“Al di là delle Nuvole”, Storia semiseria di una degustazione di vini buoni (in tutti i sensi)


Alle Nuvole

Alle Nuvole

di Rocco Catalano

Se viaggi per cantine nel Vulture ti aspetti che sia l’Aglianico a farla sempre da padrone, nelle più accattivanti sfumature che il vitigno, principe di questo areale, sta ritrovando negli ultimi anni grazie agli sforzi ed alle visioni di una schiera di nuovi ed intraprendenti vigneron.

Questa volta, però, ad insinuarsi come un tarlo peccaminoso nella mia mente e nel mio cuore è stato un vino a bacca bianca.

La produzione è dell’Azienda Agricola Le Nuvole, che trova dimora in una preziosa e storica cantina a Barile, nel cuore del Vulture; e nasce dall’ambizioso progetto che fonda la propria missione sull’inserimento lavorativo di donne e uomini con disagio ed emarginazione sociale portato avanti da Giulio Bagnale e Alessandro Bocchetti. Esperti del settore enogastronomico, che nell’occasione mi ricordano una strana coppia: quella cinematografica composta da Walter Matthau e Jack Lemmon.

L’amicizia sincera e la confidenza che mi legano da qualche tempo a entrambi mi obbligano innanzitutto a dichiararmi e, per coerenza, racconterò i fatti, ovvero i sorsi, per come sono andati giù, e non già come l’ortodossia vorrebbe a dispetto della mia eretica insolenza. Ca va sans dire che nessun sorso è stato sprecato, tutti ingollati dopo averli visti, annusati e masticati.

Assieme a “Walter e Jack” prendo posto attorno al tavolo di legno al centro dell’ingresso spartano della cantina, loro erano intenti mugugnando ad affettare il salame, un eccellente salame lavorato a mano a punta di coltello, con del pane fresco che sapeva del profumo vero di grano.

Alle Nuvole

Alle Nuvole

Il bianco, quello del “cuore” appunto, si chiama ianghe (bianco in dialetto): è un blend di Malvasia e di Moscato di Rapolla, vinificati separatamente, fermentazione spontanea in cemento e dopo l’assemblaggio riposa in bottiglia.

Il colore è giallo paglierino, Il naso è quello che ricorda la primavera, dei fiori, delle ginestre, di frutta, e di quando si fa l’amore; la bocca, che non ti aspetti, riprende i sentori del naso donandogli più voluttà e maggiore complessità, acido e sapido, leggerissime e piacevoli sensazioni di erbe aromatiche, di cera d’api, albicocca, rosmarino, un assaggio materico, lungo e di grande eleganza. Un vino che ricorda lo stile di quelli seri del Collio, quello Sloveno, che mi ha sorpreso, o forse ricordato, che il Vulture è un luogo ancora tutto da scoprire e sperimentare.

“Walter e Jack” come due amanuensi nel frattempo continuavano, tra una fetta di salame e l’altra a metter mano alle etichette delle bottiglie, rimbrottandosi sotto le barbe decennali parole indicibili per gente raffinata come me…

Così noncurante procedeva la degustazione del rosato, il Russine (rosato in dialetto): un Aglianico del Vulture in purezza vinificato in bianco che fermenta, anche lui spontaneamente in vasche di cemento. Il colore pulito ed elegante rispetta il nome. Il naso non mi ha incantato particolarmente e con questo pregiudizio mi sono dato al sorso che, invece, è stato tutt’altro che scarico. Pieno, complesso, con profumi di viole, rose ed erbe aromatiche, una dolcezza profumata su un finale che vira verso sentori leggermente balsamici, minerali, di morbidezza e acidità che ne hanno assicurato ritmo e freschezza, ed una beva piacevolissima e persistente.

Arriviamo ai due Rossi:

Russe (rosso in dialetto): è un Aglianico del Vulture DOC che fa fermentazione spontanea in vasche di cemento.

Il colore è rosso porpora luminoso, il naso è intenso di frutta rossa come fragoline di bosco e lamponi, di spezie, di muschio; il corpo elegante nella sua espressione di giovinezza, abbastanza caldo, giustamente acido, con tannini vivi ma non scomposti. Il finale di bocca è equilibrato, minerale e sapido, di buona persistenza.

Franco: è un Aglianico del Vulture in purezza ottenuto da fermentazione spontaneamente in vasche di cemento e con breve macerazione sulle bucce. Un vino di colore rosso rubino, dal naso ricco di profumi di ciliegia, lampone, e sottobosco. La bocca è morbida ed elegante, coerente con il naso, di buona acidità e altrettanta sapidità. Vino profondo e  di buona complessità, di lunga persistenza e di grandi tannini, come giusto sia un Aglianico del Vulture, sebbene finemente e non impropriamente smussati.

Entrambe le bottiglie di Aglianico sono agli inizi del “cammin’ di loro vita”, quindi ci riserviamo di valutarne nel tempo l’evoluzione.

La degustazione finisce così com’è iniziata, unconventional; abbiamo consumato il pane ed il salame, scolati i sorsi rimasti, raccontati due cose che sapevano di musica, politica e poesia, come spesso accade quando mi trovo a trascorrere del tempo con i due protagonisti di questa breve storia: Bagnale, un dadaista dal brutto carattere, con mille sogni belli e tanta generosità; Bocchetti, un irriverente timido, strafottente e dai tratti romantico-astratti che sembra venir fuori da un quadro di Malevic.

L’arrivederci lo consegno alle note di Jan Garbarek, Anouar Brahem e Ustad Shaukat Hussain in “Joron”.

Alle Nuvole, che portino tanta buona vita a tutti quelli che ancora la stentano dai margini sebbene oggi seduti allegri su di un vinoso Vulcano buono, Prosit e Serenità.