50 Best Restaurant a Torino, Marcello Trentini (Magorabin) non le manda a dire
Marcello Trentini, alias Magorabin, ieri ha scritto questo post al vetriolo sull’evento di Torino che ha fatto rivivere ai gastrofighetti i fasti del fine dining dell’era pre covid.
Mai stato così felice – scrive Marcello – di aver mandato affanculo il cosiddetto “fine dining” .. dopo la kermesse 50best a Torino ho visto il peggio del peggio del mondo food oggi.
Cuochi in overdose di egoncentismo e autoreferenzialità
Gente che non parla neanche italiano che si bea di un momento triste di visibilità in cambio di un finger food pagato da una multinazionale
Dinosauri obesi della critica gastronomica che salgono sul carrozzone (qualunque sia il vincitore)
Premi ridicoli
Ristoranti che puoi frequentare solo se sei milionario (guardati i prezzi di Maido che per la cronaca sta a Lima dove si vive con 50€al mese)
Giornalisti e blogger supini a leccare culi che manco in una gangbang gay
Ma .. ode alle trattorie contemporanee..(Dove mangiano tutti che lo dice Ferran) perché i cuochi fighi fanno cucina figa ma mangiano pane e salame (con acidità)
State male..
fatevi vedere da uno bravo
Ma bravo vero!
Marcello Trentini
I fatti ci diranno se veramente i due milioni di euro spesi dalla Regione Piemonte hanno avuto un indotto di 5 milioni fra stanze, pranzi e ammenicoli vari. Nell’era dei proclami in cui la realtà è quella di chi dice per primo certe cose e con convinzione, nessun giornalista si metterà davvero a fare i conti per verificare questi dati fatti filtrare alla stampa. Nel frattempo è soprattutto il Sud America a ringraziare i soldi italiani con una valanga di articoli di giornali che celebrano la vittoria del ristorante di Lima. Non penso che la eco avuta dai giornali spagnoli nella edizione di Valencia sia lontanamente paragonabile allo piccolo effetto avuto in Italia, non fosse altro per il dimenticabile risultato dei ristoranti italiani che è in effetti un ossimoro con il successo della cucina italiana nel Mondo. Vabbè, ma qua si apre un altro discorso.
La verità è che, secondo noi, con la scelta di creare una Hall of Fame, la classifica ha perso progressivamente il suo allure. Come se dal campionato italiano di calcio uscissero dalla competizione quelli che vincono lo scudetto. Certo, ogni formula diventa vecchia e queste classifiche hanno bisogno di novità per restare sulla cresta dell’onda e attrarre sponsor. Ma per essere veritiere devono in qualche modo riflettere anche la realtà fattuale, quella ben conosciuta dagli appassionati e dagli operatori del settore, posto più in alto nella classifica o posto più in basso poco conta. Queste competizioni, proprio come lo sport, hanno bisogno di personaggi dominanti per appassionare, meglio se ci si divde fra Tizio e Caio. Per noi italiani il clou è stato l’alternarsi di Bottura e dell’Eleven Madis Park al primo posto. Dopo di che l’interesse è in caduta libera. Almeno valutanto la mole di post e di articoli che escono ogni anno.
Alla luce di questa considerazione base viene da chiedersi se lo sforzo, encomiabile, di portare la 50 Best in Italia per la prima volta sia valsa la pena. E’ ovvio che ci ha creduto e lavorato difenda la propria scelta, ma tutti farebbero bene a guardare i riscontri concreti, a parte l’adunata dei gastrofighetti che ricorda un po’ le riunioni dei monarchici di un tempo che celebravano il compleanno dei re detronizzati.
In realtà siamo di fronte ad un fenomeno che Marx definiva Falsa Coscienza. Ossia, in parole povere, leggere la realtà in base a teorie che hanno preso forma in un periodo precedente alla realtà stessa che stiamo analizzando. 50 Best celebra un mondo che non c’è più, ma non perché sia in crisi il fine dining, bensì, come noi stiamo sottolineando dai tempi del Covid prendendoci la nostra dose di insulti che oggi sono medaglie in petto, per la crisi della caricatura del fine dining. Vanno avanti progetti che siano sostenibili economicamente e non pozzi senza fondo di risorse fatte affluire da attività esterne al ristorante (pubblicità di patatine, partecipazione a convegni, a scuole di formazione private, spot televisivi, trasmissioni). Non c’è nulla di male, intendiamoci, ma. questo andazzo fa emergere storture oggettive di sistema che possiamo sintetizzare così:
1-Eccessiva attenzione alla forma dei piatti spesso destinati ai fotografi e non alla gola
2-Perdita di interesse per il cliente in un momento in cui la sala è la vera trincea che tiene aperta qualsiasi attività, dal bar al fine dining
3-Mancato adeguamento ai tempi e ai ritmi moderni che bocciano l’idea di andare in questi ristoranti quando si tiene da fare o se si ha poco tempo.
4-Copia copiazza di stili e prodotti perchè la cretività è nemica del bisogno di danaro
Quindi chi fa business in questo mondo farebbe bene ad adeguarsi subito se non vuole essere tagliato fuori e diventare egli stesso caricatura nel descrivere la caricatura di un fine dining che tutti hanno sulle scatole.
Alla luce di queste considerazioni, quella di Marcello Trentini, ed altre che stanno circolando sui social, non è una intemperanza verbale, ma un segnale preciso che qualcosa di profondo sta cambiando. Ma soprattutto dobbiamo chiederci se il modello di lusso sfrento e costoso sia l’unico possibile per chi ama la buona cucina. Insomma, nella cucina sta accadendo quello che abbiamo già visto succedere nel vino.
Per questo 50 Best restaurant a Torino più che al ballo del Gattopardo è somigliato più a quello sul ponte del Titanic.