Vini Buoni d’Italia 2009, Prime indicazioni dalla selezione di Paestum


Vola l’Irpinia, stabile la Basilicata, spunta la Calabria. Con la partecipazione finale di Luigi Cremona si è chiusa la due giorni di selezioni dei Vini Buoni d’Italia del Touring Club a Paestum di Campania, Basilicata e Calabria: oltre 900 vini esaminati da ben sette commissioni formate da degustatori professionali e giornalisti che hanno provato i vini in completo anonimato. Presto per fare un bilancio ufficiale perché i dati non sono ancora disponibili, ma alcune indicazioni di fondo si posso già estrapolare e ve le offro come impressioni.CampaniaIrpinia: in primo luogo il 2007 è l’anno della grande rivincita del Fiano di Avellino dopo le mazzate prese con la 2006. Numerosi, è il caso di dire, i bianchi che hanno superato la soglia minima per andare in finale e dunque per l’inizio di luglio sarà organizzata una ulteriore selezione per raggiunge il numero chiuso previsto. Sono etichette di grande complessità olfattiva, a volte di stili diversi, ma sempre di spessore grazie alla qualità del frutto. Un po’ più in basso il Greco anche se non sono mancate le sorprese. L’Irpinia si conferma provincia di eccellenza anche con i Taurasi, molto ampio il numero selezionato da 85 punti a salire. Un caleidoscopio di sensazioni nel quale possiamo dire che i nomi famosi in tutto il mondo hanno solo confermato la loro capacità di esprimersi con questa uva difficile eppure generosa di sensazioni magnifiche.In Campania Avellino è insidiata dal Sannio, quest’anno però un po’ più in affanno rispetto alle precedenti edizioni. Il clima e le condizioni generali della viticoltura sannita hanno reso più difficile l’interpretazione dell’annata 2007, ma anche in questo caso non sono mancate indicazioni. In generale la zona di Torrecuso emerge con prepotenza sui rossi mentre ripiega un po’ sulla Falanghina, forse troppo banalizzata nella sua correttezza di fondo.La provincia di Napoli si conferma terra di grande tipicità, ma purtroppo qui manca il vino capace di stupire e conquistare tutti i palati. L’Isola d’Ischia è il terroir maggiormente in crescita con ottime perfomance dei suoi protagonisti storici mentre un po’ deludente la zona dei Campi Flegrei. E se da Gragnano e Lettere oltre la piacevolezza di beva immediata c’è ben poco da aspettarsi, delude fortemente il trattamento riservato al Lacryma Christi. Per una sorta di paradosso, i produttori vesuviani sembrano più concentrati sull’Irpinia che sul loro terroir di riferimento ed è davvero un peccato. Non crediamo che da blend di coda e falanghina possano nascere solo vini capaci di raggiungere la sufficienza. Così nel rosso con piedirosso e aglianico. Il lacryma si trova un po’ come la Fiat di qualche anno fa, non ha appeal e le stesse cantine appaiono poco convinte.La provincia di Salerno fa decisi passi indietro: dipende sicuramente dal clima meno favorevole in un’annata così calda quale la 2007 è stata. Solo la Costiera Amalfitana esprime vette di eccellenza da finale con rossi complessi e molto interessanti per la loro tipicità. Soffro per il mio Cilento ma la realtà ci parla di vini molto corretti, sicuramente piacevoli, a volte ricchi di spunti per i degustatori, ma quasi sempre senza il necessario appeal per convolare in finale.Discorso uguale per Caserta, la provincia che maggiormente ha avuto il coraggio di mettersi in discussione e rifarsi il look negli ultimi anni è apparsa un po’ svogliata, quasi in ripiegamento. Come vedrete, in finale sono arrivati un paio di vini assolutamente fuori gioco in partenza.Veniamo adesso alla BasilicataUn bell’articolo di Luciano Di Lello, grande esperto del Vulture e amante dell’Aglianico, aveva lanciato un anno fa l’allarme sul Gambero Rosso: c’è rischio di stallo, molti produttori rischiano di trovarsi fuori mercato mentre la qualità della proposta semba un po’ stantia. Dopo la rivelazione del primo anno, con una percentuale di finalisti pari al 16 per cento rispetto ai partecipanti, stavolta si arriva contati e non ci sarà bisogno di ulteriori selezioni. A parte la cronica debolezza sui bianchi, l’Aglianico del Vulture sembra accontentarsi di una qualità leggermente superiore allo standard senza però avere più la capacità di stupire. Vero che la 2004 e la 2005 sono state annate davvero difficili, ma anche le grandi individualità degli anni scorsi sono in affanno, un po’ tutti appasiono quasi ripiegati su se stessi e sembra tornare ad incidere nelle scelte produttive quella mancanza di confronto con il mondo esterno che ha caratterizzato i terroir per tutti gli anni ’90. Spero proprio che sia una pausa per riprendere fiato dopo i colossali balzi in avanti fatti negli ultimi sette, otto anni. Per capirci: se dal 1999 al 2002 l’Aglianico del Vulture è stato un tembile competitor con il Taurasi, a partire dal 2003 il recupero è stato interrotto. E’ come se gli irpini siano stati capaci di fare quel balzo in più, pur nella assoluta diversità di stile, rimarcando le distanze e restando oltretutto più competitivi sui costi. Credo dipenda molto dalla maggiore attenzione al vino di ricaduta, il Campi Taurasini che consente maggiore serenità. Assente nonostante la doc la provincia di Matera, troppo incerta sui vitigni da usare e marchiata dal vizio del blend con vitigni nazionali e internazionali in puro stile anni ’90 destinato a non far mai apprezzare le bottiglie oltre una ceta soglia di costo. Viva la CalabriaUna regione in grande fermento, quasi uno spaccato della Campania di quindici anni fa. Da un lato zone di tradizione come il Cirò capaci di rinnovarsi e presentarsi in veste nuova, dall’altro territori come la provincia di Cosenza paragonabili alla zona di Roccamonfina per il clima e l’entusiasmo delle nuove aziende. Rossi anzitutto, bianchi un po’ deboli, e, tanto per gradire, rosati complessi e interessati capaci addirittura di arrivare in finale. Anche qui, come in provincia di Matera, c’è un uso un po’ ingenuo e disinvolto di certi blend, fatto a prescindere da quello che chiede il mercato in questo momento, però sulla soglia di tante cantine c’è un campione come il Magliocco capace di appassionare ed esaltare i degustatori.Si tratta naturalmente di prime impressioni, non di anticipazioni, perché non ho in questo momento il conforto dei dati. Domani saremo in grado di dare in un comunicato ufficiale e il lancio Ansa con dati e numeri precisi. Devo anche dire che con un po’ di esperienza la degustazione coperta cessa di essere un indovinello per diventare solo un modo più sereno nel valutare: ciascuno di noi accumula nel corso degli anni simpatie e antipatie che non possono però incidere nel giudizio finale. I grandi vini e i grandi produttori alla fine escono, ma per merito del loro vino e non del loro nome. I giudizi sono molto equilibrati: in riassaggi fatti sul Vulture e sul Volturno, i primi risultati ci avevano un po’ sorpresi, il voto finale non è cambiato nella sostanza a parte qualche sbucciatura di punto.Le degustazioni si sono svolte in un ambiente ottimale: il vino è rimasto stoccato nei locali del Savoy Beach di Paestum, la sala era dotata di aria condizionata e tutti i degustatori sono stati assistiti dal personale di servizio molto entusiasta e coinvolto nella esperienza, sapientemente guidato dall’Amira Paestum presieduta da Diodato Buonora. Una condizione indispensabile per lavorare bene.