Parla Franco Ricci: Italia, comunicazione anno zero


Franco Ricci

Intervista di Francesco Aiello

«In Francia il vino si insegna al settimo ed ottavo anno della scuola obbligatoria pubblica, in Italia solo per poche ore annue e solo negli ultimi anni di corso degli istituti alberghieri. Basta questo dato per rendersi conto del divario incolmabile che ci separa da chi punta effettivamente sull’enologia come risorsa economica e culturale». Parola di Franco Maria Ricci, direttore di Bibenda e presidente della Worldwide Sommelier Association.

Come giudichi l’interesse attuale intorno al mondo del vino?
«È un dato significativo ed incoraggiante del quale chiunque si occupi di valorizzazione delle risorse nazionale deve tenere conto. A tal proposito è da rilevare che negli ultimi decenni associazioni come quella dei sommelier o come Slow Food hanno avvicinato almeno cinque milioni di persone alla cultura del vino e del cibo in senso lato. Ebbene, con queste premesse è facile rendersi conto che c’è ancora molto da fare con decine di milioni di connazionali che legittimamente cercano di informarsi e di capirne di più. Importante sottolineare, poi, che i più curiosi sono proprio gli appartenenti a quelle fasce di popolazioni i cui comportamenti hanno importanti riflessi sulla dinamica dei consumi».

Qual è lo stato della comunicazione del vino in Italia?
«In questo campo ci sono differenze consistenti tra quanto avviene nel campo pubblico e quello che fanno i privati. Mentre le aziende, infatti, sia singolarmente sia come associazioni si sono date da fare con risultati incoraggianti, sono le Regioni e lo Stato ad essere alla preistoria della comunicazione. Basti per tutti un dato: ancora oggi, nel 2011 si programma la partecipazione a fiere e ad eventi di promozione senza coinvolgere coloro che, come l’Ais, da sempre si occupano di diffondere il sapere del vino».

E i produttori come si stanno comportando?
«Come in tutti i settori, ci sono operatori seri, impegnati ad avvicinare in maniera trasparente i consumatori attraverso il racconto del loro territorio, del loro lavoro e di quello che producono. Poi ci sono quelli che cercano le scorciatoie, magari con la complicità di coloro che fanno comunicazione in maniera disinvolta, magari attraverso gli strumenti della pubblicità occulta di interviste, degustazioni e premi ».

Nel campo enologico vedi differenze tra gli strumenti di comunicazione tradizionali ed i nuovi media?
«Sono convinto che la cultura del vino sia per sua natura il risultato di attenzione e di riflessione. Detto questo credo che i siti internet ed i blog svolgano soprattutto una funzione legata alla informazione, grazie ala rapidità di diffusione delle notizie ed alla capacità di raggiungere molti destinatari con costi bassi. Per l’approfondimento, tuttavia, è ancora insostituibile la funzione di libri, pubblicazioni e riviste».

Intervista pubblicata sul Mattino, supplemento Vinitaly

Un commento

  1. La distinzione tra rete e carta, l’una solo per informare velocemente, l’altra per divulgare e approfondire, non fa che confermare il rischio di accartocciamento su se stesso, di pervicace autoreferenzialità del mondo della comunicazione del vino. Anzi, non si comunica nulla: si informa, si pubblicizza, si fanno corsi, si usa il linguaggio didattico e tutto resta confinato agli addetti ai lavori. Pur considerando che la rete coinvolge ancora relativamente poche persone, credo che per contenuti e suggestioni possibili non sia seconda alla carta stampata, e soprattutto che sia errato confondere la rete con i messaggi redazionali. Poi di fronte all’appassionato, al lettore, al turista, al giovane curioso tutti continuano a definire quel vino abbastanza fresco e abbastanza caldo. Per fortuna non tutti la pensano come Ricci.

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