Un bicchiere per due / A.A. Terlano Pinot Bianco Eichhorn 2013, Manincor


Eichhorn nel bicchiere

Eichhorn nel bicchiere

di Fabrizio Scarpato

Sarà stato il nome, Eichhorn, nome di montagne, suono di strapiombi: Matterhorn, Lauberhorn… Sarà stato quel colore, di un giallo così gelido da rasentare il verde pallido di certi laghetti morenici, i pini mughi che si specchiano sulla superficie immobile. Sarà stata quella taglienza metallica da governare con dolcezza, sarà stato il biancore del risotto alla zucca che fumava sotto i suoi occhi. Sarà stato il pensare alla pelle di lei. Sarà, ma quel vino gli ricordava la neve.

Gli piaceva sciare. Gli piaceva quella sensazione di controllo sull’improbabile che avvertiva nel disegnare una curva. Perché lui non cercava mai la linea più breve per arrivare a valle, piuttosto rallentava velocemente, cercava il ritmo sulla punta del bastoncino, sospendeva la spinta a valle per non far male alla neve. E gli sci lo assecondavano, a volte sbattevano l’un contro l’altro, e lo sbuffo cristallino testimoniava un giusto compromesso con la forza centrifuga. Come in tutte le cose anche come sciatore era piuttosto datato, ma non avrebbe mai sopportato di curvare sui talloni usando i bastoncini come inutili appendici. Lui aveva visto Gustavo Thoeni scendere danzando in neve fresca dalle parti di Trafoi: in sottofondo fluiva il tema di Giù la testa. Chissà se Ennio Morricone sapeva sciare, ma è certo che quel motivo era fatto apposta per una discesa tirata senza respiro, un giro di valzer del battito del cuore. Anche quel giorno, sulla Dantercepies: Sciòn-sciòn, sciòn-sciòn…Tariiii…tararira… rariraràaaa… nananiiii… nananaaaa…

Pinot Bianco Eichhorn, Manincor

Pinot Bianco Eichhorn, Manincor

Il vento in faccia saliva anche dal bicchiere, e insieme uno spunto di erbe aromatiche e spezie, di anice e timo, di rosmarino ed eucalipto: era una sensazione di freschezza alpina, di roccia e carbonato, sostenuta con delicata intensità dal profumo della pesca e del cedro, ma anche dalla gentilezza rigenerante dei fiori del glicine. Equilibrismi, in fondo, più o meno come sciare, quando è bello lasciarsi andare, centrati sulle ginocchia, tutt’uno con la montagna, col gelo della neve, col calore dei pensieri, con la forza dei muscoli e la dolcezza arrendevole della contentezza. E poi fermarsi per un bacio furtivo, sorridente, i ghiaccioli sui baffi e la stucchevole morbidezza del burrocacao. Perché come mangiare, e tante altre cose, si può sciare anche da soli, ma è sempre più bello se a farlo si è in due.

Nonostante tutto s’era fatto un risotto con la zucca: anche il risotto non prevede la solitudine. Per fortuna c’era quella bottiglia di Eichhorn che, come spesso succede, era capitata lì al momento giusto, con l’evidente intenzione di fargli compagnia, dopo imperscrutabili passaggi, secondo imprevedibili sintonie. Ne sorbì un sorso abbondante, avvertì la compostezza dell’ingresso, la pienezza del corpo, la centratura dell’impatto. Immediatamente dopo, sembrava spostare il peso su quella pungenza alpestre e sul frutto acerbo e acido di una pera abate, raschiando di brutto su parvenze di tannini che prontamente stringevano composti, in un finale di rasoio, netto, filante, a riprender la linea appena discosta dalla massima pendenza. Giusto il tempo di recuperare quell’equilibrio fresco e sapido, di riprender fiato salivando tra lunghissime e inattese note di limone, che necessitavi di bere di nuovo, avido di forza, insaziabile di curve, affamato di velocità, fino a immaginare senza pudore distinte tracce di armonia, quando, dietro il curvone, era apparsa finalmente Selva di Val Gardena.

Fa dei brutti scherzi la solitudine, perché è bastarda al punto di consentire a un uomo di ricordare, senza svegliarlo, senza mollargli un ceffone, senza condannarlo per la sua pericolosa, indulgente pallosità. Fortuna che di lì a poco lei sarebbe rientrata a casa, lui le avrebbe versato un bicchiere rendendola partecipe dei suoi pensieri e rammentandole quei giorni lontani sulla neve, il sole sul viso, il freddo, il blu più blu che avessero mai visto. E di quella loro mania di scambiarsi cioccolato e caramelle. Lei col bicchiere in mano, accoccolata sul divano e quell’improvvisa immagine di tanto tempo fa: “vuoi una Rìcola Melissa e Limoncello?”. E avrebbero riso, abbracciandosi. Come quella volta, quando tra gli alberi innevati e i fumi del loro fiato, sbucò dal nulla uno scoiattolo che li guardò un attimo prima di tornarsene in letargo. Eichhorn, scoiattolo, appunto.

scoiattolo

scoiattolo

Ora lei era finalmente lì con lui e lo guardava con un filo di stupore: bevvero insieme, guardandosi negli occhi. Poi si rannicchiarono l’uno contro l’altro, ad aspettare insieme un’altra primavera.

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