Rosacroce di Midolini, l’ultima vendemmia del Tocai


L’ultima vendemmia del Tocai è ormai arrivata. Uno dei bianchi italiani più prestigiosi perde il nome, proprio come capitò alle bollicine qualche anno fa perché i francesi non volevano si usasse la dizione «metodo champenois». Stavolta sono stati gli ungheresi, viva l’Europa allargata, a scippare il nome al vino allocato nei Colli Orientali del Friuli da tempo immemorabile: sino al 31 marzo, ci ricorda Ornella Venica presidente del Consorzio dei produttori, sarà ancora possibile imbottigliare con questo nome, poi non più. È finita, l’Italia agricola ha perso l’ennesima battaglia, resta davvero un mistero come mai gli interessi della filiera agroalimentare escono sempre penalizzati a Bruxelles, o a favore di qualche partner o sull’altare del Wto, le nuove tavole della legge dell’organizzazione del commercio mondiale a cui tutti, dalla Cina a paesi fondamentalisti islamici, alla fine si devono inchinare. L’amarezza di chi vede Brunello, Lacryma Christi, Falerno, Chianti prodotti un po’ ovunque nel mondo e rinunciare ad un nome assolutamente non inventato da astuti mercanti del passato, ma usato nel corso dei secoli dai bravi agricoltori alle prese con i venti freddi del Nord. Salutiamo l’ultima vendemmia bevendo il Tocai 2005 dell’azienda Midolini, fondata da Lino e condotta avanti dalle figlie Gloria e Raffaella: cento ettari di cui trenta vitati da cui nascono bianchi autorevoli come il Sauvignon, il Rosacroce Bianco da uve tocai, sauvignon e chardonnay, il Pinot Grigio, la grappa e l’Asperum, mosto cotto invecchiato e affinato in 200 botticelle nella balsameria più grande del mondo. Sapienza antica maturata in una cantina avvenieristica, studiata per non disturbare il paesaggio di una delle zone enologiche più vocate del Nord, compresa tra Attimis e Buttrio. Il Tocai 2005 esprime grande mineralità, sapidità, freschezza, buona struttura nonostante l’annata difficile, al naso si presenta complesso, intenso e persistente, così come si conferma al palato dove si fa largo baldanzosamente esprimendo così tutta la sua ricchezza e la frutta prima di un finale lunghissimo, netto, pulito. Un vino di grande equilibrio tra morbidezza e la freschezza, che lo rende facilmente abbinabile alla cucina di mare ben strutturata, alle carni bianche e alle paste salsate con i funghi. Noi lo consigliamo sulla genovese di tonno proposta dal Convento a Cetara, un piatto da manuale per l’equilibrio trovato in cucina tra la tradizione napoletana, quella dei pescatori del borgo della Costiera e la capacità della nouvelle vague gastronomica campana di ricreare i sapori.