I bianchi dell’estate: la Top Ten Falanghina dei Campi Flegrei


Spot Falanghina dei Campi Flegrei – di Angelo Di Costanzo

di Angelo Di Costanzo

Il vino dell’estate? Forse. Di certo c’è tutto un mondo da scoprire dietro ognuna di queste etichette; storie di una terra straordinaria, di persone che credono in quello che fanno ma soprattutto in quello che hanno da raccontare attraverso i loro vini. Ringrazio Luciano per avermi chiesto di scrivere queste righe, da prendere essenzialmente come sintesi delle bevute più significanti di questa stagione di lavoro. Nessuna classifica – come del resto son certo vi sia qualcuno dimenticato tra gli appunti -, ma solo un modo come un altro per ribadire quanto la mia terra, i Campi Flegrei, continui ad esprimere vini che meritano sempre più di essere bevuti più che raccontati. Infine un invito ai produttori, soprattutto ai “piccoli”, naturalmente senza la pretesa di essere ascoltato: specializzatevi, e puntate il mercato in senso verticale, non in orizzontale…

A Pozzuoli e dintorni. La vigna è ovunque, spesso invischiata nel caos stesso di una città che non sa ancora (possibile che non l’abbia ancora scoperto?) cosa farà da grande. Vigne stupende, suggestive, consegnateci da una tradizione millenaria e da una vocazione unica se non rara: filari che contornano il lago d’Averno (dove c’è tra l’altro da segnalare un’ultima nata, l’azienda Mirabella, ndr), la salita di via Scalandrone, le coste di Agnano a ridosso del vulcano Solfatara; ma anche Monterusciello, via Cuma-Licola, la collina di Cigliano. Insomma, Pozzuoli epicentro di una viticoltura flegrea che ha tanta materia per fare qualità e credere in un futuro di normalità agricola, sostenibile, con la terra quindi protagonista!

Falanghina dei Campi Flegrei Agnanum 2010 Viticoltori Moccia La falanghina di Raffaele Moccia, come ho già avuto modo di scrivere recentemente, pare ancora soffrire di un po’ di disordine olfattivo, ma rimane pur sempre “la falanghina” da tenere in mente se ci si vuole avvicinare ad un modello rustico e sbarazzino che tanto piace a certi palati che si dicono stanchi di sentori profumati dolci ed esotici e sapori asciutti e troppo lineari. Un po’ come quella di Giuseppe Fortunato, altro giovane interprete flegreo, con Contrada Salandra, che ahimè però non ho ancora saggiato quest’anno, ma che non ha mai mancato, anche in passato, interpretazioni fuori dal coro di tutto rispetto. Per le gite all’aria aperta.

Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma 2009 Grotta del Sole L’ho detto e lo ribadisco, il Coste di Cuma 2009 è forse la più fine ed elegante falanghina mai prodotta prima nei Campi Flegrei. Il lavoro di cernita estremamente meticoloso fa sì che arrivi in cantina solo il meglio dalla bella vigna omonima allocata a Monterusciello, ma è la mano di Francesco Jr a governare al meglio, condensare, preservare, esaltare un potenziale mai espresso prima sino a questi livelli. Il vino è finissimo, elegante come detto, offre un ventaglio olfattivo floreale, fruttato, minerale che si distende netto e profondo senza soluzione di continuità; mai stancante. Il palato è asciutto, senza spigolatura alcuna ma ben irto, rinfrancante, sapido. Icona del millesimo!

Falanghina dei Campi Flegrei Grande Farnia 2010 Antonio Iovino. Una storia semplice quella di Antonio, un giovane – oggi poco più che quarantenne -, che più o meno una dozzina d’anni fa ha scelto di continuare l’antica vocazione agricola di famiglia piuttosto che piantare, tra i suoi filari coltivati a spalatrone, assi d’acciaio e colate di cemento. Così per questo vino l’ispirazione per il nome Grande Farnia, perché come una quercia, qui sulle colline intorno al vulcano Solfatara, la vigna è stata capace di resistere al tempo ma soprattutto agli uomini; una vigna generosa, baciata dalla brezza marina e benedetta da importanti escursioni termiche. Il vino si offre di un colore paglierino tenue ma cristallino, il naso è subito vivace ed immediato, su sentori erbacei e frutti a polpa bianca, accompagnato da una intrigante nota salmastra che ne rivela tutta l’essenza territoriale; la beva è asciutta, fresca, snella e sapida. Da sbracarsi all’ombra, zuppa di cozze alla mano.

In cantina Dolce Vite, tra le bottiglie campane

Sulle colline di Napoli. E’ anche e soprattutto qui il futuro della viticoltura flegrea, nel passato distratto che ha sacrificato all’altare della politica della speculazione edilizia ettari ed ettari di vigna che dominavano la città a 360°. L’hanno capito, meglio tardi che mai, anche in regione, avallando progetti di ricerca e selezione clonale su falanghina e piedirosso di questo pezzo di terra; ci credono, ancor più, piccoli e grandi viticoltori-produttori che qui vanno investendo sul futuro piantando vigna anziché colare, ancora, cemento. Forza ragazzi!

Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Colle Spadaro. Passi per Pianura e pare di stare in Trentino, o nella Cote du Rhone; più semplicemente sei arrivato sulla collina degli Spadari.
Una falanghina proprio deliziosa quella di Luca e sua figlia Maria Vivenzio, vestita col suo colore più classico, giallo paglierino con chiare nuances verdoline, cristallino e pieno di fascino; il primo naso non è ampissimo, è però efficace e di sostanza; vi si riconoscono, nitidi, sentori di fiori bianchi e di frutta a polpa bianca, mela verde e pera, poi uno sbuffo che tende all’agrumato. Palato asciutto, freschissimo e di ottima sapidità, forgiato da quella mineralità classica e ad ogni assaggio nuova che caratterizza quasi tutti i vini flegrei. Il classico bianco da spendere all’aperitivo o magari durante quelle cenette informali, tra amici, quando il vino pare non bastare mai.

Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice 2010 Sempre da queste parti, ai Camaldoli, l’amico Gerardo Vernazzaro ha avviato da tempo un lungo lavoro di recupero della vigna in uno dei posti più suggestivi di questo pezzo di Napoli; sono circa tre ettari, piantati perlopiù a per ‘e palummo dove però anche la falanghina ha il suo piccolo fazzoletto di terra dedicata. Il Colle Imperatrice invece sta nel cuore del cratere dell’oasi del parco degli Astroni, è un po’ anche nel mio; da qui il nome per un vino dalla pulizia olfattiva magistrale: le note sulfuree, in certi casi caratteristiche di alcune interpretazioni, talvolta stancanti, qui hanno lasciato il passo ad un esercizio di stile che offre un vino franco, invitante, vivace e sbarazzino quanto basta a conquistare d’impeto il secondo e il terzo sorso. L’idea non è quella di creare un secondo vino monstre – ruolo che in azienda si preferisce destinare allo Strione (il 2008 lo preferisco a tutti gli altri precedenti, l’ho già detto?) -, ma piuttosto un vino base che sappia essere al contempo la massima espressione della denominazione ad un prezzo decisamente alla portata di tutti. Aspettando il Campi Flegrei bianco, bevetene e godetene tutti!

A Quarto. L’areale è senza dubbio il meno vocato della denominazione, il clima torrido e al contempo bizzoso di certe estati poi fa letteralmente impazzire i vignaioli di tutta la piana; chi – pochi per la verità -, ha vigne anche poco più “alte” e fa tanta selezione in campagna, con buona qualità in cantina riesce a portare a casa il risultato; buoni frutti da tenere senz’altro in considerazione, per vini di beva efficace e gratificante, a prezzi naturalmente più che ragionevoli.

Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Quartum Cantine Di Criscio La giovane azienda quartese capitanata dall’altrettanto giovane Francesca Adelaide ha dalla sua una forte e motivata dinamicità. Nel bicchiere di falanghina la luce che attraversa il vino evidenzia subito l’espressione più docile del varietale, tipica, si potrebbe dire, delle uve coltivate nelle campagne quartesi: il colore è di un paglierino tenue, di discreta vivacità; il primo naso è lieve, vinoso, con leggero e gradevole aroma erbaceo che accompagna il sorso; che è fresco, subito franco, leggero. Da aperitivo.

Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Carputo Spesso ci si dimentica quale sia il ruolo principale del vino, almeno per quanto riguarda il nostro modo di vivere l’argomento a tavola, e cioè funzionale a tutto un pasto completo e non ad una singola portata: l’abbinamento cibo-vino infatti è una voluttà, pur nobile, che poco appartiene alla nostra cultura enogastronomica, che vuole invece, spesso addirittura lo impone, vini leggeri e poco impegnativi che vadano ad accompagnare i piatti, più che a sostenerli. Così quando si hanno tra le mani bottiglie come questa falanghina di don Franco, vivace, fresca, sapida, non si va certo alla ricerca dell’opulenza o della grassezza ma, piuttosto, della semplicità prima di tutto, quella bevibilità, cauta e gratificante, primaria espressione della cultura enoica flegrea.

A Bacoli e Monte di Procida. Terrazze e costoni scoscesi con vista mare, la vigna patrimonio di un paesaggio di bellezza unica che lentamente ritorna alla natura. Qui nascono vini con caratteristiche olfattive decisamente interessanti, con notevole impronta sapida e capaci, tra l’altro, di attraversare il tempo, pure tre/quattr’anni, con discreta disinvoltura, in lento divenire.

Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Cantine del Mare Un bianco, questo di Gennaro Schiano, essenziale ed immediato, annata dopo annata sempre coerente e lieve, minerale, franco, proprio come penso debba essere una falanghina della nostra terra, in particolar modo a Monte di Procida; la marcia in più qui è la sapidità, quella gradevole sensazione di compiuta serbevolezza che solo certi bianchi sanno offrire, e la “nostra” in questo caso ne è regina; un bianco, fine ed elegante, che solletica il palato ma non affonda le unghie, che infonde calore ma non appesantisce il palato. Si dice, talvolta, da non perdere!

Falanghina dei Campi Flegrei 2010 Michele Farro Ho scritto di questo vino giusto qualche settimana fa: “l’aspettavo l’uscita dell’annata 2010 della falanghina di Michele, capace come pochi altri di proporre vini sempre pulitissimi, franchi, sinceri”. Ed è così. Nasce da vigne allocate perlopiù nel circondario della collina di Cigliano, nel comune di Pozzuoli, Cuma verso Bacoli e piccole parcelle terrazzate in località Monte di Procida. Michele conosce molto bene la vigna flegrea, rimane infatti uno dei produttori più “navigati” del circondario. Il vino, questo vino, è senza lacci e senza ammiccamenti, offre un colore paglierino piuttosto vivo e un naso immediato, sottile, sfuggente ma invitante: note di fiori bianchi, sentori erbacei e qualche buono spunto esotico; in bocca è asciutto, lievemente citrino inizialmente, ma sa come rinsavire il palato sino a conquistarlo con una decisa e lunga sapidità. Insalata di sconcigli.

Campania bianco passito Passio 2007 La Sibilla Chiudiamo con un po’ di dolcezza: è il vino di Tina Somma Di Meo, croce e delizia di Vincenzino e di Luigi, che ne avrebbero, pare, fatto ampiamente a meno; ma alla fine l’ha spuntata lei, la mamma-donnaincarriera-vignaiola-fatina dei Campi Flegrei. Il vino ha un bellissimo colore oro antico, cristallino, con buona consistenza nel bicchiere. Il primo naso è particolarmente intenso ed avvincente, su note olfattive di fieno, albicocca secca e miele d’acacia, continua poi su sensazioni eteree, quasi smaltate, caratteristiche proprio della lunga elevazione del vino in legno e bottiglia. Il sorso è dolce, avvolgente, ricco e di notevole persistenza gustativa, chiude con un buon apporto di acidità che ben equilibra l’alto contenuto zuccherino.

14 Commenti

  1. Potrei sapere in sintesi le principali differenze tra falanghina campi flegrei e falanghina del Taburno e/ o del Sannio? In particolare, anche per la capacità d’invecchiamento. Grazie!

  2. @Valerio. Se ti accontenti di un parere di un semplice appassionato, eccoti il mio.
    Falanghina Sannio: maggior corpo e maggiore gradazione alcolica, grandi ed evidenti profumi. Ecezionale capacità di invecchiamento.
    Falanghina Flegrea: grande freschezza e piacevolezza, profumi più tenui e delicati, minore gradazione alcolica. Buona capacità di invecchiamento.
    Assolutamente da sfatare la leggenda che il bianco sia da consumare l’annata successiva a quella della vendemmia.

    1. Una delle più belle vigne di città (se non sbaglio la vigna a corpo unico più grande iscritta all’albo), il luogo poi è davvero suggestivo, il tempo saprà dirci dove l’azienda di Carolina vuole arrivare. Per ora i presupposti per fare qualità ci sono tutti, e nonostante sia ancora tanta la strada da fare ci apettiamo il meglio….

  3. @Angelo. ho postato una succinta risposta ad una domada di Valerio Rosati. Volevo chiederti se la mia risposta è giusta o no. Faccio presente che sono solo un appassionato.

  4. L’eterogeneità dei terreni (leggi, sabbie, ceneri vulcaniche, tufo ecc…) e delle influenze microclimatiche del vigneto flegreo pare offrire molteplici sfumature che solo chi le sa cogliere, preservare, esaltare riesce ad esprimere al meglio il varietale. Da un punto di vista interpretativo la Falanghina si offre a tante esecuzioni, letture; essenzialmente però, tranne che in rare eccezioni di esecuzioni magistrali, mi piace riferirmi ad essa quando cerco finezza, freschezza e, non ultimo, leggerezza. Poi ognuno…

  5. Nulla (o quasi – Quarto per favore no, lasciamolo ai palazzinari!) da ridire sulla proposta, ma sarei curioso di sapere cosa significa “…puntare il mercato in senso verticale, non in orizzontale…”?

    Saluti, Claudio

    1. Molto semplice: coloro che si affacciano oggi sul mercato, soprattutto se aziende di piccole dimensioni, hanno – a mio modesto avviso – maggiori opportunità di ritagliarsi il proprio spazio se puntano alla qualità di uno o due prodotti al massimo, rappresentativi, di buon profilo organolettico e magari con un occhio al buon rapporto prezzo-qualità; anziché, come ahimé va constatato, andar per cantine sociali a comprare piccole partite di aglianico beneventano (o montepulciano – ancora?) per “entrare” in certi meccanismi distributivi che trovo sinceramente inopportuni. Soprattutto se non supportati da progetti colturali già avviati, una cantina adeguata (che giustificherebbe quantomeno una propensione alla crescita dei numeri) e soprattutto una rete commerciale all’altezza. In sintesi, pochi ma buoni, poche referenze di qualità piuttosto che sei/sette fini a se stesse.

  6. Ah bene, avevo ben compreso quindi. In verità credo che vi sia ancora molta improvvisazione nei campi flegrei, in particolare alcune tra le “nuove” di cui nell’articolo non pare abbiano proprio tutti i numeri per stare in questa lista. Però se dice che vale la pena assaggiarle…

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