Roma, il bistrò Barred di Mirko e Tiziano Paolucci, ben fatto è meglio di ben detto

Barred
Barred a Roma
via Cesena 20 (Fermata Metro Re di Roma)
Tel. 06 9727 3382
www.barred.it
Aperto la sera, chiuso lunedì
Barred a Roma dei fratelli Paolucci resta uno dei miei posti preferiti della Capitale e non solo. In primo luogo perchè non ha perso la spinta iniziale e la voglia di rinnovarsi, in secondo luogo per la coerenza di un progetto che lega intimamente i piatti e il bicchiere, infine, motivo più importante di tutti, per la qualità della materia prima.
L’altra sera avevo proprio voglia di materia, di prodotto, trattato in modo non scontato per quanto buono. Amo i grandi piatti della tradizione romana ma mi piace anche cambiare. All’inizio chi ne ha scritto, noi compresi, lo abbiamo collegato allo stile nordico, oggi direi che i ragazzi di Barred mi ricordano i primi italiani che diedero forza al movimento della bistronomia parigina. Ma a ben vedere in realtà questo posto è soprattutto espressione di una città che cambia i suoi odori e i suoi riferimenti, li fonde: spezie e tecniche mediorientali soprattutto sul pesce, e inoltre tanto Mediterraneo in questa cucina, altro che Nord Europa.
Oggi si potrebbe definire una cucina di mercato, ma in realtà è qui che italiani e italiani provenienti da altre parti del mondo che vogliono diventare italiani si ritrovano negli odori e nei sapori. Si può anche venire per qualche snack e attingere alla carta dei vini naturali, piena di curiosità dove anche le etichette storiche di questo settore sono state sostituite da una ricerca insaziabile che mette insiene mixology, sidro, vini dealcolati, zone poco conosciute come l’Estonia. Un vero punto di riferimento come pochi in giro nonostante ormai possiamo parlare di una tendenza più che di una semplice moda.
La sala è gentile e semplice, non impone nulla e segue la propria clientela.
La tendenza riguarda anche la scelta di mettere all’angolo i carboidrati: il pane viene portato a tavola solo se chiesto, nell’ultimo menu non ci sono piatti di pasta. Tutto è giocato all’insegna della freschezza, delle spezie, delle combinazioni ben centrate. Lo sgombro che abbiamo provato è un grande piatto di chi ai fornelli usa anche la testa oltre le mani.
Difficilmente potete spendere oltre i 50 euro, vini esclusi.
Alla fine: consigliatissino e soprattutto contemporaneo, espressione di un presente che probabilmente nemmeno noi risciamo a leggere fino in fondo in modo esatto liberi dagli stereotipi.
Veniteci, la fermata metro della linea A è Re di Roma, il locale sta a circa 300 metri.
Qui di seguito il nostro Report del 21 gennaio 2022
Un sano estremismo alimentare e ambientalista che aiuta a superare i momenti difficili e gasa in quelli in cui si ha il vento in poppa (che poi dovrebbe essere di lasco). Sala essenziale dominata dal legno con hotellerie altrettanto essenziale. Un passione per i vini naturali senza se e senza ma pari a quella dei tatuaggi. Benvenuti a Barred, uno di quei luoghi indicatori di quella che noi ormai chiamiamo “Primavera romana” per la ricchezza della proposta, entusiasmo e competenza dei protagonisti, capacità di attrarre investimenti, voglia di rinascere dopo anni difficili e complicati dominati dai neopauperisti populisti savonaroliani.
Roma però è Roma, non è Milano pronta ad abbracciare le mode con la stessa velocità con cui poi vengono dimenticate. Roma, come del resto tutta l’Italia tranne Milano appunto, prima di dare semaforo verde ha bisogno dei suoi tempi, delle sue verifiche, di resettare i rapporti di potere che quella tendenza può determinare se lasciata liberamente circolare.
Per dire, la pizza napoletana ci ha messo cento anni per entrare.
Per i fratelli Mirko e Tiziano Paolucci (sala e cucina) ne sono serviti cinque prima di trovare la formula giusta e ingranare la marcia iniziata nel 2016
Su indicazione perentoria di Virginia Di Falco ci siamo stati è abbiamo mangiato il risotto più buono della nostra vita, ‘nduja e mandarino che gioca a partire dall’abbinamento di colore in un triangolo perfettamente centrato fra grassezza, freschezza e piccantezza una volta tanto non occultata. Quanto alla cottura, Ça va sans dire, perfetta da risotto.
Ma è tutta l’impostazione del locale che ci ha convinto: a partire dal filo logico che cerca la qualità dei prodotti, cosa per nulla scontata e facile in una città grande come Roma, l’essenzialità di una cucina fatta di pochi elementi ben maritati fra loro e senza inutili esibizioni tecniche. Una sala sorridente e attenta: quando ci propongono un vino ci avvisano che costa più di 30 euro che è il costo medio delle bottiglie della carta di vini naturali nella qual c’è l’imbarazzo della scelta. E alla fine il costo, per essere nella Capitale, è contenuto sui 50 euro.
Il pane, da lievito madre rinfrescato da quattro anni, è il segnale di quello che ormai a Roma è una religione, una religione Bonciana anche se il fondatore, come tutti i fondatori, adesso è oltre e cerca la verità sui monti dell’Appennino: buonissimo e di carattere. Usando un termine del mondo del vino: riconoscibile.
Buonissimi i nostri assaggi, scelti alla carta (c’è l’opzione menu degustazione a 50 euro cinque portate): magnifico e abbondante rombo con le patate, i nervetti alla cacciatore goli, così anche i fagioli. Insomma piatto goduriosi ma puliti, perfetti, efficaci, di qualità.
Cosa si mangia da Barred, il menu

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CONCLUSIONI
Da Barred si sta bene in un ambiente informale e professionale. Non ci sono sorprese sul conto. In una parola, diremmo che si mangia bene e sano. E’ la dimensione gastronomica moderna in cui la sostenibilità è un valore del piatto oltre che astrattamente etico. E posti come questi si tanno moltiplicando. Quello che ci è piaciuto molto è che nonostante la chiara ispirazione nordeuropea, la cucina non rinuncia alla gioia italiana di ritrovarsi davanti al cibo: è una cucina di testa ma anche di gola. Ci si alza leggeri e si può tornare perchè il meu cambia con il mercato, una lavagnetta alla francese di indica le novità del giorno oltre quelle del menu. Peccato che non fa pranzo, ma capiamo che i tempi sono quelli che sono. Speriamo in futuro. Come speriamo che la Michelin, con tutto il rispetto per il tovagliato e i petit four, riesca a cogliere questa tendenza il prossimo anno.

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