Il Vermut La Canellese, nostalgia e made in Italy


Vermut La Canellese

Vermut La Canellese

di Marina Alaimo

Molti cibi e bevande vanno su o giù seguendo l’andamento delle mode, proprio come fossero abiti o colori di tendenza che qualcuno ha deciso per tutti se dobbiamo indossare o meno. Grazie all’attenzione che c’è attualmente verso i barmen e i loro cocktails, rivediamo spuntare tra gli ingredienti e tra gli scaffali i vecchi vermut proposti in numerosissime etichette. Ricordiamo benissimo i grandi marchi italiani di questo fantastico made in Italy che lo hanno reso celebre in tutto il mondo sull’onda di un marketing pressante e ben ideato, legato spesso ad una grafica eccellente e di grande impatto. Tutti rammentiamo le bellissime etichette o immagini pubblicitarie del Vermut Carpano, di Maryini & Rossi, Gancia, Riccadonna e tanti altri che hanno segnato lo stile di vita degli italiani per decenni partendo dalla capitale di questo vino aromatizzato, la bella e austera Torino.

il  Vermut Carpano

il Vermut Carpano

Era d’obbligo averne almeno una tipologia in casa, nel carrello dei liquori pronto per l’uso nel salotto buono. In genere si disponeva sia della versione bianco che rosso, il primo da servire rigorosamente con l’oliva verde mentre il secondo voleva la fetta di arancia nel tipico bicchiere che ha preso poi il nome di Martini. Spesso ci si lamenta del fatto che gli italiani non sappiano fare comunicazione dei loro prodotti enogastronomici, ma soffermandoci al fenomeno vermut mi sembra che non sia proprio così, considerando quanto sia conosciuto nel mondo e quanto abbia rappresentato un vero e proprio stile di vita nel Bel Paese. Sulla sua storia e sulle origini se ne dicono tante e si fa risalire addirittura al tempo dei romani. Nei fatti è un vino aromatizzato e sappiamo che proprio in epoca romana il vino si consumasse soprattutto miscelato ad essenze varie in quanto fosse poco piacevole in purezza – spesso diventava ben presto aceto. Quindi l’origine ci può stare. Nei simposi dell’aristocrazia romana, resi celebri dai grandi scrittori e storici dell’epoca, era sempre prevista la figura del coppiere che stabiliva secondo un proprio stile in quale misura e con cosa miscelare il vino da servire poi ai signori adagiati sui triclini, mentre alle donne questa pratica era proibita. Altri tempi per fortuna. Anche se comunque c’era chi amava bere vino in purezza e in compagna di donne, specie quando di ottima qualità come il Falerno e ce lo racconta Catullo nel suo carme 27: “Ragazzo che versi il vino Falerno, versami coppe di gusto più amaro, come ordina la legge di Postumia regina, più ebbra di un acino ebbro. Ma voi andate dove vi pare, acque, rovina del vino, e fra gli astemi migrate: qui c’è Tioniano schietto.”

L’origine del nome è tedesca, Wermut, e significa assenzio, erba aromatica molto profumata e dal gusto amaro, piuttosto diffusa sulle Alpi, che nel nostro vermut non deve mai mancare. A renderlo così celebre fu il confettiere Antonio Benedetto Carpano nel 1786 sotto i portici torinesi, nella buvette di Luigi Merandazzo, ideando la formula vincente di essenze da miscelare ad una base di vino moscato, un po’ dolce e un po’ amaro. Piacque così tanto che divenne bevanda di corte in casa Savoia e per lungo tempo l’ora dell’aperitivo al vermut rappresentò un cult per la Torino bene, sfruttato poi adeguatamente dalle diverse aziende locali produttrici di liquori e affini, ognuna con la sua ricetta, il proprio marchio ben curato e il punto di ristoro nel centro della città. Da qui il passo verso la grande distribuzione nelle case di tutti gli italiani è stato breve, grazie anche al prezzo nazional popolare delle belle bottiglie da inserire nel carrello dei liquori. Il suo tempo fortunato è durato molto a lungo, più o meno fino agli anni ottanta quando il consumo si è notevolmente ridotto, forse per il fatto che fosse ormai ritenuto troppo commerciale o semplicemente perché si aveva voglia di altro. E’ stata la bellissima immagine callipigia di Charlize Theron, il miglior lato B del momento, nel famoso video pubblicitario del 1993 a rispolverare la memoria del Vermut Martini, anche se in maniera generica. Sono invece i bravi barmen, maestri di cocktails indimenticabili, a ridare oggi il ruolo di protagonista alle varie tipologie di questo vino aromatizzato che ritorna anche in purezza nelle classiche coppe a lui dedicate. E così ritroviamo con immenso piacere e grande curiosità le aziende artigiane del settore, come La Canellese.

Charlize Theron

Charlize Theron

Dal nome siamo subito orientati nella zona di produzione che è appunto Canelli, territorio storico del vino moscato. La famiglia Sconfienza ha qui più di cento anni di storia di eccellenza: in partenza erano maestri bottai e fu il fortunato matrimonio tra Francesco Sconfienza e Rosa Bertello a cambiare le sorti dell’azienda. Rosa aveva intuito il grande business del Vermut e aveva una gran voglia di cavalcare questo momento commercialmente propizio per il territorio, così studia la sua ricetta ricercando spezie di altissima qualità: in primis assenzio gentile (artemisia pontica), assenzio pontico (artemisia vallesiaca) e assenzio romano (artemisia absintium) , poi achillea, alloro, angelica, arancia amara essiccata, arancia dolce, corteccia di china, chiodi di garofano, coriandolo, dittamo cretico, genziana, cannella, cardamomo, liquirizia, maggiorana, noce moscata, sandalo, santoreggia. Rivela ai suoi figli la segretissima ricetta solo nel 1947 e da questo momento l’azienda si è sempre più affermata sul mercato divenendo un punto di riferimento per chi ricerca la qualità artigiana. Oggi a condurla sono Alfredo, Bruno e Lucia, la quarta generazione che lavora secondo la tradizione e con il pallino fisso della qualità.

Alfredo Sconfienza

Alfredo Sconfienza

Si utilizza ancora il vecchio mulino a martelli per macinare le varie erbe e spezie dalle quali poi si estraggono a freddo le essenze in maniera lenta e controllata per garantire l’integrità dei profumi. Il marchio aziendale è rimasto quello degli anni quaranta ed è bellissimo mentre la gamma dei Vermut si è ampliata variando la quantità delle essenze che lo compongono: Vermut extra dry, bianco, Vermut di Torino (rosso) con la ricetta originale di Rosa profumato principalmente all’arancia e genziana, poi il Vermut Chinato. Sono favolosi da bere in purezza al momento dell’aperitivo o anche a fine pasto. Nei decenni sono entrati in produzione altre proposte da bere tipiche del canellese come il Barolo Chianato, Amaro San / L’Amaro Di Vino, e Selene Dea di Luna.

 

www.lacanellese.it

4 Commenti

  1. Molto bene, sono contento. Ho sempre amato il vermut, anche liscio, spesso introvabile con sorsi di qualità, costretto al miscelato in un americano o in un negroni. Credo sia l’altra faccia del gin: in entrambi i casi c’è la componente botanica, vegetale. Corsi e ricorsi, ma credo che la nuova vita del vermut e del gin sia effetto dell’onda lunga della cucina nordica, al ritrovato interesse per per erbe, muschi, licheni e foglie varie. Ma in questo gli italiani non sono secondi a nessuno, data la ricchezza e la vastità di scelta in ambito vegetale: accade nella cucina, specie nel meridione e sempre più nel bere pre, post, durante, o quando volete voi ;-)

  2. Ciao Fabrizio, bevuti lisci i vermut La Canellese sono stati una scoperta che mi ha sorpreso moltissimo. Sono buonissimi.

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