Una luce a Gomorra: vigneto intitolato a Don Peppino Diana, il prete ucciso dai casalesi


La Targa all'ingresso della fattoria gestita dalla cooperativa Icaro

La Cooperativa Icaro su terreni sequestrati alla camorra impianta la vite

La Cooperativa Icaro, progettata e diretta da Gabriele Capitelli, coltiva ortaggi, verdure e frutta sui terreni sequestrati al clan dei Nuvoletta a Pignataro Maggiore. I terreni sono stati affidati alla cooperativa nel 2003, sono ben 37 ettari e da circa un anno 4 ettari sono stati impiantati a vigneto.

Gabriele Capitelli e Pietro Razzino

Pietro Razzino, enologo esperto dell’area del Falerno, ne segue i lavori ed ha deciso di allevare pallagrello bianco e nero, falangina, fiano, aglianico e montepulciano. Da questi vitigni si avranno due vini, igt Campania Don Peppe bianco e rosso, in onore di Don Peppe Diana che ha pagato con la vita il suo fermo impegno contro la criminalità. Icaro ospita 13 persone provenienti da comunità di recupero per le varie dipendenze e dal manicomio criminale di Aversa, con lo scopo di recuperarle e reinserirle attivamente nella società. Sono loro che lavorano i campi, il pescheto ed il vigneto in dotazione, con grande impegno animato dal forte desiderio di ritorno alla normalità.

Don Peppino Diana ucciso in chiesa il 19 marzo 1994 a 37 anni

Parola quest’ultima per molti banale, per alcuni forse mai conosciuta. Gabriele Capitelli, presidente della cooperativa Icaro, è impegnato da sempre nel sociale, ha insegnato insieme a Don Peppe Diana in una scuola alberghiera della provincia di Caserta, ha cominciato ad abbracciare la difficile strada del recupero di persone particolarmente disagiate organizzando una scuola calcio per giovanissimi. Poi si è dedicato ai ragazzi del carcere minorile della provincia di Caserta fino ad approdare gradualmente a questo grande progetto, estremamente impegnativo.

La vita che torna: una giovane barbatella

Progetto inizialmente fortemente ostacolato dalla camorra locale con minacce ed intimidazioni a quanti osavano prestare manodopera nei campi, rifiutandosi di accettare l’esproprio dei terreni ed il fatto che altri ne avessero il possesso . Tutt’oggi l’aria che aleggia in questa zona è pesante e cupa. Comunque la difficoltà maggiore che ha la cooperativa è quella di inserire i propri prodotti sul mercato, in parte ci riesce, ma non è sufficiente. Gabriele vorrebbe riuscire a raggiungere la totale autosufficienza economica  rinunciando ai finanziamenti pubblici.

Il pescheto

A questo punto mi chiedo come sia possibile che lo Stato finanzi a caro prezzo un progetto così valido e poi non imponga alle istituzioni locali di utilizzare i prodotti ortofrutticoli di Iacro nelle mense scolastiche, ospedaliere e di altri enti pubblici. Domani verrà inaugurato il Museo delle Tradizioni Contadine al fine di promuovere il turismo sociale basato sui principi della legalità.
Buona fortuna e un grande in bocca al lupo.

Marina Alaimo

5 Commenti

  1. Concordo con la considerazione finale di Marina,lo Stato deve aiutare la Cooperativa comprando i suoi prodotti per strutture pubbliche quali scuole,ospedali e dare così un segnale forte a chi si oppone al progetto.Lasciarli soli adesso è fare un favore alla camorra.La politica faccia almeno in questo caso il proprio dovere.

    1. No, no Marco. Non è questa la strada per dare un’oppurtunità di sviluppo non assistenziale, come al solito alla nostra terra, magari attraverso il recupero dei patrimoni confiscati alla camorra. Se facessimo come dici tu, dovremmo anche giustificare le tremila assunzioni calabresi nella sanità, i mille idraulico-forestali in Sicilia, e venendo ai nostri territori, i trecentocinquanta che passavano il tempo giocando a carte assunti da Bassolino per il consorzio di bonifica…ecc. ecc. Questa iniziativa, lodevole per l’utilizzo dei terreni, per essere positiva non deve essere assistita a vita, come tu proponi, ma deve crescere confrontandosi col mercato creando così dei posti di lavoro veri. Ti risulta che i prodotti di San Patrignano abbiano dei canali privilegiati sul mercato? A me no. Eppure anche tali produzioni hanno alla base delle motivazioni sociali da apprezzare!!!

      1. Il mio commento si riferiva al fatto che la camorra spesso ostacola chi si insedia sui suoi ex possedimenti falsando di fatto il mercato.NOn parlo di assistenzialismo ma di mettere una cooperativa nella possibilità di operare senza ingerenze esterne di natura malavitosa.Per quanto riguradrda le assunzioni clientelari nella nostra e in altre regioni a cui ti riferisci,sono perfettamente d’accordo con te.Sono solo posti politici per ricompensare gli amici.E il debito pubblico cresce e si parla di tagli in servizi essenziali come quelli della sanità.E’uno schifo.

  2. E’ vero, la cooperativa deve imparare a camminare con le proprie gambe. Ma fino a quando non sarà in grado di farlo deve essere aiutata ad inserirsi sul mercato, altrimenti rischia di fallire ed i suoi ospiti torneranno nello squallore delle celle e nella disperazione di non riuscire ad inserirsi nella società in modo dignitoso. @ Lello, credi che realtà valenti come San Patriquano o o Libera abbiano fatto tutto da sole? Sono state fortemente sostenute dalle istituzioni. Comunque questo è un settore difficilissimo, per potersi proninciare bisognerebbe conoscerlo a fondo e sporcarcisi le mani, fino alle scapole. Mi auguro solo che sia un progetto valente e ch vada a buon fine.

  3. Cara Marina, che bisogna dare una mano alla cooperativa nella fase cosiddetta di “start up”, è pacifico, e tra l’altro credo si evinca anche tra le righe delle mie precedenti considerazioni. Però, quando leggo lo scritto di Contursi che arriva a teorizzare un obbligo alle strutture pubbliche da parte dello stato ad acquistare i prodotti della cooperativa,allora non sono d’accordo. Per una ragione molto semplice : si stravolgerebbero delle regole di mercato che sono alla base della nostra economia, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili che tale atteggiamento potrà comportare. Chi scrive è stato fino ad
    un anno fa amministratore di una cooperativa vitivinicola dell’Irpinia ed ha cercato in tutti i modi di risanare quella realtà assistita(infatti i soci conferivano un prodotto dalla qualità scadente che generava dei vini scadenti che non si riuscivano,nonostante il costo basso, a piazzare sul mercato). Come è finita :l’ottusità della maggior parte degli amministratori, sindaco di Taurasi in testa, non mi ha consentito di continuare il lavoro intrapreso e quindi sono stato costretto a dimettermi. Ora la cooperativa è lì, sotto gli occhi di tutti che boccheggia, strangolata da ingenti esposizioni bancarie, da debiti verso alcuni soci che non percepiscono emolumenti per i loro conferimenti di uve da più di cinque anni, da debiti verso fornitori che hanno sospeso le forniture, insomma è quasi default. Vogliamo questo per la cooperativa di Don Giuseppe Diana? Certo che no. Allora, aiutiamoli a partire dopodichè dovranno camminare con le loro gambe e orgogliosamente affermare :” vedi Don Peppino, grazie al tuo sacrificio e alla nostra volontà c’e l’abbiamo fatta!!!

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