Bruno De Conciliis, la mia estate 2009


di Bruno De Conciliis

Bruno De Conciliis

Un casino come al solito, provo a focalizzare uno o due al massimo, non ha senso dire tanto di tante cose, meglio il giusto di poche, magari una, ci provo ovviamente adesso devo scegliere…
hmmmm.. il Dolcetto Le Olive (vino da tavola per scelta di quel grande anarchico) lineare, cupo, ricco nella sua veste dimessa, bevuto con Jack (ritorno ad Ovada dopo un anno ad Hong Kong, ma gli Scarsi, che opulenza obliqua, do you remember Jack, it was a fucking good wine?) ma no, no, mbecille che serata col litroemezzo di Clelia Romano 2004, che serata e che vino! Riuniti i soci di Morigerati a cena a festeggiare qualcosa di unico e di grande (‘zzo di Lucio Dalla) la costituzione della società che mi permette di realizzare il sogno di un fiano in altezza nel Cilento, un cilentano d’altura, sarà stata colpa delle due bottiglie di Bollinger prima che avevano stimolato il naso e la bocca, predisponendole al meglio, sarà stata la bella compagnia, la euforia del progetto varato, ma quella bottiglia da Lapio è stata insuperabile: finissimo sussurro a cominciare, assertivo poi da subito insediandosi in bocca dolcezza d’uva senza zucchero, i terziari a montare sul finale senza una sbavatura, una esitazione, apollineo nella doppia accezione.
Vabbè però quella sera da Maurizio con Nicoletta, Stefano, Fabrizio e pochi altri il Barbaresco ’84 oppure ’82 di Gaja era super e appena dietro, un filino dietro il Petit Arlot troppo giovane che ho portato a godere ma il vino di cui è rimasto il gusto a distanza di un mese è il Puro di Movia stappato a capa sotto nell’acqua per non farci la doccia così croccante e pieno, non ha mai stancato la bocca che ne chiedeva ancora, ancora, pochi userebbero il termine fine per quel vino apparentemente grezzo eppure questo è per me, un vino fine che suggerisce, rimanda ad altro, non sale mai in cattedra ma chiude ogni frase con una domanda, un rimando all’altro che è appunto suggerito.
Quella con Pino, Francesca, Luca, Davido e Marco invece ha avuto il picco iniziale con il Donchisciotte 2005, ho avuto timore a proporre questo fiano vinificato con le bucce ai ragazzi che avevo incontrato una sola volta prima invece è stato amore a prima vista, che beva che ha lo spaventato guerriero di Guido Zampaglione, alcol contenuto, naturale piacevolezza che morde un poco solo nel lasciarti, avvolge senza soffocare bello e gentile come Guido non posso dire lo stesso della Ribolla 99 di Radikon aperta una sera in cantina in mezzo a una dozzina di altre cose, sembra facesse parte di un piccolissimo lotto in cui la solforosa non era stata aggiunta all’imbottigliamento, il vino pare una torpedine scintillante, nervoso incarognito, non invita a tornare, il secondo bicchiere diventa pesante, monocorde, ma il primo, il primo bicchiere cattura e ferisce.