Sagrantino di Montefalco 25 anni 2003 docg di Caprai, appunti e riflessioni


Un millesimo difficile, il 2003, ci ha dato questa tipica bottiglia umbra di importante fattura, anche se un po’ troppo concentrata. All’occhio il colore si presenta forte, scuro e denso, scarsamente brillante; i toni blu notte e i rari bagliori rossi, come di rubini in trasparenza, ci dichiarano che siamo in presenza di un bicchiere ancora molto immaturo e bisognoso di tempo. E’ difatti con l’occhio che si giudica lo stato evolutivo di un vino. Naso giovanissimo e già tripartito: questo Sagrantino di Caprai attacca con confettura di more e un po’ di erbe di sottobosco; prosegue sui lieviti; chiude infine con elegante liquirizia balsamica, sentori di carne, legnosità empireumatica, sottili e studiati soffi di volatile. In bocca ha ingresso snello seguìto da un’acidità misurata; ha tannino amarostico e chinato (in inconsolabile contrasto con lo sdolcinato fruttato del naso) e si risolve lungo, con retrolfatto speziato. Per me, ora, è ancora vino da abbinamento (provato su vitello alla brace, si è dimostrato all’altezza) e non è pronto da degustarsi assoluto. Alla prova dei fatti, berlo oggi è stato un infanticidio: aspettiamolo dieci anni, ma non di più.Il Sagrantino nel 2003, ancor di più di altri vitigni, ha sofferto a causa del cattivo assortimento dei suoi tannini e ciò, credo, deve aver coinvolto anche le uve di Caprai. Scagli la prima pietra chi è senza peccato, anche il “nostro” Taurasi, nell’annata 2003, ai vari wine-tasting non mi risulta abbia brillato in eleganza, tranne che in alcuni cru!La vendemmia 2003 in effetti ha prodotto, un po’ ovunque, vini molto strutturati e poco eleganti poiché è stata profondamente segnata da un’estate torrida che ha sballato alcune caratteristiche sensoriali (olfattive e gustative) delle uve. La regola è stata che un po’ tutti hanno vendemmiato prima del solito per tentare di salvare il salvabile. Forse ho generalizzato, è vero, infatti per l’esattezza va detto che c’è stato anche chi ha deciso di vendemmiare “dopo”, poiché in Enologia (come in Estetica) tutto è relativo…Cosa succede in bottiglia, allora, se le uve provengono da estati eccessivamente calde? Si innalza l’alcol (cioè si allunga la persistenza del sapore, buono o cattivo che sia); si abbassa la freschezza (il sorso quindi stanca presto); i profumi si cuociono, s’addensano, s’impacchianano; può quindi frantumarsi la corrispondenza naso-palato (il vino ci appare, in tal senso, incoerente); infine le sensazioni amare, come di erbacee astringenze, prodotte da alcune tipologie di tannini, aumentano. Quest’ultimo punto mi interessa: non a caso l’enologo Vincenzo Mercurio, recentemente, ha tenuto più di una digressione sul ruolo dei diversi sapori e profumi dei tannini (molto diversi tra buccia, vinaccioli e legno). I tannini -tema attualissimo e di “tendenza” tra gli enoappassionati- difatti, con i loro affascinanti e misteriosi cambiamenti nel tempo, marchiano l’impronta sensoriale di molti grandi vitigni, come l’Aglianico (leggi Taurasi), il Nebbiolo (leggi Barolo) e il Sagrantino.

Gaspare Pellecchia