Bordeaux raccontata da Armando Castagno a Sorrento


Bordeaux

Bordeaux

di Teresa Mincione

“E’ patria ciò che si capisce e si conosce”, scriveva Veronelli. Certamente, Château Margaux, Château Cos d’Estournel, Château Cheval Blanc, Château Haut-Brion, Château d’Yquem sono patria per Armando Castagno, che come il tenorissimo (così veniva chiamato Caruso), lo scorso 2 ottobre, presso l’Hilton Sorrento Palace, ha (de)cantato il terroir di Bordeaux attraverso i magnifici vini del Medoc, Graves e riva destra, aprendo le danze al tanto atteso (e rimandato) evento “Primavera a Bordeaux”. Emanuele Izzo, delegato Ais Penisola Sorrentina e Capri, ha, ancora una volta, messo a segno uno straordinario e suggestivo evento, nato dalla stretta collaborazione con Armando Castagno, voce e penna d’oro del mondo del vino. Quando si pensa alla grande tradizione vitivinicola francese non si può non ritenere Bordeaux la patria dei vini rossi più famosi al mondo e dal valore inestimabile; la culla di quelli che chiamano i “custodi del tempo” perchè sul podio dei vini più longevi. Per non parlare dell’indiscusso primato di territorio vitivinicolo piu vasto della Francia, con i suoi 113.000 ha coltivati a vite e 550 milioni di bottiglie. Un inarrivabile punto di riferimento stilistico, storico e culturale per quanti nei secoli hanno puntato a classe e personalità. Una zona vitivinicola d’elezione Bordeaux, situata nella Francia sud-occidentale a cavallo del 45° parallelo, che da secoli, affascina neofiti e esperti con il suo eterogeneo ventaglio di terre e terroir; di dolci pendii che si alternano ad ampie valli, di corsi d’acqua e fiumi come la Garonne e la Dordogne, che nell’unirsi, formano un estuario comune (lungo quasi 70 km) dal nome Gironde. Un angolo di mondo, dove per la vite, l’oceano riveste un ruolo fondamentale: più è forte la sua vicinanza, maggiore è l’inflenza che rende calda-mite la zona viticola attigua e precoce il vitigno in essa allocato. Uno spaccato naturale dove il clima è abbastanza caldo da permettere la perfetta maturazione delle uve rosse e nello stesso tempo, sufficientemente umido per consentire la magica trasformazione e sviluppo della botrytis cinerea sulle uve candide del Sauternes. Rispetto alle rive delle tre fonti d’acqua (Garonne, Dordogne e Gironde) si individuano sulla riva sinistra della Gironde, l’area del Medoc e delle Graves, tra la riva destra della Garonne e quella sinistra della Dordogne, la zona dell’ Entre – deux- Mers; infine la riva destra della Dordogne, la famosa Rive Droite. Il Medoc e le Graves sono certamente le zone piu miti dell’intero terroir bordolese, non a caso, il Cabernet Sauvignon, nell’ambientarsi, ne ha fatto terra d’elezione. L’entroterra,  invece, come Saint Emilion e Pomerol, dove l’oceano risulta più distante, le aree sono piu fresche diventando di favore rispetto alla maturazione del Merlot e del Cabernet Franc. Una divisione, questa, che sembra territoriale, tassonomica, ma che in realtà è piuttosto una distinzione stilistica e antropologica. Tra la Rive Gauche e la Rive Droite sono pochi i punti di contatto, basta guardarsi intorno. Il Medoc è luogo di grandi latifondi, di (grandi quantità) di aziende storiche di notevole gusto e di grande eclettismo; la bellezza architettonica della struttura produttiva è un requisito comune e intrinseco alla storicità degli chateau. Sulla Rive Droit (salvo eccezioni) tutto è assai più semplice. Eppure si fa presto a dire Bordeaux! Sotto l’egida del suo nome ben 60 denominazioni d’origine (ognuna con la propria storicità, traccia stilistica e fetta di mercato) a riscontro e conferma di un terroir poliedrico quanto straordinariamente frammentato.

Primavera a Bordeaux Atto II Graves e Riva destra

Primavera a Bordeaux Atto II Graves e Riva destra

Partendo dalla riva sinistra, la penisola del Médoc conta otto denominazioni: Médoc, Haut Medoc (che è a sud del Médoc!), Listrac e Moulis, nonchè a segure le quattro più note, Saint- Estéphe, Pauillac, Saint Julien e Margaux, tutte affacciate sulla Gironda. Le Graves ne contano sei di cui quattro dedicate solo al bianco dolce (Graves superieures, Cerons, Barsac e Sauternes) e due ai migliori bianchi di Bordeaux e ai rossi secchi di un certo prestigio. L’Entre – deux- Mers  ne annovera 12.  La riva destra ne conta cinque. La parte a sud, oltre il limite dei fiumi, che va sotto il nome di Libournais ne annovera 14. Tra esse spiccano quelle di Pomerol e Saint Emilion. A finire, vanno aggiunte le appellations regionali Bordeaux e Bordeaux Superieur.

Ai calici ..

I vini convocati per la rassegna sono stati tutti d’eccezione. Calici estremamente comunicativi nati per raccontarsi e non (solo) per impressionare. Dodici esemplari straordinari capaci di decantare il terroir e allo stesso tempo colpire la memoria (olfattiva e non solo) con la forza della storia e della materia prima. Ma l’eccezione a Bordeaux, si sa, conferma la regola, poichè qui l’eccellenza non proviene solo dalla vigna ma anche dal sapiente momento della trasformazione. E i vitigni? Nonostante le differenze tra i diversi terroir, i vini prodotti tra le sue terre hanno come base una ristrettissima cerchia di vitigni (utilizzati però in percentuali diverse) a seconda delle zone geografiche. Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot, Malbec e Carmenere, i protagonisti capaci di creare il mito Bordeaux. Il Merlot (tot. 74.800 ha) è la varietà più diffusa a Bordeaux, e l’unica che entra in percentuali rilevanti in tutta le denominazioni da rosso. Preferisce terreni freschi, argillosi, profondi e asciutti; si declina in ampiezza, ricercatezza espressiva e ben sposa con l’altra varietà con la quale si legge in combinato disposto: Cabernet Sauvignon, con il quale da vita al cd “taglio bordolese”. Curiosità vinicola attesta che la percentuale di impianto di Merlot post gelata del ’56 è cresciuta di tre volte e oggi il suo trend di crescita è inarrestabile ( nelle Graves i risultati sono stupefacenti).

Il Cabernet Sauvignon (tot. 25.500 ha) è il secondo vitigno più coltivato dopo il Merlot. E’ possente e profondo, poliedrico e raffinato e a Bordeaux diventa intransigente. Si trasforma in aristocratica creatura con il tempo e la finezza del tannino maturo. Il Cabernet Franc (tot. 10.900 ha) è la classica varietà autoctona bordolese da taglio che offre la matrice fruttata. Matura prima del Cabernet Sauvignon e ciò spiega il successo sulla riva sinistra dove si esprime in charme e finezza. Il Malbec (975 ha, ossia l’1,3% delle uve rosse) agli inizi dell’800 registrava una percentuale che superava il 55%, oggi la stessa è del tutto crollata. Poco concentrato e abbondante in vigna è apprezzato sulla Rive Droite, in  Australia e Argentina. Il Petit Verdot (479 ha  0,7% delle uve rosse) è il vitigno “rustico” della regione  presente lì dove non si trovavano gli altri (per ragioni climatiche) come in riva all’estuario.

I terreni? I terreni bordolesi sono assai vari dal punto di vista della struttura, della fertilità, della profondità e composizione. Quelli del Médoc sono fini e ben drenati costituiti da sabbia e ghiaia. Si scaldano molto velocemente in primavera (a causa della scarsità dell’acqua) e permettono una veloce maturazione dell’uva nera. Le Graves, hanno un terreno simile ma di tipo alluvionale. Nell’ Entre – deux- Mers i terreni sono argilloso – sabbiosi, mentre sulla riva destra della Dordogne si trovano zone indipendenti dalla variabile qualità. Pomerol e Saint- Emilion topograficamente sono le più varie rispetto al Médoc  e le Graves.

Finalmente si assaggia!

ATTO I:

Médoc: il santuario della classicità.

Château Potensac 2015

(Médoc AOC – Merlot 45%, Cabernet Sauvignon 38%, Cabernet Franc 17%)

Il Médoc costituisce la striscia costiera che costeggia la Gironde per circa 80 km dalla città di Bordeaux fino alla sua immissione nell’oceano Atlantico. Oggi è una palude caratterizzata da una solida e poliedrica stratificazione geologica: strati e strati di fondale marino fanno da base  a una millefoglie di sabbie e ciottoli, argilla e torba. Si contano più di 5.000 ha vitati  e il totale annuo prodotto è di 41.000.000 bottiglie.

Tra i filari si trovano sassi stondati (non quelli calcarei della borgogna o le ardesie della germania) levigati dalle acque chiamati “galets” e costituiscono il classico strato superficiale del Médoc (comune a qualche zona de Entre deux Mers). Finchè la classificazione dei “Cru Bourgeois” ha avuto valore, Potensac è stato l’unico vino a godere dello status di “ Cru Bourgeois Exceptionnel”.

Château Potensac eredita il nome dalla sua posizione, giacchè si trova sulla cima dell’altopiano di Potensac nella parte settentrionale del Médoc. E’ di proprietà della famiglia Delon da diverse generazioni, meglio conosciuta per la famosa proprietà a St. Julien, Leoville Las Cases e Château Nenin a Pomerol. Il nonno di Jean Hubert Delon ottenne la tenuta tramite matrimonio quando si sposò con una componente della famiglia Liquard. Da quel momento in poi, lo Château è stato tramandato di padre in figlio. Il vigneto di Potensac si estende per 84 ha sulla Rive Gauche ed è piantato a 46% Merlot, 36% Cabernet Sauvignon, 16% Cabernet Franc, 1% Petit Verdot, 1% Carmenere. Un bel cambio di passo se si considera che tra i filari in passato predominava il Cabernet Sauvignon (con una percentuale del  60%). Piedi in vigna si tocca con mano la ghiaia con chiazze di argilla, ma certamente ciò che concorre a rendere unico il terroir di Potensac sono i depositi calcarei.

Le viti hanno un’età media di 50 anni e non mancano ceppi che sforano gli ottanta.

Château Potensac 2015 registra una fermentazione spontanea in acciaio e maturazione di 15 mesi in barrique (di cui legno nuovo dal 25 al 33%). La produzione totale annua si aggira intorno alle 300.000 bottiglie.

Rubino. Un naso che racconta tocchi di frutta nera, mora di rovo, mirtilli, rabarbaro, carruba, arancia sanguinella, noce moscata. Con i secondi rivela l’altra parte della medaglia nei sentori ematici e speziati. Tabacco da pipa, bacche di pepe nero, humus. Al gusto rivela il punto di forza di Potensac: la sua sapidità. L’anima? L’espressività nel raccontare il terroir. Connubio in armonia tra acidità e parte materica. Il tannino è avvolgente e godibile da solleticare il riassaggio.

 

Château Chasse – Spleen 2015

(Moulis – en – Médoc AOC  – Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 42%, Petit Verdot 5%, Cabernet Franc 3%).

Moulis-en-Médoc conta una distanza da Bordeaux di meno di 35 km e la superficie vitata totale della denominazione copre circa 600 ettari con 4.500.000 bottiglie annue prodotte.

E’ un piccolo villaggio nel distretto de Haut-Médoc che dà il nome alla prestigiosa zona del Bordeaux sulla sponda della Gironde fautrice di vini rossi prodotti principalmente da Cabernet Sauvignon e Merlot. I terreni intorno a Moulis non beneficiano delle grandi proporzioni di ghiaia che si trovano a Margaux o Graves, ma ciò che esiste è mescolato con argilla e calcare, consentendo la produzione di vini di qualità. I bordi orientali di Moulis sono delimitati dal confine settentrionale di Margaux. Château Chasse – Spleen è unanimamente considerato il miglior vino del Médoc interno ( denominazioni Moulis-en-Médoc e Listract). Cosa significa il nome Chasse-Spleen? Affidandoci ad una traduzione meramente lettale vien fuori “scaccia-malinconia”.  Per alcuni il suo nome è collegato all’autore de I Fiori del Male, Baudelaire, il quale sedotto dal questo vino, anche dopo aver visitato lo château, ne avrebbe evocato il potere contro la melanconia. Per altri pare da attribuirsi a Lord Byron, che amava tanto questo vino da esclamare un giorno: “Quel remede pour chasser le spleen”.  La storia della tenuta inizia nel 1560, quando si chiamava Grand-Poujeau ed era possedimento della famiglia Grenier. Successivamente nel 1822, per problemi ereditari, la proprietà fu spezzata in due parti: Château Gressier-Grand-Poujeau rimase alla famiglia Grenier e l’altra parte fu assegnata alla famiglia Castaing. Nel 1860 sarebbe diventato Château Chasse-Spleen. La sua storia è travagliata e interessante: dopo la morte di Monsieur Castaing, fu acquistata dalla famiglia tedesca Segnitz, ma fu confiscata nel 1914 allo scoppio della prima guerra mondiale, come territorio nemico; nel 1922 passò alla famiglia Lahary, che ne mantenne il possesso fino a quando, nel 1976 fu rilevata da un consorzio guidato dalla famiglia Merlaut, che ne ampliò i possedimenti con altri “Château”: Gruaud-Larose, Ferriere, Citran, e Haut-Bages-Liberal. Alla morte di Jacques Merlaut, sua figlia Bernadette Villars subentrò nella conduzione della tenuta con il marito, ma entrambi perirono in un incidente in montagna, nei Pirenei. Fu così che nel 1992 Claire Villars fece il suo ingresso nella storia dello Château. Situato nel villaggio di Moulis en Médoc, da cui nasce l’omonima denominazione appartenente all’Haut-Médoc, Château Chasse-Spleen vanta oggi, ben 103 ettari le cui vigne si elevano sui pendii dell’apparato del Grand-Poujeaux. Tra i filari: Cabernet Sauvignon (71%), Merlot (20%), Cabernet Franc (2%) e Petit Verdot (7%). Il suolo è eterogeneamente composto da parcelle di graves quaternarie, di graves (ghiaie) della Garonna ( 80%),  argilla e calcare (20%).

Château Chasse – Spleen 2015 matura 18 mesi in barrique (di cui il 40%) nuove. La produzione totale è di 500.000 bottiglie. La vendemmia, è racconta così: “[…]La vendemmia inizia tardi. Siamo sfuggiti ad alcuni forti temporali. Il Merlot arriva con calma, maturo e fruttato. Le temperature sono basse e le notti molto fredde. Il Cabernet Sauvignon rallenta[…]”.  Un’annata da ricordare la 2015. E’ immediata la sensazione di una maggiore ampiezza del calice precedente. Il rosso porpora racconta la frutta compatta  e succulenta , tocchi di viola, spezie nere. Sottobosco, foglie bagnate. Cenere e radice di liquirizia a arricchire il bouquet. Al palato è ricco, sensibilmente intenso e dalla grande firma in freschezza. Il tannino gioca un ruolo primario con un leggibile intarsio in finezza. Grande classe. Un vino dal prezzo (assolutamente concorrenziale)  disarmante rispetto a quello dei colleghi in degustazione. Mitico rapporto qualità prezzo, per chi vuol bere un eccellente Bordeaux non violentando la tasca.

 

Château Cos d’Estournel 2015

(Saint- Estèphe Deuxième Cru Classé – Cabernet Sauvignon 75% Merlot 23,5%, Cabernet Franc 1,5%)

La denominazione di Saint-Estèphe, a 61km da Bordeaux, è la più settentrionale delle  sei denominazioni del Médoc e si trova sulla riva sinistra della Gironda, a nord della denominazione Pauillac. La percentuale di presenza tra i filari vede il Cabernet Sauvignon in maggiore, integrato da Merlot e, in quantità minore, da Cabernet Franc e Petit Verdot.

Su una superficie di 1229 ettari e con una produzione annua di 8.000.000 bottiglie, gode di un terroir straordinario caratterizzato da ghiaie, marne “à huîtres”, calcare, quarzo, ciottoli arrotondati. Questa diversità è all’origine dei suoi grandi vini unici e identitari. Un esempio su tutti è il “super seconds” Cos d’Estournel Deuxième Cru Classé (del 1855), che con il suo immenso charme contribuisce fortemente alla fama internazionale del vino di Bordeaux. Nel 1791, Louis Gaspard, all’età di 29 anni, ereditò il dominio di Cos e Pomys. Letteratura tratteggia la sua figura come enigmatica e originale accentuata da una da una forte passione per l’estero e l’esotico. Questo gli valse il soprannome di Maharaja di Saint-Estèphe. Spinto dal forte convincimento che la collina di Cos nascondesse un terroir eccezionale fece ingresso nel mondo della viticoltura con un progetto straordinario, e lo fece ossequindo e venerando l’oggetto della venerazione: costruire un immenso tempio al vino che rieccheggiasse l’oriente. Dal sogno di una notte alla immediata realtà. A metà del XIX secolo, Château Cos d’Estournel venne così definito: “Una bianca villa italiana, calma e gentile, semispersa in mezzo alle sue giovani ombre!Terrazze, colonnati, giardini all’inglese, prati, frutteti, immenso parco..e pagode a ricordar l’oriente ”. Tra il 1791 e il 1852 la tenuta si ampliò notevolmente nell’estensione dei vigneti di proprietà. Francia e l’India furono i primi canali di distribuzione dell’ iconico vino, immensamente unico nel suo stile. Louis Gaspard Louis Gaspard d’Estournel visse per vedere il suo vino designato come un Deuxième Grand Cru du Médoc dai negociants di Bordeaux, ma purtroppo, morì due anni prima che la classificazione di Bordeaux del 1855 ufficialmente riconoscesse Cos d’Estournel come uno dei vini mito del mondo. Oggi, Michel Reybier è un attento proprietario teso a perpetuare i valori e le ambizioni di Louis-Gaspard d’Estournel, tanto da avergli reso omaggio riunendo finalmente il dominio di Cos d’Estournel e la residenza privata del “Maharajah di Saint-Estèphe”, distanti poche centinaia di metri. Con questo nuovo risultato, il notevole complesso architettonico ha riacquistato la sua originale integrità. I vigneti dello château, si estendono su ben 91 ettari dove Cabernet Sauvignon (65%), Merlot 33%, Cabernet Franc 1%, Petit Verdot 1% sono piantati secondo le percentuali di rito. I terreni formati da ghiaie povere delle vette e dei versanti sud, sono il suolo ideale per il Cabernet Sauvignon (60% del vigneto). La percentuale di Cabernet o Merlot cambia ogni anno in base al clima, che a volte favorisce uno a volte l’altro. L’età media delle viti è di 35 anni circa. Solo i vini ottenuti da viti di almeno 20 anni potranno fregiarsi del nome Château Cos d’Estournel.

Château Cos d’Estournel 2015 matura 18 mesi in barrique di cui nuove il 70% , per una produzione annua totale di 400.000 bottiglie.

Ho atteso questo assaggio con particolare curiosità. E’ uno dei vini più straordinari in degustazione oggi, o forse andrebbe detto non ordinari. Si, perchè Château Cos d’ Estournel non è solo un vino unico nel suo stile e nel suo genere, non è solo un assaggio indimenticabile, ma è soprattutto un viaggio nei sensi e tra i sensi. Un volano che permette di entrare nell’anima di chi lo produce aldilà delle distanze e dei km. L’orientalismo nel gusto di Louis Gaspard si palpa fattualmente anche nel vino. Certamente uno dei vini più celebri e celebrati al mondo, che nella “versione” 2015 racconta di note soffuse di caffè tostato, di intarsi di te rosso, foglie di te nero. A coda di pavone incenso, infuso di frutta e spezie. Cassis, cipria, legni pregiati, cenere. L’assaggio è avvolgente, seducente, stupefacente. Si discosta dai Bordeaux materici e tannici per raccontarsi in tessiture mirabili di armonia gustativa. La trama tannica è impressionante per la setosità e piacevolezza.Un vino monumentale, monumento al vino. Tremendamente seducente .. Un equilibrio di piaceri, sensazioni e  emozioni senza tempo.

 

Château Pontet Canet 2015

(Pauillac Cinquième Cru Classé – Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 30%, Cabernet Franc 4%, Petit Verdot 1%)

Pauillac è una delle denominazioni d’origine piu importanti al mondo e autentico tempio del Cabernet Sauvignon. Château Pontet-Canet è una storica cantina di Pauillac ed è nota per il fascino ed importanza dei loro vini. Nella classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux del 1855, faceva parte dei diciotto Cinquièmes Grand Cru Classé. Dieci anni dopo, nel 1865, Château Pontet Canet fu acquistata da Herman Cruse la cui famiglia ne è rimasta proprietaria fino al 1973 anno in cui (fu costretta a vendere) a Bordeaux fece scalpore lo scandalo delle frodi. La proprietà fu acquisita da Guy Tesseron, figura di rilievo nel mondo del cognac, già proprietario di Château Lafon-Rochet. Oggi è diretto da Alfred Tesseron.

La proprietà Pontet Canet vanta 120 ettari nell’estremo nord della denominazione, molto vicina al Premier Grand Cru Classé Château Mouton Rothschild le cui vigne sono divise da Pontet-Canet solamente da una strada. Di questo grande blocco, 84 ha sono coltivati a vite con Cabernet Sauvignon (62%), Merlot (32%), Cabernet Franc(4%) e Petit Verdot (2%) tra i filari, condotti in regime biodinamico (certificato).  L’età media delle viti è di 35 anni. Le uve, raccolte a mano, fermentano (spontaneamente) in cemento per poi affinare 18 mesi in barrique nuove (70%)  e l’1/3 della massa in anfora. Con le sue 320.000 bottiglie totali, lo Château Pontet-Canet è uno dei più grandi produttori del Medoc.

Tessitura viva e concentrata in un color rosso rubino brillante. Un naso di enorme pulizia olfattiva. Apre su nobili toni di fava di cacao, tabacco, spezie scure, note tostate, frutta secca e ancora polpa di prugna. Al palato è un racconto in rondò di tannini solidi ma eccelsi. Ad oltranza si arricchisce di una verve minerale di estrema eleganza. Una persistenza che osa e va oltre l’atteso. Infinito senza prepotenza.

 

Château Gruaud Larose 2015

(Saint- Julien Deuxième Cru Classé – Cabernet Sauvignon 60% Merlot 31%, Cabernet Franc 9%)

Situata sulla riva sinistra della regione di Bordeaux, la denominazione Saint-Julien si estende su 5,5% del vigneto del Médoc, tra i comuni di Saint-Julien-de-Beycheville, Cussac-Fort-Médoc e Saint-Laurent-Médoc. E’ nota per i suoi vini rossi potenti ed eleganti.

Tra i filari domina il vitigno nero emblematico della Riva Sinistra di Bordeaux, il Cabernet Sauvignon, completato dal Merlot. Situato in prossimità dell’estuario della Gironda, il terroir della denominazione di Saint-Julien si distingue per la presenza di dossi ghiaiosi, costituiti da graves della Garonna depositate lungo il fiume.

Se la denominazione di Saint-Julien non conta alcun Premier Cru Classé, essa raccoglie non meno di 11 Cru Classé che godono di una grandissima reputazione. In particolare cru mitici come Beychevelle, Léoville-Poyferré, Talbot, Léoville-Barton o Léoville-Las-Cases.

Château Gruaud Larose è stato definito da alcuni “Le Vin des Rois, le Roi des Vins”. E’ un Deuxième Cru Classé della denominazione Saint-Julien,  di proprietà della famiglia Merlaut convinti sostenitori dell’assoluto rispetto del terroir e del terreno in primis. Sostengono pratiche di agroecologia che proteggono il suolo e attivano la vita microbiologica sotterranea attraverso la degradazione della sostanza organica prodotta. Tra i filari incentivano il cd pascolo verde, ossia il pascolo in vigna durante il riposo vegetativo invernale al fine di consentire il controllo dell’inerbimento e un’attivazione biologica dei suoli. Tra i filari degli 82 ettari coltivati a Cabernet Sauvignon (61%), Merlot (29%),Cabernet Franc (7% ) e Petit Verdot (3%) c’è la ghiaia della Garonna.  Il terreno è ricco di humus,  e sottosuolo è argilloso rosso, giallo o blu, poi sabbia e altri ciottoli rullati, quelli del diluvium pirenaico.

Château Gruaud Larose 2015 nasce da viti la cui età media si aggira intorno ai cinquanta anni. La fermentazione avviene per una parte della massa in cemento grezzo e per l’altra  a tino aperto e affina dai 18 ai 24 mesi in barrique (di cui l’80% legno nuovo) per una produzione totale di 450.000 bottiglie.

Rubino. Il sentore di ciliegia croccante apre le danze, petali di rosa canina, arancia sanguinella, melagrana, torba. Delicata la nota balsamico-mentolata che arriva a corredo in combinato disposto con la nota salmastra. Ma non finisce. Scatola di sigari, tabacco dolce, spezie nere, rabarbaro e carruba. Un profilo intarsiato sulle intensità così come al palato. L’assaggio è tremendamente gustoso e dalla forte personalità. Aristocratico e sotoso, serrato e vivo in un nerbo tutto puntato su acidità e sapidità. Un vino con classe da vendere  dall’anima rock.

 

Château Margaux 2012

(Margaux Premier Grand Cru Classé – Cabernet Sauvignon 87%, Merlot 10%, Cabernet Franc 2%, Petit Verdot 1%)

Margaux. Il mito!

Margaux è la più meridionale, la più calda e la più precoce delle appellations comunali del Médoc, e una delle denominazioni di origine francesi e mondiali più famose.

Château Margaux domina l’omonima appellation che si estende su cinque comuni ed è uno dei pochissimi casi in cui una proprietà porta il nome della denominazione. L’AOC affonda le radici nei primi anni del 1900. Il suolo è magro e asciutto coperto da sassi fluviali adagiati su un cemento limoso. Arsac, Labarde e Cantenac a sud, Margaux al centro e Soussans a nord. La storia di Château Margaux affonda nel 12esimo secolo quando era un piccolo castello fortificato chiamato La Mothe de Margaux. Tra il 1572 e il 1582, la svolta. La famiglia Lestonnac prese in mano le redini della proprietà, la ristrutturò e cambiò la produzione da cerealicola a vinicola. Già alla fine del 1600 si avvicinava ad essere quello che è oggi, occupando una superficie totale di 265 ettari. All’inizio del diciottesimo secolo, il regista Berlon, un vero visionario della sua epoca per il mondo vinicolo, volle modernizzare la vinificazione. La notorietà dei vini di Bordeaux inizia a spargersi in tutto il mondo e Thomas Jefferson, scrisse su Margaux: “non ci può essere una migliore bottiglia di Bordeaux”. Quel che conosciamo oggi si ha grazie  ai lavori, all’inizio del 1800, del marchese del Colonilla. Louis Combe fu incaricato di realizzare ciò che sarebbe diventato un capolavoro d’architettura in uno stile Neo-Palladien. Nel 1855, anno in cui Napoleone III –  predispose una classificazione dei vini di Bordeaux per promuoverli in occasione della seconda esposizione universale di 1855 – lo Château Margaux fu classificato come 1er Gran cru classé, essendo anche il solo ad aver ottenuto il perfetto punteggio  di venti su venti. Nel 1977, un greco, André Mentzelopoulos, decise di riacquistare la proprietà dando impulso  a grandi investimenti e modernizzazioni  supervisionati dall’enologo Emile Peynaud. Entrambi seppero reinterpretare e riportare questo vino nell’olimpo dei grandi rossi del mondo. Ciò portò a un grande successo con l’ annata 1978. Nel 1980, Corinne Mentzelopoulos prense in mano le redini dello château che il padre aveva tanto contribuito a rimodernare. Sui 265 ettari che costituiscono la superficie della proprietà, 78 ettari sono dedicati alla vite (piante con età media 40 anni dal 2012 in regime biologico)  piantati con Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot e Sauvignon Blanc. I terreni di Château Margaux sono caratterizzati da una superficie ricca di ghiaia e ciottoli che garantiscono un drenaggio perfetto, mentre in profondità, gli abbondanti strati di argilla e calcare, da ottimi termoregolatori naturali, favoriscono la tenuta corretta del terreno.

Château Margaux 2012 matura 24 mesi in barrique nuove (100% ) per una produzione totale annua di 280.000 bottiglie. In questa annata solo il 34% del raccolto ha contribuito al Grand Vin. Si è dinanzi ad un mito, anzi, al mito. Un vino che ha fatto storia e che rappresenta la stella del nord del mondo Bordeaux. Il re dei grandi rossi, paradigma indiscusso di eleganza e fascino. Al di la di ogni descrittore o racconto, la straordinarietà di ciò che è stato questo vino si sintetizza nella la capacità di saper, a piene mani, offrire la bellezza e magia del  terroir natio in ogni sua espressione. Un bellissimo granato pieno e compatto, concentrato ma non impenetrabile. Sentori di quercia e rabarbaro languidamente adagiati su un morbido giaciglio di tabacco dolce, cuoio, caffè tostato,  fave di cacao e liquirizia. Un succedersi di refoli ampi e estremamente eleganti, sontuosi e avvolgenti che abbracciano profumi di  sottobosco, humus e terra bagnata. La traccia balsamica è sottile e intarsiata alla nota ematica. Al palato racconta di una emozionante eleganza. Un corpo aristocratico e avvolgente si muove su un tannino fervido e voluttuoso. Una struttura gustativa di eccezionale tonicita eppure uno stile magnetico che sfocia nel sensuale, e ti avvicina al mistero. Uno straordinario calice di struttura coniugata in eleganza dove profumi e sapori diventano colori e pennelli su una tela che è il terroir. P-a-r-a-d-i-s-i-a-c-o.

 

 ATTO II: Graves e Riva Destra

Château de Reignac 2016

(Bordeaux Supérieur AOC – Merlot 67%, Caberne Sauvignon 25% Cabernet Franc 8%)

Un castello, quello di Reignac, arroccato sulla sommità di una piccola collina nella valle della Loira, a Sud Est di Bordeaux, nella zona dei vignobles chiamata Entre-deux-mers.

Edificato nel XVI secolo, per i successivi duecento anni è stato più volte modificato, finanche le celebri serre disegnate dal celebre Gustave Eiffel. Nel 1990 Stephanie e Yves Vatelot hanno acquistato lo Château, dando il via contemporaneamente a un importante progetto di rimodernamento aziendale su vigna e cantina. Grazie alla collaborazione straordinaria con Michelle Roland, enologo di fama mondiale, la proprietà ha iniziato a mettere a segno successi, portando il nome di Reignac nell’olimpo di Bordeaux. Un riconoscimento superlativo i Vatelot lo ottennero quando, nel 2001, in una degustazione “alla cieca”, Olivier Poussier, miglior sommelier al mondo nel 2000, ed altri notissimi assaggiatoridi fama mandiale, assegnarono 96/100 ad un vino da 14 euro, in mezzo a mostri sacri da centinaia di euro la bottiglia: era il Bordeaux Superieur del Chateau de Reignac. Uno spontaneo applauso scoppiò quando comparve l’etichetta.

Dal punto di vista geologico la tenuta gode di una condizione di favore che la rende speciale: assomma nei suoi vigneti le caratteristiche delle due sponde della Loira: l’argilla e il calcare della riva destra e l’argilla e la pietra di quella di sinistra. La superficie complessiva dei Vatelot copre circa 135 ettari, 80 dei quali sono impiantati a vigneto. Circa 78 ha sono suddivisi tra un 75% di Merlot e il 25% di Cabernet Sauvignon, mentre

due ettari sono destinati alle uve a bacca bianca quali il Sauvignon Blanc e Semillon.

Château de Reignac 2016

Un vino che matura 18 mesi in barrique nuove (100%) per una produzione annua di 350.000 bottiglie. Recentemente è stato introdotto il Cabernet Franc nella percentuale con il Merlot e il Cabernet Sauvignon.

Rubino. Un naso dai sottili tocchi minerali e terrosi uniti a viola, erbe aromatiche, timo, marasca. Una ventata di gioventù calibrata e scolpita in un assaggio entusiasmante.

Al palato la freschezza è esplosiva e la spalla acidità racconta grande verve. Il tannino racconta di un meraviglioso trascorrere del tempo.Un calice che si fa bere ad oltranza, gastronomico e (soprattutto) economico.

 

Château La Fleur Petrus 2015

(Pomerol AOC – Merlot 93 %, Cabernet Franc 7%)

E’ difficile delineare Pomerol con una sola definizione. Mecca del vino mondiale, patria dei vini potenti ma vellutati, terra dei grandi Merlot (che per potenziale d’invecchiamento fanno invidia ai grandi Cabernet Sauvignon) eppure, ad oggi, Pomerol non ha una classificazione gerarchica che inquadri la sua produzione. Vanta a occhio e croce 800 ha di vigneto  e meno di 140 produttori in proprio, ma la sensualità dei suoi vini, la maestria degli assaggi e la capacità di riportare nel bicchiere il magico terroir, ne fa una “super potenza”. Un macromondo nel micromondo. Château La Fleur-Pétrus, situato di fronte a Château Petrus, sotto la denominazione di Pomerol, dal 1953 è di proprietà della famiglia Moueix proprietaria di altri tre Château compreso Château Petrus e un’azienda americana in Napa Valley. I 18 ettari di vigneto sono impiantati per la maggiore a Merlot e Cabernet Franc ma è riservata una piccolissima percentuale anche di Petit Verdot. Il vigneto è stato azzerato dalla gelata del 1956 e ripiantato per intero in quello stesso anno. La tenuta conta anche su una rinnovata e funzionale cantina, costruita nel 1996 attraverso un piano di ristrutturazione di un’antica dimora contadina del tardo XVIII secolo.

Chateau  La Fleur Petrus 2015 vinifica in vasche di cemento dotate di termoregolazione, e matura 18 mesi in barrique di rovere francese in parte nuove (40%) e in parte di secondo passaggio. La produzione annua si aggira intorno alle 60.000 bottiglie.

Château La Fleur Petrus 2015

Granato. Il bouquet racconta di un apersonalità irruenta e spigolosa ma sempre di classe. Refoli minerali e balsamici si uniscono a tracce di frutta nera a a bacche, tabacco da pipa, erbe aromatiche e fiori gialli. La nota ematica parla di Pomerol. Al palato racconta ciò che ha annunciato all’olfatto: tanta massa ma dal tannino soffice e morbido. Qui la materia ha un’inquietudine suoperiore. Piacevolissima la scia sapida che accompagna la lunga chiusura.  Un esempio della “Pomerol tradizionale”. Un vino declinato in tradizione, del tutto diverso da quelli degustati sin ora.

 

Château Clinet 2015

(Pomerol AOC – Cabernet Sauvignon 9%, Merlot 90%, Cabernet Franc 1%)

Situato nel cuore della denominazione Pomerol, Château Clinet è di proprietà di Ronan Laborde. I vigneti si estendono per 11ha su terreni ghiaiosi con Merlot all’ 88%, Cabernet Sauvignon all’11% e Cabernet Franc all’ 1% tra i filari. Un vino che, a Pomerol, nasce da quello considerato uno dei vigneti dalla storia più profonda (almeno dal 1595).

Chateau Clinet 2015 affina 18 mesi in barrique di cui nuove il 60% per una produzione annua totale di 50.000 bottiglie. Certamente, uno dei più grandi e prestigiosi di Bordeaux e soprattutto ciò a cui i grandi Merlot italiani dovrebbero puntare. Una strabiliante performance del Merlot raccontato in chiave moderna (diversamente dal calice precedente che portava con se la tradizione, la “staticità” e la matrice conservatrice).

Rubino dalla trama serrata. Al naso una notevole mineralità unita a deliziose  tracce di mora, e mirtillo.  Tartufo e refoli terrosi, uniti a grafite, radice di liquirizia. Al palato è dinamicissimo, verticale e elegantissimo. La componente tannica racconta un’anima di grande classe. Certamente un giovane assaggio ma dall’ottimo potenziale per eleganza e intensità. Grande persistenza e lunga scia sapida. Un elegantissimo calice da annoverare in re e in fieri tra i grandi colossi bordolesi.

 

Château Cheval Blanc 2007

(Saint Emilion Premier Cru Classé A – Cabernet Franc 53%, Merlot 47%)

Saint Emilion è l’altra denominazione del Libournais che assieme a Pomerol veste il fascino del mito. Pomerol è velluto, Saint Emilion è seta, si dice da quelle parti. I vigneti che abbracciano il villaggio e il borgo medievale (dal 1999 patrimonio dell’Unesco) sono stati definiti dall’Unesco “un notevole esempio di paesaggio viticolo storico rimasto intatto”. I vini di Saint Emilion? Connubio tra potenza e raffinatezza.

Nella parte più occidentale del territorio del comune, al confine con Pomerol, si trova Château Cheval Blanc. La tenuta nasce nel 1832, e, nel corso di breve tempo, i suoi vini ottengono grandi riconoscimenti, tra cui significative sono le due medaglie d’oro ricevute alle mostre di Parigi e Londra, rispettivamente nel 1862 e nel 1867, medaglie che ancora oggi campeggiano in bella vista sull’etichetta, rendendola immediatamente distinguibile tra mille. Gli archivi mostrano che la vite è stata coltivata a Cheval Blanc almeno nel XV secolo. Inoltre, da un documento del 1546 risulta che il proprietario dell’epoca prendeva in affitto la vigna, e un contratto del 1587 specificava che il mezzadro “vi abiterà quando il sole tramonterà per tenere d’occhio le vigne…”. Un secolo dopo, il podere “Au Cheval-Blanc” fu venduto a Bertrand de Gombaud per la cospicua somma di 1.400 franchi. Lo stesso cantiniere è stato alla guida di Cheval Blanc per 44 anni: Gaston Vaissière ha riversato il suo talento,energia ed entusiasmo per sfruttare al meglio un terroir che considerava “magico”. L’azienda è stata di proprietà della famiglia Laussac-Fourcaud fino al 1998, anno in cui lo Château è stato acquistato da Bernard Arnault e da Albert Frére, i quali, sin da subito, hanno scelto di porre alla guida della tenuta Pierre Lurton, direttore anche del rinomato Château D’Yquem.  Dal 1955 Château Cheval Blanc è classificato come Premier Grand Cru Classé nella super-categoria “A” e, annata dopo annata, conquista senza timore gli amatori di tutto il mondo con il fascino e la raffinatezza, grazie alle espressioni uniche che il vitigno del Cabernet Franc riesce a regalare. Tra i filari dei 39 ettari, suddivisi in un mosaico di 45 parcelle diverse, si coltivano Cabernet Franc (49%), Merlot (39%) e Cabernet Sauvignon (4%). Château Cheval Blanc ha un terroir del tutto unico a Saint-Emilion. Contrariamente alla  maggior parte delle famose proprietà della denominazione il cui suolo si cartterizza per l’esser particolarmente calcareo, tra i suoi filari una trama varia che non include il calcare. Inoltre, la proporzione di ghiaia e argilla è quasi uguale. Questo un immenso dono della natura. Nell’autunno del 1998 si volta pagina quando Bernard Arnault e il barone Albert Frère, due vecchi amici e amanti del grande vino, uniscono le forze per diventare i proprietari di questo favoloso castello di Saint-Emilion. Riflettendo il desiderio del barone Albert Frère e Bernard Arnault, questo edificio è allo stesso tempo futuristico e in linea con il paesaggio storico dei vigneti circostanti, classificato come un sito del patrimonio mondiale dall’ Unesco.

Château Cheval Blanc 2007, Premier Cru Classé A, vinifica in cemento e matura tra 16-18 mesi in barrique nuove (100%) per un totale annuo di 120.000 bottiglie. Quasi tutto il vigneto attuale era parte del patrimonio dello Château Figeac fino a metà ottocento.

Anche in questo caso siamo dinanzi a un capolavoro indiscusso del terroir bordolese. Un esempio di incarnazione di terroir, in una veste di sensualità e strabordante eleganza. Certamente un vino che deve al Cabernet Franc la sua fisionomia, definito perfetto per una romantica cena di coppia tanto macroscopico il suo sex appeal. Chissà che non ipnotizza in melius al momento giusto! Attraente l’intensità e persistenza del ventaglio aromatico. Petali di rosa canina, cenere, tabacco, pepe ingrani, resina, sottobosco. La nota fumè si affianca ai refoli di radice, ginepro, spezie nere e humus. La nota tipica del Cabernet si racconta nelle note erbacee di peperone verde. Magnifique! Al palato la tannicità è classe in purezza e l’avvolgenza innalza il sorso a pura meraviglia. La freschezza fa da contraltare al tenore alcolico perfettamente integrato. La chiusura è profonda e ipnotica. Che dire? Sensualità e fascino da vendere. Se fosse un uomo chi ne potrebbe fare a meno? Il vino? Era molto, molto di più. Al limite dell’erotico lo ha definito qualcuno.

 

Château Haut-Brion 2006

(Pessac Leognan Premier Grand Cru Classè – Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 41%, Cabernet Franc 9%)

Pessac- Léognan, collocata a sud di Bordeaux,  vanta vigneti tra i più antichi della regione e dell’intera Francia. Oggi l’AOC Pessac – Léognan conta 1580 ettari di vigneto che interessano 10 comuni. Una delle sue punte di diamante è sicuramente il Premier Grand Cru Classè Haut -Brion che annovera (tra i primati) quello di essere il primo vino di Bordeaux ad avere successo all’estero già agli inizi del 1657. Situato nel comune di Pessac, a pochi chilometri da Bordeaux, Château Haut-Brion – la prima delle tre tenute acquisite dalla famiglia Dillon – è la più antica proprietà vinicola della regione. Con l’acquisizione di Château Haut-Brion nel 1935, Clarence Dillon ha restituito la sua nobiltà e l’ha riportato nella cerchia ristretta dei vini più leggendari del mondo. Questa visione straordinaria, audace e coraggiosa, è oggi perpetuata dalla quarta generazione della famiglia, incarnata dal suo presidente, il principe Roberto di Lussemburgo.

Il vigneto Château Haut-Brion si trova nel comune di Pessac, pochi chilometri a sud-ovest di Bordeaux e ha un’estensione di 51 ettari, 48 dei quali sono piantati con vitigni a bacca rossa quali Merlot (46%), Cabernet Sauvignon (42%) Cabernet Franc (11%) Petit Verdot (1%), mentre quasi 3 ha sono stati sfruttati per la coltivazione di vitigni a bacca bianca come il Semillon. Buona parte del vigneto è stato ripiantato nel 1977. Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Petit Verdot beneficiano di un particolare carattere climatico in questo spicchio di mondo: le estati sono calde e secche, gli autunni sono miti. Le viti sfalsate da 20 a 30 metri sul livello del mare, sfuggono alla nebbia della bassa valle della Garonna e alle piogge a volte abbondanti della brughiera girondina. Dallo Chateau la vista è sulla tenuta di Château La Mission Haut-Brion e condivide con essa gran parte di ghiaia. Le ghiaie che contribuiscono al valore enologico di Château Haut-Brion sono piccoli ciottoli, formati da diverse varietà di quarzo. I suoli ghiaiosi poggiano su un sottosuolo unico di argilla, sabbia, calcare (calcare delle conchiglie) lì stabilito dalla fine dell’era terziaria, poi durante il quaternario durante gli episodi glaciali. Con uno spessore variabile da una ventina di centimetri a più di 3 metri, i depositi ghiaiosi formano creste che beneficiano di un’ottima esposizione, con pendii che garantiscono un drenaggio naturale rafforzato da un’importante rete idrografica di piccoli fiumi, come il Peugue o il Serpente, affluenti della Garonna .

Château Haut-Brion 2006 è un Premier Grand Cru Classè dal  know-how come pochi.

Sosta 18 mesi in barrique  80% nuove per una produzione annua totale di 160.000 bottiglie.

Da un suolo di ciottoli e quarzo, nasce un calice unico nel suo assagio. Granato. Il bouquet racconta di arancia rossa, toni fumé, fragoline, sbuffi di spezie scure e torba. Noce moscata, tabacco da pipa. Un naso registrato sull’evoluzione che al gusto, al contrario, ha mostrato una immensa mineralità, finezza e classe. Meraviglioso.

 

Château d’ Yquem 2011

(Sauternes Premier Cru Classé Superieur – Semillon 75%, Sauvignon Blanc 25%)

La denominazione Sauternes comprende oggi una superficie di 2200 ettari identificati in cinque comuni (Sauternes, Barsac, Bommes, Fargues, e Preignac). E’  il luogo di eccellenza, prestigio e prezzi alle stelle per i bianchi caratterizzati dall’attacco della botrite. Il substrato geologico racconta di suoli ciottolosi e sabbiosi sopra un banco di calcare ricco di fossili marini. La base ampelografica vede Semillon, Sauvignon Balnc, Muscadelle e Sauvignon Gris tra i filari. Quella di Yquem è una delle vigne bordolesi più alte di quota con i suoi 80 metri slm. Con Romain-Bertrand de Lur-Saluces, la semplice proprietà di famiglia si tramutò in un successo mondiale. Nel 1855, come riconoscimento postumo dell’opera compiuta dalla dama di Yquem, la tenuta fu elevata al rango di uno e solo superiore premier cru nella classificazione istituita su richiesta dell’imperatore Napoleone III per l’Esposizione Universale di Parigi. Si racconta che il Granduca Costantino, fratello dello Zar di Russia, fece notizia acquistando un barile di Yquem per 20.000 franchi d’oro, un prezzo incredibile per l’epoca. Anche il Giappone, che si aprì al mondo durante l’era Meiji, fu ammaliato dai profili del vino d’Yquem. Dopo la morte di Romain-Bertrand, il destino della tenuta passò nelle mani del figlio, il marchese Amédée de Lur-Saluces, e successivamente del fratello minore, Eugène. Questa fase della storia di Yquem si concluse con due eventi drammatici: la grande crisi della fillossera e la Grande Guerra. Nel 1914, Yquem si unì alla guerra, venendo trasformato in ospedale militare, mentre il marchese Bertrand de Lur-Saluces, figlio di Eugenio, da ufficiale corse in trincea. Alla fine del conflitto, da trentenne, assunse la gestione della tenuta per mezzo secolo. Presidente dell’Union des crus Classé de la Gironde per quarant’anni, prese parte al progetto della determinazione dell’AOC Sauternes, assicurandosi lo sviluppo sulla piazza internazionale fino alla sua morte nel 1968.Oggi lo Chateau è di proprietà del gruppo LVMH.

I 101 ha di vigneto sono coltivati  con  Semillon al 75% e Sauvignon Blanc al 25%.

 

Chateau d’ Yquem 2011

Sosta 30 mesi in barrique nuove  con una produzione annua totale di 100.000 bottiglie.

Il piacere di gustare Yquem è una sensazione delicata da esprimere. Si è in presenza dell’alta aristocrazia del palato. Yquem non è un vino, bensì un concetto. Un sorso di storia raccontato attraverso l’armonia della complessità di sapori e aromi. È difficile descrivere con precisione le percezioni che si provano durante la degustazione di un vino infinito dall’anima profonda. Vista, olfatto, gusto e tatto sono coinvolti quasi contemporaneamente.

La tavolozza aromatica è immensa, combinando note di cera, pesca, resina, zafferano, rosa gialla, frutta secca, albicocca secca, prugna, marmellata di fichi, con note speziate di cannella, zenzero, liquirizia e fiori di tiglio.  Al palato la prima sensazione è setosa che sboccia nel sontuoso. In chiusura.. oserei dire, interminabile. L’avvolgenza esprime eleganza e leggerezza in un equilibrio certosino. Magnifico quilibrio tra dolcezza e freschezza, prezioso antidoto a ogni penchant stucchevole. Armonia allo stato puro. Frédéric Dard disse: “al silenzio che segue Mozart, che è ancora Mozart”. Dopo la degustazione, Yquem è ancora Yquem. Un vino che congeda ma che non smette mai di congedarsi per la infinita persistenza!

Un commento

  1. Grande exursus del grande Armando come al solito e grande report dell’altrettanto brava e competente Teresa. Alè!

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