sanificazione, per cambiare idea e decidere di restare chiusi. Prima di partire dovremmo investire circa 2000 euro, a cui si aggiungono gli altri costi di gestione, per fare delivery dal 27 aprile al 3 maggio, escludendo il primo maggio di chiusura. A questo punto meglio aspettare le disposizioni della fase 2 e valutare il da farsi”.

 

Antonio Zullo – Murphy’s Law (Napoli)

“Il decreto di riapertura delle attività di ristorazione è estremamente penalizzante, nonché complesso. Ci siamo appuntati le cose da fare per tentare una riapertura parziale, ma non siamo certi di riuscire ad adempiere a tutti le limitazioni imposte. Per esempio, nessuno riesce a darci una risposta sulla questione della visita medica, cioè qual è il medico deve compilare questo modulo? Ma abbiamo il dovere di provarci. Ci proveremo di sicuro e stiamo lavorando da due giorni solo su questo. Se tutto va bene, potremmo essere pronti per mercoledì 29. Il problema reale che sta emergendo in questi giorni è trovare un accordo con i proprietari dei negozi delle varie sedi. Il Murphy’s Law ha iniziato questo processo da due settimane e dobbiamo dire che abbiamo trovato sia ampia disponibilità che forte chiusura del dialogo. Siamo consapevoli che il Governo e/o la Regione non hanno la forza di pagare i fitti ad una nazione intera, ma una direttiva alle contrattazioni é necessaria”.

 

Gianluca Polini – Ottavonano (Atripalda)

“Non riapriremo il 27 aprile. L’incognita maggiore è il consumatore, non invogliato a riprendere la vita fuori di casa, fosse anche solo per l’acquisto di prodotti in delivery. In questo momento conviene stare chiusi, si fanno meno danni economici. Forse la decisione di riaprire da 27, da parte della Regione, ha valenza soprattutto nelle grandi città, non nei piccoli centri. Chi come noi non ha mai fatto delivery, deve ristrutturare l’organizzazione interna per adeguarsi. Quindi, come Ottavonano, saremo chiusi in attesa di tempi migliori”.

 

Livio Barra – Demetra Pub (Pontecagnano)

“Non riapriremo il 27 e aspettiamo ancora qualche giorno per decidere. Se dovessimo aprire al delivery, non sarà per sostituire il nostro vecchio modo di lavorare, ma per creare una struttura nuova che affiancherà quella pre Covid 19. Non possiamo fare a meno della convivialità del pub, quindi ora non ci sono i presupposti per l’apertura. Per salvaguardare i sacrifici di tanti anni e il lavoro del personale, resteremo ancora chiusi e aspetteremo le disposizioni che prevederà il Governo per i ristoratori”.

 

Menny Ambrosino – Pub27 e Craft27 (Pompei e Torre Annunziata)

“Riaprire in queste condizioni non è riaprire ma avviarsi ad una lenta chiusura definitiva. Aprire e Lavorare sono due cose diverse. Quindi noi non apriremo Pub27 e Craft27.  Siamo stati dimenticati dallo Stato, ad oggi 50 giorni di chiusura e non abbiamo visto un aiuto. Immagino se io facessi tardi di 50 giorni nel pagamento delle Tasse, cosa mi succederebbe? Oltretutto, questa ordinanza di De Luca è talmente restringente quanto inutile. Adesso spero che Mara Venier chiami minino 1 pizza al giorno per ogni pizzeria che riapre lunedì. Probabilmente tutti ci renderemo conto che dopo 50 giorni di chiusura non serve il delivery, ma aiuti economici concreti, precisi e senza interessi. Oppure basta una diretta di Conte che dice come diceva Totò in un famoso Film “Arrangiatevi””.

 

Stefano Bernardi –  Beerbante (San Giorgio del Sannio)

“Non apriremo il 27 e preferiamo aspettare cosa accadrà dopo il 3 maggio. Preferiamo aspettare, così da poter affiancare al delivery anche l’asporto. Lavorare con le restrizioni attuali credo sia impossibile, soprattutto per sostenere e tutelare i quindici dipendenti che abbiamo”.

 

Claudia Di Domenico – Birreria dei Bardi (Salerno)

“Il 27 non riapriamo, non ci sono le condizioni. Al momento stiamo facendo spedizioni con corriere direttamente dal birrificio. In birreria cominceremo a lavorare solo dopo che saranno chiare le normative per fare somministrazione. Quindi attendiamo la fase 2 per decidere il da farsi”.

 

Liberato Manna – 32 Birreria Artigianale (Ariano Irpino)

“Questa emergenza mi ha distrutto. Qualunque normativa sarà applicata nella fase 2, le dimensioni della mia birreria non saranno mai adeguate per svolgere il lavoro abituale. Ho deciso di chiudere il locale definitivamente”.

 

La maggior parte quindi non riaprirà le saracinesche dei pub, qualcuno ci prova e uno degli intervistati ha detto di aver chiuso per sempre. Il problema grosso non sarà questo breve periodo che ci porterà alla Fase 2, ma quello che sarà previsto dal 4 maggio. Il provvedimento di De Luca deve essere interpretato come un preavviso di ciò che verrà richiesto dal Governo alla riapertura nazionale?

Sarà questa che viviamo in Campania la realtà a cui dovranno abituarsi tutti i ristoratori italiani nella Fase 2?

Una cosa è certa, qualunque sarà il futuro previsto per i ristoratori, questi non potranno essere messi davanti ad una cosa totalmente nuova senza che ci sia una adeguata formazione e un supporto reale, anche economico, con un grande piano strategico che permetta agli operatori dell’enogastronomia di essere ancora protagonisti del loro futuro.