Aminea, quattro moschettieri per un Monsignore


9 febbraio 2002

Il Gragnano, il Lettere e il Lacryma Christi sulla lasagna napoletana di domani, poi a Carnevale dritti a Montemarano. Per assistere alla fantastica celebrazione dei riti pagani nel cuore dell’Irpinia? Se volete, perché no. Ma soprattutto per abbracciare le colline del Fiano e del Taurasi, qui dove secondo una leggenda dei mille anni fa i campi soffrivano la siccità perché l’acqua del fiume Calore si trasformava in vino. Michele Fede, Mimì Mongiello, Antonio D’Aliasi e Michele Morza si conoscono da sempre: né il lavoro, né il matrimonio li ha separati nel corso degli anni ed ora sicuramente resteranno per sempre ancora più uniti dopo la nascita della loro azienda, avvenuta ufficialmente il 20 gennaio (via Santa Lucia, Castelvetere. Telefono 0827 65787). Si chiama Aminea, in omaggio ai coloni pelasgi che abitarono qualche tempo fa queste zone mettendo a dimora vitigni di origine caucasica affidati loro da Bacco. Ecco, dunque, ancora una prova del fermento che attraversa il mondo del vino campano: crescono gli investimenti, nascono nuovi protagonisti, la storia si arricchisce di altri racconti, altri odori. E questa azienda, 150mila bottiglie di partenza, una decina di ettari a conduzione diretta, dopo Torre Gaia a Dugenta, è la seconda delle tre novità con cui abbiamo iniziato l’anno. I bianchi di Aminea, Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Coda di Volpe, si presentano potenti, ben supportati nel valore alcolico, rotondi e profumati mentre aspettando l’austero Taurasi che in questo momento sonnecchia in botti di rovere di Slavonia si può provare il Monsignore, Aglianico in purezza, l’ennesimo grande rosso campano ancora sconosciuto a tutti e di cui i seguaci di questa rubrica possono godere l’anteprima assoluta. Dunque, martedì andate a Montemarano e, se avete tempo, date pure uno sguardo al Carnevale.