Agnanum 2009 Piedirosso Campi Flegrei


VITICOLTORE MOCCIA

Uve: piedirosso
Fascia di prezzo: dai 5 ai 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio

Ormai il paragone viene spontaneo a tutti: ma sembra un pinot nero della Borgogna! Il motivo è molto semplice, pugno d’acciaio in guanto di velluto con un impatto elegante e fine al naso in cui si fondono la frutta ciliegiosa matura ai sentori cinerei e fumé del territorio campano, tutto corredato a spezie e macchia mediterranea.
Ancora l’ingresso è secco, senza dolce sulla punta della lingua, i tannini sono fini, eleganti, ben risolti come sempre avviene con il Piedirosso. Poi dal centro bocca il vino inizia a sprigionare una potente energia vitale, un po’ l’alcol, un po’ la capacità di occupare ogni angolo del palato regalando alla fine una beva facile ma lunga e persistente. E, soprattutto, non monocorde.
Insomma un vino moderno e di facile approccio, ma anche cangiante ed efficace sul cibo.
Lo abbiamo riprovato in un bel pranzo invernale da Nonna Rosa, proposto da Luigi Casciello dopo il Cannonau di Dettori ed è stata felice la sequenza perché il Piedirosso di Raffaele aveva sicuramente un spinta in più rispetto al già buono vino sardo.
Sono passati ormai quasi quattro anni e questo vino fermentato solo in acciaio dimostra una longevità davvero insospettata. Di più: l’evoluzione lo vede composto, equilibrato, ben maturo. Cosa che mai ci si aspetterebbe dal Piedirosso, in genere considerato, me per primo, un vino da bere nei primi due op tre anni.
Invece lo stadio in cui lo abbiamo becatto è ancora adolescenziale, ricco di promesse.

Agnanum 2009 Piedirosso

Scheda del 3 novembre 2010. Conosco Raffaele Moccia da oltre un decennio, ho camminato a lungo con lui ogni palmo della sua vigna ad Agnano, alle pendici del cratere spento degli Astroni; Esperienza per certi versi cruda, per la fatica che impieghi a farlo ma soprattutto per il rammarico nel constatare come molti altri non hanno saputo, come lui, conservare la vigna preferendogli invece cemento e lamiere come se piovessero dal cielo. Dai declivi dei terrazzamenti ti accorgi quanto duro lavoro serva qui per portare avanti la vite, in un lembo di terra letteralmente strappato alla periferia napoletana e chissà a quale scempio condonabile.

Ogni due passi nel risalire la collina sono più o meno un metro netto regalato alla natura, un gesto del tutto estraneo al contesto che gli scorre velocemente sotto il naso. I rumori assordanti di uno dei quartieri più popolosi di Napoli sono ad un tiro di schioppo, ma risalendo la china, una volta arrivati qui, appaiono quasi del tutto assorbiti dal moto lento che la natura stessa esige ed impone.

Tre ettari e mezzo strappati alla città dicevamo, piantati perlopiù a piedirosso – qui per tradizione detto per e’palummo – e falanghina per la parte che interessa la produzione vinicola di Agnanum; Ma, qua e là tra i filari, alcuni dei quali ultra centenari, non mancano altre varietà a bacca bianca tradizionalmente presenti, in maniera certamente minore, su tutto il territorio flegreo, come la catalanesca, la biancolella e la gesummina, utilizzate però in questo caso dal papà di Raffaele per suo ludico diletto; E poi l’immancabile marsigliese, vitigno a bacca rossa dalle origini certamente francesi (si paventa una somiglianza col Tannat), di sovente utilizzata altrove come “varietà tintoria”. La stessa, recentemente, pur in maniera solo ufficiosa, è stata fortemente valorizzata dal buon lavoro della famiglia Di Meo de La Sibilla della vicina Bacoli, che ne ha fatto, con il suo cru Marsiliano, un gran bel vino, rilanciando la prospettiva di un modo nuovo per leggere i Campi Flegrei con una scrittura pur estranea alla doc locale.

Il per e’palummo 2009 di Raffaele, giuro, sarà un vino sorprendente per molti, a patto però di armarsi di una santa pazienza certosina. Eh si, perché i vini di Agnanum, pur caratterizzati da una bevibilità unica, vanno aspettati a lungo, lasciati respirare, “aprirsi”, concedendogli cioè il giusto tempo di ossigenazione, a conferma di una storia agricola pregnante, un millesimo, questo 2009, particolarmente interessante in terra flegrea ed una artigianalità espressa al massimo dai particolari, con il piedirosso più della falanghina. Un vino dal colore purpureo, vivo, caratterizzato da buona concentrazione; Il primo naso va lasciato sfumare, le prime note di evidente riduzione possono rappresentare in molti casi una caratteristica peculiare del varietale, ma già dopo qualche minuto si riescono ad apprezzare un susseguirsi di sfumature piuttosto invitanti, a tratti atipiche, che dopo poco tempo vanno evidenziando un frutto sì polposo ma soprattutto note speziate e terrose molto particolari, direi quasi ficcanti. Mentre il naso va maturando una sua linearità a tempo debito, il palato non ha bisogno di lancette per lasciare traccia della sua essenza: è subito intenso, fresco, asciutto quanto basta, un vino avvincente ed avvolgente pur mantenendosi leggiadro e godibilissimo dal primo all’ultimo sorso, offrendo alle papille gustative un costante esercizio ricognitivo di un frutto integro e sempre in primo piano. Raffaè, a dire che buono è buono, anzi direi eccellente, ma niente niente ti sono scappati due o tre grappoli di marsigliese in questo piedirosso? (Angelo Di Costanzo)

Sede in Via Vicinale abbandonata agli Astroni , 3, Napoli .Sito www.agnanum.it . email : [email protected] Tel  e Fax  081 2303507. Ettari : 3 e mezzo . Enologo : Maurizio De Simone. Bottiglie prodotte : 13.000. vitigni: Falanghina, Piedirosso.

4 Commenti

  1. Caro Angelo, complimenti per l’ottimo servizio. Sono rimasto particolarmente affascinato nell’apprendere che nell’area flegrea, oltre alle uve autoctone già conosciute, esistono altri vitigni, di cui onestamente ne ignoravo la conoscenza, come la Gesummina e la Marsigliese. Quest’ultima, poi, come tu affermi, è parente del vitigno francese Tannat, che, come sicuramente tu sei a consoscenza, ha trovato la sua patria di elezione in Uruguay. Poiché sono proteso costantemente alla ricerca di queste chicche, potresti gentillmente tracciarmi il profilo di entrambe le uve. A dire il vero della Marsigliese avevo sentito vagamente parlare, oltretutto è anche un’uva con polpa colorata, se ho capito bene. Della Gesummina, invece non conosco niente. Grazie e abbracci.

    1. Caro Enrico,
      i Campi Flegrei hanno una ricchezza ampelografica che va ben oltre la Doc Campi Flegrei. La Doc ha avuto un ruolo importante nel fissare il paradigma di un vino flegreo riconoscibile e di qualità ma tanto è ancora possibile trovare nella ricca storia della viticoltura flegrea. Ed è bello leggere che c’è ancora che conserva questa ricchezza e, nel caso della famiglia Di Meo, ne esplora le antiche strade per trovare nuove ispirazioni.

  2. Buongiorno a tutti.

    @Malgi: in verità non esistono, o quanto meno non mi risultano, studi ampelografici specifici sulla marsigliese, e credo che la confusione che circola su questa ed altre varietà campane potrebbe essere un grande volano di ricerca sulla stima del potenziale di varietà certamente minori ma non per questo incapaci di esprimere proprietà organlettiche particolari. Ecco perchè stimo moltissimo Giancarlo Moschetti ed il suo team, e guarda caso anche qui da Raffaele c’è lo zampino di Maurizio De Simone.

    Sul Tannat, da quel che so è una varieta’ francese a bacca rossa ma di origine basca. I vini da queste uve sono spesso particolarmente colorati, virano verso un’ acidà spinta, oltre che tannici e caratterizzati da aromi particolarmente speziati. In Uruguay, che tu citi, mi pare sia conosciuto con il nome Harriague o qualcosa di simile, ma onestamente di quelle terre là continuo a preferire il Matador azzurro ai vini prodotti. ;-)

    Per esperienza, so che il lavoro di Luigi Di Meo abbia spinto molti a rivedere la propria opinione sul vitigno, alcuni amici tra agronomi ed enologi non stanno disdegnando una utile sperimentazione, chissà che non ne vengano fuori cose interessanti. Ecco, forse, il perchè della mia domanda sul finale di recensione all’amico Raffaele… ;-)

  3. Ciao Romualdo è sempre un piacere per me leggerti. Condivido pienamente quello che dici tu ed Angelo, a proposito di vitigni sconosciuti, o poco noti, che periodicamente vengono riscoperti. In effetti, in Campania abbiamo un patrimonio ampelografico illimitato e ancora in continiua fase evolutiva, che nussun’altra regione italiana può vantare. Così come il maggior numero di vitigni coltivati ancora a piedefranco. Se non vado errato sono stati censiti circa 120 vitigni autoctoni se non di più, vale a dire più di un terzo di tutti quelli esistenti in Italia e in numero addirittura maggiore di quelli esistenti in Francia. Anche qui nel Cilento si riscoprono continuamente nuovi vitigni. Io stesso sto seguendo con passione queste evoluzioni vitivinicole, anche per motivi editoriali.
    Angelo, a proposito del Tannat uruguyano, hai perfettamente ragione: è stato proprio Don Pascual Harriague, immigrato basco, che nel 1870 mise a dimora le prime piantine di questo vitigno provenienti dalla Francia. Questa varietà, successivamente prese il nome di Harriague in onore di questo pioniere.
    Romualdo, salutami tuo cognato Enrico. Abbracci ad entrambi.

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