100 Best Italian Rosé 2023: intervista ai produttori della Top10 | Chiara Ciavolich


Chiara_Ciavolich

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di Raffaele Mosca

La guida ai migliori rosati d’Italia, edizione 2023, curata da Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Granieri, Teresa Mincione e Raffaele Mosca con il supporto di DS_Glass e Vinolok oltre che di Hubitat e Arte Capuano 1840 è disponibile da luglio su questo sito
Italian 100 Best Rosè 2023: i cento migliori rosati dell’estate italiana (lucianopignataro.it). Tra le varie iniziative, ecco anche le interviste ai produttori della Top10 di quest’anno, una per una.

Chiara, raccontaci la tua azienda, raccontaci il tuo vino

La storia della mia azienda agricola ha radici lontane. I Ciavolich (Ciavolich – Cantina dal 1853) erano mercanti di lana bulgari che nel 1500 scapparono dalle invasioni turche e si stabilirono in Abruzzo, a Miglianico. Divennero proprietari terrieri e produttori di vino e vinificarono nella cantina costruita a Miglianico nel 1853 fino al 1943, anno di occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nel dopoguerra, gradualmente, l’asse produttivo si è spostato su Loreto Aprutino grazie alla eredità ricevuta da Donna Ernestina Vicini. Il senso di appartenenza a questa storia antica è qualcosa di misterioso e non saprei dare una spiegazione solo razionale. Quello che posso affermare è che, da quando ho memoria, ho sempre sentito una forte responsabilità verso il passato, ma anche verso il futuro. Da bambina, i racconti di famiglia di mio padre e mia zia sui Ciavolich, sui Vicini, o sull’amicizia della mia bisnonna Ernestina Vicini con grandi artisti come Michetti, sono sempre stati magici per me. Erano come un mondo poetico. Penso che abbiano saputo infondermi quella responsabilità di guardare indietro con gratitudine e guardare avanti con orgoglio e con vocazione al bene comune, per questa storia d’amore per il vino e per la terra, dalle origini a Miglianico fino ad oggi a Loreto Aprutino. Di tutto questo mondo fanno parte anche tante persone che ci hanno accompagnato e ci accompagnano senza far parte della famiglia.

I miei vini esprimono tutto questo. Li descrivo lontani dai luoghi comuni. Nel senso che voglio stare lontana dalle mode ondivaghe e dalle categorie che tranquillizzano gli altri e ingabbiano i vini. Voglio stare lontana anche da un modo di produzione che si basa esclusivamente su fondamentali commerciali, su una logica di crescita infinita che non ha senso. Certo il mercato è importante, chi può dubitarne, ma ci sono tanti modi per fare affari. Per raggiungere una certa eccellenza non basta voler fare soldi. Quantità e qualità non vanno necessariamente di pari passo. Il mercato, infatti, è invaso da prodotti di bassa qualità che appaiono sofisticati e in realtà non lo sono.

La ragione fondamentale affinché il vino raggiunga l’esaltazione del gusto cui un produttore ambisce non ha nulla a che fare con fattori esterni, ma solo con la vocazione a raggiungerla. E quella vocazione risiede più nel cuore che nella testa.

Cos’è per te il Cerasuolo d’Abruzzo? 

Il vino del cantiniere che per mio padre produceva Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo. E poi si faceva il suo Cerasuolo per competere con noi nella consueta cena di gennaio, con pizza e foje e le salsicce alla brace.  È inoltre il vino del futuro per la nostra regione. Il vino sul quale credo dovremmo puntare sempre di più per traghettare la nostra regione fuori da un’impronta reputazionale mortificante che dura da troppo tempo.

Cosa hai pensato quando hai scoperto di essere in cima alla classifica?

Mi sono commossa. Questo è un anno di commozione per me. Ho perso mio padre e mia zia. E tutti i riconoscimenti che stanno arrivando mi riportano a loro.  La felicità è aumentata quando ho visto che il Baldovino Cerasuolo d’Abruzzo di Tenuta I Fauri aveva addirittura vinto la classifica e che altri due Cerasuolo erano nella top ten.

Insomma la regione Abruzzo sta crescendo e come nel vino.

Sappiamo che sei parte del CDA del consorzio vini d’ Abruzzo. Cosa state facendo a livello consortile per promuovere il Cerasuolo?  

Stiamo proprio puntando sul Cerasuolo nelle attività promozionali del 2023 e 2024. Vogliamo far sì che questi figli minori, come anche il Trebbiano d’Abruzzo, sempre più attenzionati dai migliori ristoranti e negozi del mondo, posizionino l’Abruzzo ad un livello molto più alto di quello al quale è stato relegato per anni.

Sarà finalmente approvata la nuova denominazione Rosato d’Abruzzo per i vini più chiari?

La doc Abruzzo rosé è in vigore dalla vendemmia 2023. La separazione dal Cerasuolo d’Abruzzo DOC è il primo passo. Il Consorzio sta lavorando adesso affinché venga operata una netta distinzione cromatica tra l’Abruzzo DOC rosato e il Cerasuolo d’Abruzzo DOC. Altrimenti avremo generato l’ennesima confusione sul mercato.

Parlaci del progetto Fosso Cancelli e dell’uso dell’anfora sul Cerasuolo. In che modo pensi che influisca sul vino?

Il Fosso Cancelli è nato quando si è chiusa un’epoca e se ne è aperta una nuova.

È nato quando, col trasferimento della cantina a Loreto Aprutino, volutamente immersa nel principale polo produttivo viticolo, io avrei chiuso con 40 anni di vinificazioni nelle vasche di cemento, dove temperature alte ed estrazioni importanti ci donavano un vino rosso austero, di spessore ma grezzo e tannico, imbevibile per tutti dopo la vendemmia tranne che per tuo padre e tua madre, ma capace di evolversi ed autodeterminarsi anche nel lungo periodo.

È nato così, nel 2009, quando decido di trasferirmi e fare il grande passo e quindi di portare con me la filosofia di quell’epoca passata, chiudendola in 1300 bottiglie del 2007 e 1300 del 2008. Imbottiglio quel vino lì per portarmelo dietro nella nuova avventura di Loreto Aprutino. Ho impiegato 8 anni per maturare la convinzione, spesso combattuta da dubbi ed incertezze, che avrei potuto mettere in commercio la prima bottiglia.

Quando mi decido è il 2015 e penso che è arrivato il momento di metterci accanto un Pecorino e un Trebbiano. E poi, nel 2017, arrivano le anfore e il Cerasuolo.  Decido di sperimentare con questi vini e di giocare in cantina con materiali antichi. Usiamo il cemento, il legno grande non tostato e le anfore. Ma non ci leghiamo ai materiali e facciamo diverse prove cercando di capire perché facendo cose apparentemente uguali otteniamo risultati diversi, comprendendo così quanto siano decisive le caratteristiche intrinseche del prodotto poi coerentemente evidenziate e non travisate dall’intervento tecnologico. E poi tagliamo e cuciamo. Tutto è in divenire: nulla è scontato o protocollato. È tutto e il contrario di tutto. È un gioco nuovo, appena iniziato, che mi riempie di passione poiché è quello che più si avvicina all’idea di creatività produttiva che vorrei lasciare a mia figlia. Le anfore le ho scelte perché ne sono rimasta affascinata per la materia di cui sono fatte, l’argilla, che richiama la terra di Loreto Aprutino e per la mancanza assoluta di cessione di sostanze olfattive.

 

Col tempo mi sembra di capire che il vino che meglio risponde a questo recipiente è proprio il Cerasuolo che vi trova un luogo confortevole in cui armonizzare e distendere le freschezze di un’uva nera colta in anticipo rispetto alla maturazione richiesta per fare un vino rosso. Le uve Montepulciano, inoltre, assicurano una matrice con patrimonio fenolico che ben si presta a gestire ottimamente una leggera e prolungata azione dell’ossigeno facendo da scudo e preservando tutti i precursori che determineranno le caratteristiche gusto-olfattive del prodotto.

Progetti per il futuro?

Smettere di aggiungere. Iniziare a sottrarre. Nei vini come anche nella vita. E cercare di approfondire sempre di più le cose di cui già mi occupo, per farle meglio.