Terroir Vino 2010: vino (bianco), persone e web


Gli amici Filippo Ronco (patron dell'iniziativa) e Sandra Salerno (Un Tocco di zenzero)

di Alessandro Marra

Anno del Signore 2010. 7 giugno. Genova, Magazzini del Cotone nel Porto Antico. Centocinquanta produttori in rappresentanza di quasi tutte le regioni italiane presentano i loro prodotti per la sesta edizione di TerroirVino: vino, persone, web.

La mia prima volta. L’anno scorso non avevo potuto partecipare, stavolta – pur dovendo rinunciare alla Vinix Unplugged Unconference della domenica – c’ero almeno per la giornata clou
di lunedì. Per la legge dei grandi numeri, alla prossima edizione riuscirò (forse) a fare la doppietta.

Andata come è andata, il “mio” TerroirVino è stato soprattutto persone:
simpatiche, passionarie, curiose e competenti. Non tantissimi i vini che ho assaggiato, un solo rammarico: non aver provato il metodo classico che ha vinto la prima edizione del Garage Wine Contest che – insieme con il Baratto Wine Day (di cui ho già parlato qui) – ha arricchito il cartello della manifestazione organizzata da Filippo Ronco.

Quelli che seguono sono alcuni tra gli assaggi che “più bianco non si può”.

L’incontro con Eugenio Rosi, artigiano del vino, lo devo ad Augusto Cappellano (che ho ri-visto con piacere, stavolta dall’altra parte della barricata). Dopo gli assaggi ero lì a pensare #menomalechemisonofermato…

Ventimila bottiglie in tutto. Poche, pochissime. L’Anisos 2007 è un uvaggio “disuguale” – che poi è il significato letterale del nome – di nosiola, chardonnay e pinot bianco: viti franche di piede (nel caso della nosiola) allevate a un’altitudine di circa 400 metri, 500 per il pinot bianco e 750 per lo chardonnay. La fermentazione
in botti aperte e la macerazione sulle bucce donano struttura a questo bianco di bellissima sapidità; la maturazione in botti di rovere conferisce morbidezza al sorso (allineato sulle note di frutta bianca) e arricchisce un finale di grande intensità e aromaticità. Nessuna aggiunta di solforosa e nessuna filtrazione.

Al banchetto di a’ Maccia (la macchia), invece, ci sono capitato proprio per caso, mentre mi aggiravo tra quelli dove erano assiepati i produttori liguri. Forse anche per questo il Pigato 2009 della piccola azienda a conduzione femminile di Ranzo (IM) è stato tra le sorprese, parlo per me naturalmente, della giornata. Ha tutto quello che occorre per definirlo un “vinino”, nel senso buono del termine: bevibilità, piacevolezza e rapporto qualità-prezzo. Una produzione limitata che si aggira intorno alle 13 mila bottiglie, 7 euro il prezzo sorgente per una boccia. Il filo conduttore è la salinità che tanto amo nei bianchi “costieri” e che, nel caso specifico, non sconvolge il lodevole equilibrio delle sensazioni, intense ed eleganti. Persistente e, soprattutto, molto coerente. Dicevo, un’azienda tutta al femminile: madre e figlia che gestiscono anche un agriturismo e producono anche un’olio extravergine monocultivar da olive taggiasche.

Quanto al Don Chisciotte 2007 de Il Tufiello ero veramente curioso di provarlo dopo averne sentito parlare, e molto. Non c’è dubbio che si tratti di un fiano di grande complessità, al naso come in bocca. L’attacco è dolciastro con ricordi di frutta surmatura, nocciola, erbe di campo appassite e albicocca. Profondo, pure, e molto coerente. Non esattamente tipico, forse. Anche se la mineralità certo non manca, chiaramente figlia del vigneto di provenienza, un piccolo appezzamento in alta quota a Calitri (AV). Prodotto con macerazione sulle uve e, quindi anche per questo, un bianco irpino “sui generis”.

Il Sauvignon 2008 di Borut Kocijancic è una roba da pazzi tanto è definito. Fine e, allo stesso tempo, intenso nei profumi di fiori di sambuco, menta piperita e foglia di pomodoro che ritornano puntualmente al palato. Vivace, con una buona mineralità sia al naso che in bocca. Qui il sorso è davvero appagante e di grande aromaticità. Una bella soddisfazione. Macerazione a freddo per ventiquattro ore e fermentazione a 18°C per 30-35 gg., undici mesi in acciaio e tre mesi in bottiglia prima della messa in commercio. Prezzo sorgente di 8 euro o poco più.

Che buono anche il verdicchio di matelica di Filippo Maraviglia (nella foto sopra, insieme con sua moglie). O meglio, i due verdicchio. Pulito, sobrio, magari non granché intenso ma fine, dai profumi freschi verso il citrino, il Verdicchio di Matelica “Alarico” 2008. Più complesso, invece, il Grappoli d’Oro Riserva 2007, una selezione di uve dai vigneti di proprietà, dai profumi di ginestra e mandorla avvolti da leggere percezioni di vaniglia, dal gusto netto, di buona salinità e di notevole rispondenza.

Fulvio Bressan l’avevo già visto a Sorgente di Vino, assiduo frequentatore del cortile-fumatori oltre che espositore tra i più gettonati. Non ero riuscito ad assaggiare i suoi vini ma mi sono rifatto stavolta. Ne cito uno: il Verduzzo Friulano 2006. Secco, «come si faceva un tempo» dice Fulvio. Non credevo che il verduzzo fosse mai stato vinificato così, però – sapete una cosa? – secco mi è piaciuto assai. Solo 6mila bottiglie per questo bianco ottenuto da uve macerate, austero e complesso nei profumi di frutta matura e fiori selvatici. Persistente e di grande naturalezza espressiva, direi quasi “tannico” eppur mai ingessato grazie a una vibrante acidità che rinfresca il sorso e lo rende estremamente piacevole.

Il Brezza d’Estate 2008 di Cascina I Carpini, invece, è roba per pochi: solo 1123 bottiglie di timorasso in purezza, vitigno che – è inutile nasconderlo – amo particolarmente. Bisogna dargli un attimo non appena versato nel calice, dopotutto è appena due mesi che è in bottiglia, poi viene fuori con l’eleganza che non ti aspetti. Costante nel proporre al naso profumi agrumati e leggermente idrocarburici che sono nel dna del vitigno e sembrano già nitidamente percepibili al palato, dove il sorso è secco e salino. Profumi che saranno ancora lì a sgomitare lungo le pareti del calice ormai malinconicamente vuoto.

Niente male anche l’An Piota 2009 di Forti del Vento. Il nome è un espressione dialettale della zona di Ovada che significa “in gamba”, proprio come sembrano essere Tomaso e Marco. Un uvaggio un po’ insolito – cortese per il 75% e sauvignon per il 25% – ma elegante, direi molto se non fosse per quella punta d’amarognolo sul finale. Il naso, soprattutto, ha un non so che di balsamico e profuma intensamente di frutta gialla. Secco in bocca e con una discreta persistenza, 5 mila bottiglie in tutto.

Le foto sono tutte iPhoniche e scattate da me tranne quella di Guido Zampaglione de ‘Il Tufiello’ (tratta dal sito www.lucianopignataro.it) e quelle di a’Maccia che è stata scattata da Mariaenrica Bozzo che ringrazio.

2 Commenti

  1. Devo dire che , con questo articolo, alternante vini e volti, espressioni e descrizioni di modi di vinificare,hai reso bene l’atmosfera di quel giorno e di quell’ambiente, pieno di persone accoglienti, con proposte nuove e tanta voglia di sperimentare…
    ciao Alessandro
    Maria Enrica

  2. Alessandro,
    grazie per l’apprezzamento, sia personale che sull’An Piota: nel sentore di mandorla finale si ritrova molto il cortese. Proprio per quello ai pasti da sicuramente il meglio di se, quel finale infatti sposa bene gli abbinamenti coi fritti di verdure (es. fiori fritti), anche se la sua versatilità lo fa viaggiare a braccetto con molte portate pingendosi anche sugli umidi di carni bianche (per alcuni chef “la morte sua”). Se ti ricordi lo sesso gusto ritrovi anche nel Bianco di Tollu, in quel caso però più marcato data la presenza delle bollicine.

    Alla prossima, è stato un piacere associare finalmente un volto al tuo nome.

    Ciao
    Tom

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