Sant'Anastasia, 'E Curti


Via Padre Michele Abete, 6
Tel. 081.5313840
Chiuso la domenica
Ferie in agosto

Arrivare a Sant’Anastasia, siamo sul versante settentrionale del Vesuvio, è molto facile: basta imboccare dalla Napoli-Roma l’asse mediano in direzione di Nola e seguire l’uscita. Trovare la trattoria nel meandro di vicoli e vicoletti del centro storico è un po’ più difficile perché non ci sono indicazioni, ma tutti sanno dov’è e alcuni possono anche decidere di accompagnarvi. In fondo il vantaggio dei paesi è proprio questo, si conservano tratti caratteriali umani. L’ambiente è piccolo, raccolto: siamo in una delle trattorie più antiche di tutto l’Agro-vesuviano, aperta nel 1924 e da oltre mezzo secolo gestita dalla stessa famiglia. Se la vicina Somma è rinomata per il commercio dello stocco, qui siamo in quello che per decenni è stato il più grande centro commerciale di capretti comprati in tutto il Sud e rivenduti in città soprattutto in occasione di Natale e Pasqua perchè purtroppo in Italia non c’è l’abitudine di mangiarli durante tutto l’anno. La locanda è dunque stata un punto di riferimento di questo traffico, oggi decisamente in ribasso rispetto al passato ed è un vero tempietto gastronomico, l’altare delle tradizioni veraci della esuberante cucina contadina del vulcano spento che tanti piatti ha regalato alla città come seppie e piselli e totani ripieni per non parlare delle verdure (parmigiana di melanzane, friarielli e quanto altro). Classica, da manuale, la minestra maritata, da non perdere le interiora di agnello che qui si chiamano quasi onomatopeuticamente ‘ntruglitielli (in Irpinia muglitielli, in Cilento ‘mbruoglitielli) e i calci di rigore che la cucina dei Curti esporta fuori dal locale nelle grandi occasioni gastro-mondane come la pasta e fagioli e la pasta e ceci. Tra i piatti vi confessiamo la nostra predilizione per la pasta con il ragù di agnello. L’esecuzione non lascia spazio ad alcuna velleità barocca di ricerca, le ricette sono esattamente fatte come cinquanta, cento anni fa ed è questo il motivo principale per fare un salto qui. Arrivo a dire: non potete dire di aver mangiato cucina partenopea se non siete mai stati qui almeno un paio di volte! Il servizio è felicemente arcaico, attento e familiare, avrete la sensazione di esserci sempre stati. C’è una piccola selezione di formaggi seguita dai dolci tradizionali del territorio. Il vero punto debole è costituito dal vino, la scelta è scarsa anche se buona: basterebbe fare un giro tra le aziende vesuviane per mettersi in regola senza dovere aumentare il prezzo. Se si mangiano i piatti della zona si cerca anche il Lacryma Christi mentre le incursioni toscane decisamente stonano! La chiusura è fatta con il Nocillo di propria produzione, un must in Campania ideatto, fatto e promosso da Enzo D’Alessandro e la moglie Sofia nel laboratorio a via Garibaldi, 57. Enzo è l’ultima, simpatica e dinamica, generazione dei Curti. E a proposito, il nome del locale non vi deluderà: qui sono davvero bassini! Sui 30 euro.

Dal sito del Parco Nazionale del Vesuvio
“Curti”, in dialetto napoletano, è l’aggettivo con il quale si qualificano persone dall’altezza inferiore alla norma.Luigi ed Antonio Ceriello, due fratelli originari di S.Anastasia, paese vesuviano alle falde del Monte Somma, erano dei nani Lillipuziani, “curti”, appunto, nell’idioma corrente.Questi, dopo aver girato tutta la nostra penisola come presentatori di spettacoli circensi, decidono di ritornare nel paese d’origine e di utilizzare una parte del poliedrico bagaglio culturale acquisito in anni di lavoro in giro per quei forzieri di tradizioni enogastronomiche, che sono i comuni italiani.Infatti nel 1952 rilevano un’osteria con cucina aperta nel 1924 da un loro zio il quale, preferendo i piaceri terreni a quelli dello spirito, aveva abbandonato l’abito talare; l’osteria, inizialmente, conserva il nome “o’ monaco”, il monaco in dialetto, datogli dal fondatore. L’estro culinario dei due “curti” riscopre alcuni tra i piatti più antichi della gastronomia partenopea, già minuziosamente descritti qualche secolo addietro in ricettari del Cavalcanti e del Corrado e radicati nella tradizione dell’entroterra vesuviano: la minestra maritata, le zucchine e le melanzane alla “scapece”, pietanze citate addirittura nel “De re coquinaria” di Apicio, poi l’agnello lattante con piselli novelli, gli ” ‘ntrugliatielli” al forno con patate e pomodorini del “piennolo”. Le succulente preparazioni e la convivialità tutta napoletana dei “curti” fanno ben presto dell’originaria osteria, ormai conosciuta come ” ‘ a cantina de ‘e curti”, un punto di riferimento dei buongustai della zona. Don Luigi ” ‘o curto”, il più “pubblico” dei due fratelli, muore nel 1973 lasciando ancor oggi un vivo ricordo, di foscoliana memoria, non solo tra i suoi compaesani. La tradizione culinaria viene portata avanti dall’altro “curto”, Antonio, coadiuvato ai fornelli, come dal lontano ’52, dalla sorella Assunta, dalla loro nipote Angela e, dal ’65, dal marito di quest’ultima, Carmine D’Alessandro.Quando nel 1990 muore l’ultimo dei due “curti”, il tipico locale è ormai fortemente ancorato ai dettami gastronomici e gestionali dei “curti”, gelosamente custoditi dai loro successori (Assunta, Angela, Carmine), i quali, con animata passione ed accresciuta professionalità, hanno ampliato la scelta di leccornie, senza però dimenticare i solidi legami con la tradizione locale: le tagliatelle alla terramare, gli involtini di melanzane. Nel 1995, i due figli di Angela e Carmine, Vincenzo e Sofia, sotto l’egida di zia Assuntina, decidono di commercializzare ” ‘o nucillo”, producendolo secondo quanto prescritto da una ricetta del 1904 custodita dai “curti”, i quali l’avevano adoperata per realizzare sin dall’inizio il fine pasto diventato poi una graditissima consuetudine del loro locale.Alle “quaranta seggie”, tanti sono i posti del ristorante tipico, si aggiunge così il laboratorio del “nucillo”, con l’augurio che l’eredità “culturale” dei “curti” possa trovare sempre maggiori apprezzamenti in “villaggi” sempre più globali.La ‘E CURTI s.a.s. è la società della famiglia Ceriello che gestisceil ristorante tipico, aperto come osteria nel lontano 1924 da Luigi Ceriello e, il laboratorio liquori dove si produce il “nucillo”, aperto da Vincenzo D’Alessandro, figlio di Angela Ceriello.
Il ristorante tipico divenne punto di riferimento per i buongustai campani intorno al 1970, quando veniva gestito da Luigi e Antonio Ceriello, nipoti del fondatore nonché zii di Angela, i quali diedero il nome attuale al locale stesso (in precedenza il nome era ” ‘o monaco”, poiché il fondatore si avviò all’attività dopo essersi spogliato dell’abito talare) in quanto i due fratelli Ceriello erano dei nani lillipuziani, ” ‘e curti”,appunto, in dialetto napoletano.I due “curti”, coadiuvati dalla sorella Assunta, dalla nipote Angela e successivamente dal marito di quest’ultima, Carmine D’Alessandro, ripropongono i piatti della migliore tradizione gastronomica partenopea, nel pieno rispetto anche delle modalità di cottura: solo pentole in rame, incontrando il consenso unanime di una clientela sempre più attenta e selezionata.Il ristorante tipico, condotto sempre sulle linee guida tracciate dai “curti”, giunge ai giorni nostri sotto la gestione di Angela, Carmine e zia “Assuntina”, sorella dei “curti”, ormai defunti, raccogliendo sempre maggiori gratifiche ( recensito dal Gambero Rosso, da Arcigola Slow Food, dall’Espresso, da Gente Viaggi 07/96, da I Ristoranti di bell’Italia ).Nel 1997, Vincenzo e Sofia D’Alessandro, con l’ausilio e la vigile collaborazione della famiglia, decidono di commercializzare il “nucillo”, producendolo, così com’era stato sempre fatto per il ristorante, utilizzando una ricetta datata 1904, gelosamente custodita dai “curti”.Inizia così l’attività del laboratorio liquori, gestita sempre con scrupolosa attenzione ed animata passione dalla famiglia.
Cenni storici sul NocinoIl noce, dai cui malli si ottiene il nocino dopo una macerazione alcolica di circa 60 giorni, ha sempre vantato una sacralità pagana, che gli veniva già riconosciuta da Greci e Romani, spesso legata ai riti esoterici delle streghe che si raccoglievano sotto i suoi rami per demoniaci sabba. Ancora oggi la tradizione vuole che le noci verdi per questo liquore si raccolgano soltanto durante la notte del 24 giugno, giorno in cui un tempo si festeggiava il solstizio d’estate e che oggi ricorda religiosamente la figura di San Giovanni Battista. La “guazza” di quella notte è considerata dalla tradizione una panacea per tutti i mali; le doti stomatiche del nocino erano già conosciute addirittura nel ‘500 poiché trovano testimonianza nel “Tesoro della Sanità” del famoso medico Casto Durante de Gualdo. Il retaggio è certamente padano, ma il liquore è entrato a far parte della tradizione gastronomica di quelle zone vocate alla produzione di noci; infatti anche a Napoli le vecchie famiglie legate alla tradizione offrono a fine pranzo questo liquore ricavato dalle noci, che viene chiamato nucillo per le evidenti inflessioni dialettali.“NUCILLO ‘ E CURTI”Il “nucillo ‘e curti” è realizzato con tecniche squisitamente artigianali e secondo i dettami della nostra migliore tradizione enogastronomica. I malli delle noci,della qualità “noci di Sorrento”, vengono colti a mano dalle piante ubicate alle falde del Monte Somma, nel cuore del neonato Parco Nazionale del Vesuvio. Gli stessi malli,nel giorno della raccolta, il 24 giugno, vengono tagliati a mano in quattro parti e messi a macerare con alcool puro e aromi naturali in damigiane di vetro verde; queste ultime sono costantemente esposte al solleone, affinchè l’energia solare possa svolgere l’importante azione catalizzatrice che, dopo circa 60 giorni, consente di ottenere l’infuso. Per non alterare le caratteristiche organolettiche dell’infuso, questi viene prima travasato in apposite vasche e poi miscelato, sempre a mano, ad uno sciroppo di zucchero ed acqua. L’operazione della miscelatura con la quale si ottiene il nucillo vero e proprio segue però quella del filtraggio dell’infuso, praticato con panni di tela d’Olanda, il tessuto adoperato dalle nobildonne napoletane per le lenzuola dei loro corredi. Si ottiene così, verso la metà del mese di Settembre, il nucillo ” ‘e curti”, un liquore dall’altissimo potere digestivo, che gli deriva non solo dall’elevata gradazione alcoolica, circa 50°, ma anche dal chiodo di garofano, contenuto tra gli aromi dell’infuso, le cui doti di anestetico, conosciute fin dall’antichità, apatizzano il travaglio dello stomaco durante la digestione.Il nucillo ” ‘ e curti” può essere acquistato in una elegante confezione, che sintetizza le più raffinate tradizioni artigianali Campane, presso le migliori Pasticcerie, Bar ed Enoteche della Regione Campania.