Umbria, storie di appassimento tra memoria e identità


Uva rossa appassita

di Tonia Credendino

Tra vigne antiche e nuove sensibilità produttive, l’Umbria racconta il suo appassimento attraverso tre vini che definiscono identità e futuro.

L’Umbria è una terra che si concede piano. Non si offre al primo sguardo e non ama la fretta, anzi la teme. Qui la vite cresce in silenzi che sembrano sospesi, in colline che non chiedono altro se non di essere comprese. È in questo ritmo antico che nasce l’appassimento, una tecnica che appartiene al Mediterraneo profondo, alle case contadine, ai granai d’inverno, ai fruttai dove l’uva veniva stesa e rigirata come un corpo da proteggere. Appassire significa perdere acqua e trattenere verità: fare spazio all’essenziale, conservare solo ciò che vale. È un modo di raccontare il frutto che non cede alla facilità, che si costruisce lentamente, come un carattere.

In Italia ogni regione custodisce un proprio modo di trasformare l’uva in dolcezza concentrata: il Veneto dei fruttai e delle sue geometrie, la Sicilia del sole assoluto che asciuga lo Zibibbo a Pantelleria, la Toscana del Vin Santo, dove il tempo rimane chiuso nei caratelli come una preghiera. Poi c’è l’Umbria, che fa come sempre: lavora in silenzio, custodisce, protegge, e all’improvviso sorprende. I suoi appassimenti non sono mai soltanto dolci. Sono profondi, scuri, sapidi, verticali. Sono la prova che un territorio può rivelarsi senza alzare la voce.

I vitigni umbri più vocati non sono accomodanti. Il Sagrantino, il più tannico d’Italia, conserva anche nella versione passita una forza che non si spegne, ma si modella. Il Trebbiano Spoletino, bianco identitario dal profilo minerale, affronta l’asciugatura con quella vena sapida che non lo abbandona nemmeno quando la dolcezza si intensifica. La Malvasia, il Semillon e lo Chenin Blanc, scelti da Blasi come trittico inconsueto, raccontano una dolcezza più mediterranea, più ampia, più calda.

Appassire, in Umbria, non è mai un gesto tecnico: è un gesto etico. Si scelgono i grappoli più spargoli perché devono respirare. Si controlla l’aria, l’umidità, la luce. L’uva resta settimane, a volte mesi, a perdere acqua finché non diventa piccola, concentrata, dorata. La fermentazione procede lentamente: gli zuccheri sono alti e i lieviti avanzano con cautela, come se temessero di rompere qualcosa. È così che il vino nasce e cresce, senza che nulla venga accelerato. In Umbria si attende. È sempre stato così.

Durante il mio tour con Umbria Top ho assaggiato tre interpretazioni che raccontano non solo la tecnica, ma l’anima di questa regione.

Scacciadiavoli, a Montefalco, è una cantina che sembra scolpita nella roccia. Fondata nel 1884, porta nel Sagrantino passito un rispetto che ha qualcosa di antico. Le uve vengono selezionate manualmente e lasciate appassire su graticci fino ai mesi più freddi dell’anno, quando l’aria punge e la buccia resiste. La resa, secondo la scheda tecnica aziendale, si aggira intorno ai 60 quintali per ettaro, un valore che racconta già da solo una forte selezione. Dopo la fermentazione, il vino affronta un periodo di maturazione in piccole botti di legno e un ulteriore affinamento in bottiglia, necessari per permettere al tannino di trovare un nuovo equilibrio nella dolcezza. Il risultato è un passito di grande profondità, scuro, compatto, capace di tenere insieme forza ed eleganza.

Scacciadiavoli Montefalco Sagrantino Passito Docg

Le Cimate, sempre nella zona di Montefalco, dà al Trebbiano Spoletino passito un profilo sorprendente. Qui l’asciugatura avviene in camere ventilate per un periodo definito e costante, un processo preciso che richiede attenzione continua. La fermentazione si svolge in barrique e viene seguita da un periodo di affinamento che permette al vino di distendersi senza perdere la sua caratteristica vitalità. La gradazione naturale è importante, ma ciò che rimane nel calice è quella vibrazione minerale che solo lo Spoletino sa conservare anche quando diventa dolce: una freschezza che bilancia la morbidezza e che dà a questo passito un’identità luminosa.

Spoleto Trebbiano Spoletino Passito Meliade Doc Le Cimate

Blasi, ad Umbertide, è un viaggio a parte. Il loro “Mamma Mia” nasce da un’idea audace: unire Malvasia, Semillon e Chenin Blanc per creare un passito capace di coniugare tradizione e interpretazione personale. Le uve vengono raccolte a mano e lasciate appassire per un periodo molto lungo, che attraversa buona parte dell’inverno fino ai primi mesi dell’anno successivo. La fermentazione è lenta e seguita da un affinamento prolungato in piccoli caratelli da 125 litri, secondo una pratica che la cantina adotta da tempo. Ciò che ne deriva è un vino ambrato, ricco, segnato da note di miele scuro, frutta essiccata e spezie, con una complessità che si sviluppa nel tempo e che cambia nel bicchiere sorso dopo sorso.

Mamma Mia Passito IGT Blasi Cantina

Alla fine, ciò che rimane di questo viaggio non è la dolcezza dei tre vini, ma la sensazione che l’Umbria abbia sempre qualcosa da insegnare. Che esista un modo diverso di fare vino, un modo che non cede alla fretta, che non teme di perdere uva per guadagnare sostanza, che non si preoccupa di piacere ma di essere vero. Il Sagrantino insegna che la forza può diventare morbidezza senza perdere sé stessa. Il Trebbiano Spoletino mostra che la dolcezza può essere precisa, minerale, in movimento. Blasi ricorda che alcune famiglie custodiscono tradizioni non per nostalgia, ma per fedeltà alla propria identità.

Queste sono storie che non chiedono di essere bevute: chiedono di essere ascoltate.
E l’Umbria, attraverso di loro, racconta quello che le riesce meglio: la bellezza lenta, la bellezza che resta.

Scacciadiavoli — https://cantinascacciadiavoli.it

Le Cimate — https://www.lecimate.it

Blasi — https://www.blasicantina.it

 

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