Bocca di lupo 2004 Castel del Monte doc


Bocca di lupo 2004

Nell’antichità le uve camminavano con gli uomini. Il concetto di autoctono in realtà è solo un fermo immagine consentito dalla memoria di due, tre generazioni. Nella società globale le uve corrono, insieme agli uomini, spinte dal successo commerciale, non più portate dagli eserciti come la catalenesca dagli spagnoli, ma dalla capacità di fare reddito, dalla facilità di impianto.
Capita così che in un decennio il Sud accoglie solerte Chardonnay e Cabernet Sauvignon mentre, in quello successivo, avanzano Aglianico e Fiano in maniera inesorabile, seguiti a ruota dalla Falanghina. Dal Dopoguerra agli anni ’80 le uve hanno viaggiato da Nord a Sud, da Est ad Ovest: ora il senso di marcia si è invertito, il Molise è tornato ad essere sensibile alla ruralità campana, la Puglia scommette su Fiano e Falanghina per i bianchi e, nella parte superiore, valorizza l’Aglianico.
Nell’areale misterioso di Castel del Monte si è giocata la partita tra il Nero di Troia e l’Aglianico spinto dal sovrastante Vulture. Ed è così che a Tormaresca, al termine di una degustazione di Negroamaro organizzata da Radici nella bella azienda, rilevata dagli Antinori da Gancia, proviamo l’Aglianico di Renzo Cotarella, Bocca di Lupo come la Tenuta, costruita ex novo ma in modo filologicamente impeccabile rispettando lo stile antico delle masserie pugliesi. L’Aglianico del 2004 carica dalla sua le potenzialità di un’annata che si sta dimostrando sempre più straordinaria per i rossi a vendemmia tardiva, quelli cioé che hanno potuto recuperare un andamento vegetale piuttosto fresco e piovoso che ha invece penalizzato i bianchi. Vini di buona struttura e grande spinta acida.
Ossia di solido scheletro capace di tenerli in piedi per molti anni. Il Bocca di Lupo 2004 manifesta freschezza, ma soprattutto di una straordinaria eleganza: l’attacco forse è un po’ morbidoso per chi è abituato a quello scorbutico irpino, somiglia di più all’impatto, caldo e dolce, del Cilento. Poi però il palato gode di questa vibrante spinta acida, irrefrenabile, che ha al tempo stesso il valore dell’abbinabilità con il cibo e la capacità di rinnovare la voglia di bere, sicché la bottiglia, per entrambi i motivi, finisce subito.
Se queste sono le premesse, ci aspettiamo grandi cose anche dalle annate che seguono, la 2005 e la 2006: Renzo Cotarella era partito con un uvaggio misto, ma il Cabernet ha sempre la funzione di omologare il vino con la sua esuberanza olfattiva e morbidezza palatale. L’Aglianico va aspettato, certo. Ma le soddisfazioni sono di gran lunga superiori, soprattutto con l’uso sapiente del legno come in questo caso.