Ristorante Michele Milù, altro che Salt Bae! Qui la carne non è scena, ma scelta di vita
Michele Milù a Castellammare
Corso Alcide de Gasperi 140
Tel. 081 3149079
Aperto la sera, sabato e domenica anche pranzo
Michele Izzo, torna del re della brace di Castellammare
di Francesco Costantino
Vi siete mai chiesti cosa significhi Milù?”
“Mi” come Michele, “Lù” come Lucia.
Una storia che sa di casa, di brace, di vino e di famiglia.
Michele Izzo, geometra del Comune di Castellammare di Stabia, non aveva bisogno di cercare lontano la sua passione: gli bastava accendere un fuoco. Dalla pizza alla carne, dalla farina al ferro rovente, ha costruito una cucina vera, senza filtri, dove il profumo della legna e la mano che impasta raccontano più di mille parole.
Poi sono arrivati i figli: Emanuele, Valerio e Maicol. Crescevano, osservavano, imparavano. E Michele non li ha mai spinti, solo seguiti. Li ha lasciati liberi di sbagliare, di trovare la loro voce. E quella voce, insieme, è diventata una sinfonia: tre fratelli che oggi parlano a Piazzetta Milu la lingua delle stelle Michelin, due. Una famiglia che ha fatto dell’armonia la sua ricetta più riuscita.
Ora Michele è tornato. Non per ripetere, ma per ricordare.Torna alla fiamma viva, al profumo della brace, a quella cucina che non ha bisogno di effetti speciali per emozionare. Torna con la consapevolezza di chi ha visto il mondo, ma sa che il proprio mondo è qui.
Il nuovo Michele Milù è a duecento metri di distanza a Piazzetta Milu, ma è un viaggio interiore lungo una vita. Un locale sartoriale, cucito addosso alle persone che lo abitano. Sempre con Lucia, compagna di sempre (a gennaio fanno quarant’anni insieme), e con le nuove generazioni che si intrecciano: le fidanzate di due figli che hanno scelto di condividere il loro sogno.
All’ingresso, sulla destra, il banco dei salumi: eccellenze nostrane e internazionali. Tavoli conviviali, grandi e accoglienti e uno chef table intimo, due posti, vista brace. Lì, mentre Michele sfiletta, sporziona, cuoce. Certe abitudini non si perdono.
La Spagna, quella frequentazione con il figlio Micael, quando lavorava a Tickets con Albert Adrià, ha lasciato il segno: il patanegra arriva sempre con pane al pomodoro secondo la consuetudine spagnola, originali, invece, le chips con maionese al sifone. Tanta sostanza. Champagne in coppette di cristallo a forma di seno come oggi non si usano più, rossi importanti in calici che sembrano un invito a restare.
E poi arriva lei, la parmigiana, con le melanzane dell’orto di casa: rustica, generosa, un po’ come chi la prepara. Piccola cucina di supporto per contorni, primi, dessert, ma il cuore resta la brace.
È lì che Michele comanda il fuoco come un direttore d’orchestra. È lì che inizia lo spettacolo: il crepitio, il fumo, il gesto sicuro. Lo fa con la precisione millimetrica dell’esperienza e della passione, a occhio. Anche quando guarda la sala dando le spalle alla brace sa perfettamente quando è il momento di girarsi e controllare la cottura. Ogni pezzo è trattato con rispetto, fantastico il sapore della salsiccia di maiale impreziosita dal finocchietto.È lì che tutto torna. Perché certe passioni non passano. Cambiano forma, magari, ma restano addosso come l’odore della legna sulle mani.
La forza di una famiglia laboriosa, compatta, appassionata. E’ questo il vero fuoco che riscalda la bellissima sala.














