L’Ispettore Michelin, i punteggi delle guide e l’ordine delle cose


Babbo Natale appeso alla ringhiera

Torna un personaggio molto amato dai nostri lettori. Ma chi l’ha detto che i post devono essere brevi?:-)

di Fabrizio Scarpato

La sera della vigilia hanno sparato a Babbo Natale: sembra non l’abbia presa bene.

Un po’ me ne sono vergognato, perché alle prime scorribande che avevano per bersaglio i pupazzi di Babbo Natale appesi alle finestre, io avevo goduto come un riccio, sommessamente, ma goduto. In mezza Normandia fino ai confini con la Bretagna si segnalavano Babbi Natale precipitati e stramazzati a terra, le corde tagliate, le scalette sabotate: un’insperata, definitiva liberazione da quei fantocci unti e stracciati, resi irrimediabilmente storpi dal gelo e dall’umidità; una sacrosanta rivendicazione dell’innocenza della fantasia, dello stupore impaurito di tutti i bambini, almeno credo, ché dei bambini conosco quasi nulla. Poi hanno cominciato a sparare, con pallini di gomma, ma non mi pare importante: le teste saltate via, gli sventramenti di gommapiuma, la disintegrazione di barbe bianche e casacche rosse, non mi hanno più divertito, lasciandomi con un senso di rabbia di fronte a un gesto, goliardico quanto vuoi, ma pur sempre violento, gratuito e isterico. Un gesto del cazzo.

A tutto questo certamente non pensava quella sera monsieur Hinault: canticchiando divertito Jingle Bells, fasciato nel suo bel vestitone rosso, starnazzava giulivo sotto il porticato della bella casa di sua figlia, a Pontorson. Gli amati nipotini aspettavano i regali: con quella barba non lo avrebbero certamente riconosciuto e sarebbe stata una splendida festa, eccetera eccetera… sì, a volte i rapporti li scrivono dei deficienti mielosi che vedono troppa televisione. Sta di fatto che mentre tentava di scavalcare gli prende un colpo della strega che per un attimo lo blocca, come appeso alla ringhiera. Fu in quel momento che una terribile schioppettata gommosa gli impallinò la natica destra. Non fu bello per i riccioluti pargoletti apprendere in un solo momento non solo che Babbo Natale era il nonno, ma soprattutto che entrambi i simpatici vecchietti, a seconda dei punti di vista, erano in grado di sciorinare il repertorio delle più invereconde bestemmie contro il mondo intero, per di più nella santa notte di Natale. Spettacolo certamente poco edificante, ammettiamolo.

Il collega Routtier ha un mare di difetti, ma anche l’innegabile pregio di non riuscire a far nulla a stomaco vuoto. Anzi, senza mangiare non lavora proprio, sebbene lavorare, nel nostro caso, sia effettivamente una parola grossa. Per parlare del caso Hinault non gli è parso vero potermi invitare a Cancale per scassarmi definitivamente i camemberts davanti a un bel  plateau royal di frutti di mare. Non auguro a nessuno di incontrare un bretone ciarliero appassionato di ostriche, perché ne potrebbe andare del suo sistema nervoso.

Plateau di ostriche

Questa volta Routtier mi ha risparmiato la gag dell’ispettore Michelin, ma mi ha spappolato il fegato descrivendo vita, morte e miracoli di ogni mollusco che portava alla bocca, chiamandolo affettuosamente per nome, soppesandone il calibro, descrivendone con dovizia di particolari lo specchio d’acqua d’origine e le amorevoli cure che lo avevano portato sin lì, davanti a noi, non senza citare, nei ringraziamenti, i nomi dei cugini di primo grado del fitoplancton usato per l’affinamento. Depurate del vanaglorioso narcisismo del collega, le cose che mi raccontava potevano avere un reale interesse anche per un animo scorticato e arido come il mio, ma ripetute qualche dozzina di volte, per di più con minuziosa ispirazione, finivano col distrarmi, sino a costringere il mio sguardo affannato a cercare disperati appigli negli immediati dintorni. Purtroppo avevo le spalle rivolte al mare, e difficilmente avrei potuto incrociare le ciglia sbrilluccicanti di qualche gnocca solitaria: poco probabile di martedi, in inverno e a pranzo. Sta di fatto che gli occhi finivano sempre sul tovagliolo sputacchiato e fradicio che Routtier portava annodato al collo, con l’esito di ferire a morte ogni mio sincero e legittimo appetito.

Nemmeno Romy Schneider che esce dalla piscina in quel film di Jacques Deray mi avrebbe salvato, alla fine, dal rito dei voti che Routtier appiccica per abitudine ad ogni cosa, ma che nel caso particolare delle ostriche prendeva pieghe e doppi sensi acrobatici tali da annichilire il più bastardo dei camionisti della Pennsylvania Turnpike. Da uno a dieci quanto diamo alla bimba? Molto valida, otto virgola cinque. Al voto seguiva una violenta tirata di naso, una smorfia della bocca e uno stralunamento degli occhi, che guardavano intorno, annaspando nel vuoto. Lo fa spesso, specialmente quando esprime un’opinione: tira su col naso, non ho mai capito se per sottolineare la sentenza emessa o per distrarre l’interlocutore, creando un rumore di fondo, un diversivo, caso mai avesse detto una cazzata. Mi fa tenerezza, e non mi interessa se è presunzione o, più probabilmente, timidezza. Per questo alla fine Routtier mi sta simpatico, forse gli voglio bene, con fatica, ma gli voglio bene.

La baia di Cancale

Così anche quella volta l’ho abbracciato ringraziandolo e fingendomi satollo e appagato. Tutti ci cascano per via del mio aspetto fisico segaligno, ma io sono in grado di mangiare tutti i molluschi dell’intera baia di Cancale: così mi son preso una birra bionda e una dozzina di ostriche dai banchetti sulla promenade, mi son seduto sul muretto davanti al mare e me la sono presa comoda, davanti al tramonto. Désirée, Fine de Cancale, Tsarskaya, calibri e voti potevano andare a farsi benedire, non poteva fregarmene di meno, perché in quel momento il mondo mi respirava addosso, e le cose, come d’incanto, avevano occupato il loro posto nella pur elementare meccanica del mio irrilevante, piccolo universo, sino a farmi sentire bene, ostriche comprese.

Il richiamo della solitudine a Cancale

L’alta marea tornava a coprire d’un velo pudico le claires abbandonate ignude ai nostri occhi e si allungava fino a lambire le barche, arenate sghembe sulla fanghiglia traslucida, inzuppata di alghe scure: forse è stato in quel preciso istante che ha cominciato a gonfiarmi il cuore quel sentimento dolce e amaro che spesso accompagnava il richiamo insistente della solitudine. Conoscevo bene quel vuoto onnipotente, per di più quella sera corroborato da un freddo appiccicoso, spennellato di salmastro. D’improvviso spunta una lacrima, ma era solo quel cazzo di limone che mi era schizzato in un occhio.

6 Commenti

  1. “Ma chi l’ha detto che i post devono essere brevi?”

    Neanche poi tanto lungo questo post di Fabrizio che si ferma, tutto sommato, a 5300 battute scritte, e altre sottintese.
    Mi sono sorpreso un paio di volte ad arrivare dalle parti di 11/12.000 caratteri provocando presumibilmente dei mal di testa più devastanti di un mal di pancia provocato da un plateau di ostriche di dubbia freschezza o rischi concreti di taglio delle vene utilizzando gli stessi gusci :-)

  2. Di Cancale, ricordo, l’atmosfera del posto ed il mare che si frastagliava sugli scogli.
    Tirava un vento terribile, ricordo il freddo di quelle passeggiate ed un vento che sembrava portarmi via, per fortuna che mi tenevano per mano,
    quelle grandi mani mi davano un senso di protezione e mi sentivo al sicuro.
    erano posti nuovi per me, stavo scoprendo una nuova realtà……….

    a tavola poi essendo piccina non volevo mangiare animali crudi, direi quasi vivi, quindi domandai qualcos’altro che non fossero cruditè…
    Beh la risposta fu… o pane e burro o cruditè……
    Io testarda come sempre continuai a pane burro per qualche giorno, finchè un giorno presa dalla fame assaggiai un pezzetto di granchio con la salsina…
    Uhm….non male, poi una crevette……. uhm….allora decisi per quella più difficile…. l’ostrica.
    Ricordo ancora quella Belon ……direi srtrepitosa….Con stupore di tutti recuperai la fame dei giorni precedenti con qualche Plateau…. direi più di due…
    Il mio viaggio era appena cominciato verso quelle meravigiose creature……

    1. E dove l’ha portata quel viaggio? Parla di “meravigliose creature” e sembrerebbe una considerazione che va al di là del puro aspetto gastronomico: le studia? Le coltiva? Le vende? Pensare che in fondo da quelle parti anche il pane e burro non è affatto male, poverini ;-)

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