Tramonti, l’aglianico a piedefranco


Giuseppe Apicella sotto una vite centenaria piantata dal nonno (foto Sara Ragone, giugno 1999)

Articolo pubblicato sul Mattino, giugno 1999

C’è la Costiera delle Sirene magnificata e conosciuta da tutti e quella degli Elfi, contadina, seppellita dai boschi di castagni e di ciliegio. Qui regna l’Aglianico Tintore, coltivato sul monte Chiunzi nel territorio del Comune di Tramonti, il paese senza centro formato da tredici frazioni, borghi sino a non molto tempo fa isolati l’uno dall’altro. Tintore? Sì, perché usato un tempo dagli osti per dare colore e corpo al bicchiere miscelandolo con altro vino. Le sue viti, tutte a pergolato, sono imponenti: per motivi misteriosi hanno resistito alla fillossera, la terribile malattia dell’uva sbarcata dal Nuovo Mondo a Bordeaux che distrusse, a partire dalla seconda metà del secolo, tutti i vitigni europei.

La Campania fu una delle ultime regioni a cadere: i suoi contadini si illusero di avere le viti immuni da questo terribile cancro e continuarono a produrre vino per tutto il Vecchio Continente, così come avevano fatti dai tempi dell’impero romano, senza studiare le contromisure come invece era stato fatto in Francia e poi nel resto dei paesi europei.
Iniziò così una crisi spaventosa, dalla quale si è usciti solo alle soglie del Terzo Millennio grazie alla testardaggine di Antonio Mastroberardino che ha puntato tutto sui vitigni autoctoni di Avellino e ad una gruppo di vignaioli fedeli alla Biancolella, alla Falanghina, al Piedirosso. Una scelta difficile sino a pochi anni fa, ora diventata il vero asso nella manica dei produttori campani.

Viaggio nel tempo
Ecco perché la visita ai vitigni del monte Chiunzi è una delle cose più straordinarie che si possano immaginare, come fare il viaggio indietro nel tempo in una città. Da oltre cento anni le viti sono cresciute diventanto enormi tronchi, le colline sono tappezzate da questi pergolati coperti dai grappoli utilizzati per coprire la coltivazione di ortaggi. Un esempio di agricoltura a due piani, insomma, come un autobus inglese, per guadagnare spazio. Tutto è rimasto come sempre, i mezzi meccanici non possono accedere tra i ripidi pendii o sotto i pergolati.
I sapori terra terra entrano nel vitigno e finiscono nel bicchiere. Così Giuseppe Apicella continua a fare il mestiere del padre, del nonno, del bisnonno: «Fu lui, si chiamava Giuseppe come me, a piantare queste viti» dice con orgoglio. Può darsi: ma sarà il pronipote a far diventare famoso il vino di Tramonti. Sino alla fine degli anni Settanta, infatti, i grossisti venivano con i carri dalla vicina Gragnano o da Napoli per comprare il vino sfuso dai produttori e rivenderlo poi ai ristoratori. Le donne delle tredici frazioni di Tramonti portando il vino in testa o a spalla facevano quattro, cinque chilometi di dura salita sino al valico di Chiunzi dove erano attese dagli acquirenti: non c’erano strade che portavano, come oggi, sino alle vigne.

Di questa tradizione, «la tratta», restano tracce ben visibili all’occhio attento del visitatore: molti clienti affezionati ordinano il vino in primeur e lo vengono a prendere prima della fine dell’anno, quando è ancora fresco e profumato. In tal modo i produttori possono ripagarsi immediatamente delle spese sostenute per la vendemmia a ottobre. E i numerosi ristoranti aperti proprio sul valico di Chiunzi testimoniano di questa frenetica compravendita dei tempi andati. L’idea di mettere il vino in bottiglia, etichettarlo e dargli un nome, «Tramonti», è stata di proprio di Giuseppe: «Ero stato emigrante in Piemonte, a Biella, come tanti miei compaesani. Vidi come i contadini, oltre che il vino sfuso, tendevano a venderlo anche in bottiglia».

Siamo negli anni Sessanta, il Piemonte sta preparando, come la Toscana, la sua grande ascesa nel panorama vitivinicolo mondiale. Il primo esperimento nel 1979: appena tremila bottiglie di Tramonti. Tutte vendute subito. E così, anno dopo anno il vino imbottigliato ha superato quello sfuso, soprattutto dopo il conferimento della denominazione di origine controllata Costa d’Amalfi.
Oggi la produzione di Giuseppe Apicella è attestata sulle 35mila bottiglie, di cui appena duemila rosé: il vino delle cronache mondane degli anni Sessanta è decisamente in crisi.

Il resto della sua produzione si divide a metà: il bianco è una miscela dei vitigni locali Biancazita, Biancatenera, Pepella, San Nicola, mentre il rosso è il tipico blend della costa campana: Aglianico e Piedirosso: il primo dà corpo e longevità alla bottiglia, il secondo il profumo e l’allegria. «Sino a poco tempo fa -dice Giuseppe Apicella- c’era una grande richiesta di vino bianco. Adesso è cresciuta moltissimo quella di vino rosso».

È la vittoria del palato degli intenditori su quello dei consumatori occasionali anche se gli abitanti della terra dei vulcani continuano a preferire il bianco. In ogni caso, gran parte del successo del Tramonti è dovuto proprio ai suoi abitanti. Precisamente a quei tremila pizzaioli che lavorano sparsi tra Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Sono loro, infatti, i principali clienti di Giuseppe Apicella. Accompagnare la vera pizza napoletana cotta nel forno a legna con un vino doc della Costiera Amalfitana, presentare un conto sostenibile anche ad una coppia di giovani: questi i due ingredienti della crescita costante dell’azienda, anche se adesso si pongono problemi di crescita.

Presto sarà costruita la nuova cantina mentre quella attuale diventerà un agriturismo. Ma il problema più serio è costituito dalle vigne, troppo poche per soddisfare in tempi rapidi una domanda di qualità in costante ascesa. Non ha caso la produzione di Giuseppe Apicella resta attestata sulle 35mila bottiglie da almeno tre anni. Un tempo tutto il monte Chiunzi era coperto di vigne, poi l’emigrazione.
Il commercio del vino e la produzione dei latticini era l’unica attività della popolazione contadina. Sembra incredibile, ad un pugno di chilometri da Ravello e da Amalfi, ma è proprio così: la povertà non era più sostenibile e la maggior parte degli abitanti delle tredici frazioni di Tramonti fuggirono al Nord in cerca di lavoro. La terra non era più sufficiente a sfamare tutti i suoi figli.

La svolta
Un esodo, nelle case restano solo gli anziani, comune a quello di tutti i paesi delle zone interne meridionali, con una differenza: i tramontani sono diventati quasi tutti abili pizzaioli. Una tradizione iniziata nell’immediato dopoguerra, quando Luigi Giordano, dopo aver fatto il militare a Novara decise di rimanerci per produrre latticini freschi. Per risolvere il problema di non buttare quelli invenduti decise di allestire una pizzeria. Fu l’inizio di un successo inarrestabile, che continua ancora oggi.
Luigi Giordano aprì un secondo e un terzo locale, poi i compaesani lo imitarono. «Ma io, a differenza dei miei compaesani, non ce la facevo a restare in Piemonte. Volevo tornare, mi è sempre piaciuta la vita all’aria aperta». Così Giuseppe Apicella lascia Biella e torna a Tramonti: l’inizio è duro, bisogna vincere la diffidenza, ma la volontà di non lasciare morire le vigne piantate dal bisnonno è stata più forte di ogni ostacolo. Oggi queste viti sapienti hanno una resa per ettaro molto bassa, appena 70 quintali, una delle condizioni naturali per produrre un buon vino. Il vento delle gole, battezzato dai marinai Tramontana, mantiene il clima asciutto mentre l’altezza, siamo tra i 400 e i 500 metri sul mare, favorisce l’escursione termica e l’uva cresce sana, anzi, sanissima. Quasi un miracolo della natura. E nel bicchiere si sente: soprattutto il rosso ha un sapore antico, non omologato ma morbido, un equlibrio perfetto tra l’Aglianico e il Piedirosso. Il bianco è moderatamente acido, a tratti vellutato, sembra nato per accompagnare i teneri fornaggi di latte vaccino prodotti alle spalle di Maiori e di Ravello.

Così questa zona della doc Costa d’Amalfi, più delle pizze, più dei cesti di castagno, più dei latticini, sta ricostruendo l’identità di una zona che sembrava destinata ad impoverirsi anno dopo anno nonostante l’enorme flusso turistico che si svolge durante tutto l’anno sulla Costiera Amalfitana. Oggi, solo grazie al vino, è un vero delitto attraversare distrattamente e frettolosomanete il Valico di Chiunzi per arrivare nei santuari del turismo internazionale. È la rivincita di Bacco nella terra degli Elfi, della Costiera riservata, avvolta dalla nebbia, dove la gente produce vere delizie da servire in Paradiso. Accompagnate da un vino destinato sempre più a fare parlare di sé.