Cantine Federiciane 1951. Vigna Cigliano Solfatara Campi Flegrei Bianco Dop 2020 | Un cambio generazionale programmato e riuscito con successo
di Giulia Cannada Bartoli
La storia di Cantine Federiciane parte dagli anni ’50, da Bacoli, nel cuore dei Campi Flegrei, dove ha origine la famiglia Palumbo. La famiglia vuole portare avanti il sogno di nonno Antonio, agricoltore e vignaiolo. Con l’avvento del boom economico degli anni ’60, suo figlio Paolo non si accontenta di vendere vino sfuso: nasce così l’idea di recuperare l’antico vino di Gragnano, proprio quello cui si fa riferimento nel film di Totò “Miseria e Nobiltà”. Nel 2001 la prima svolta, s’inaugura la nuova cantina a Marano di Napoli, uno dei sette Comuni che rientrano nel disciplinare della Dop Campi Flegrei.
La sede della cantina insiste sulla via Antica Consolare Campana, altrimenti detta via Campana, che sorge sul tracciato di una delle principali strade dell’Impero Romano. Lunga 21 miglia, cominciava dall’Anfiteatro Flavio di Puteoli (Pozzuoli) e si snodava tra alcuni antichi crateri, passando per i territori degli attuali comuni di Quarto, Marano di Napoli, Qualiano, Giugliano in Campania, Aversa e Teverola finendo sulla via Appia a Capua antica (oggi comune di Santa Maria Capua Vetere). Al quarto miglio attraversava il cratere di Quarto Flegreo in cui sorge l’omonima città dando luogo al passaggio detto Montagna Spaccata, letteralmente un taglio fatto dagli antichi romani nella parete del cratere per permettere l’attraversamento fino al lato opposto del cratere (dove invece la strada sale lungo i pendii). Il passaggio di Montagna Spaccata è tuttora perfettamente conservato e utilizzato come via principale per uscire ed entrare dal comune. È ancora possibile osservare i mattoni posti dagli antichi romani per impedire il collassamento delle pareti del cratere, che si sono conservati benissimo lungo tutto il passaggio. Percorrendo la strada è possibile notare ai suoi lati vari complessi di catacombe e necropoli romane.
Dal 2012 parte la vera e propria rivoluzione in azienda: tutti i conferitori vengono associati in cooperativa agricola, nello stesso anno, la quarta generazione, con Antonio, Luca e Marco, fa l’ingresso ufficiale in azienda. I tre fratelli hanno compiuto studi importanti e oggi si occupano dei tre rami fondamentali della vita dell’azienda: Antonio segue il settore commerciale e il marketing; Luca è il responsabile enologo ed agronomo. Marco è il tecnico di cantina e si occupa di investimenti e ricerca. Mamma Giuseppina Zamparelli da sempre segue l’amministrazione. Papà Paolo affianca i tre figli sempre pronto a fornire utili consigli impreziositi dalla storica tradizione di famiglia. Dopo la costituzione della cooperativa agricola, Cantine Federiciane ha assunto un peso importante nel panorama delle Doc Campi Flegrei e della Penisola Sorrentina: 10 ettari di proprietà, 5 in affitto e 25 in gestione.
E ‘del 20 aprile, la pubblicazione della classifica su questo sito che vede Flegreo Cuvée Metropolitano Metodo Classico al primo posto tra le bollicine della Campania La falanghina per questo spumante proviene dalla vigna metropolitana della collina dei Camaldoli. E’ noto a molti che Napoli è la seconda città in Europa per superficie vitata dopo Vienna.
La vigna di ultima acquisizione si trova invece, a Cigliano nel cuore dei Campi Flegrei: circa 6 ettari divisi in piccoli appezzamenti che degradano dolcemente da un lato, verso il Vesuvio e il Golfo di Napoli, dall’altro sul Vulcano Solfatara. Nelle belle giornate s’intravede anche la collina di Posillipo.
La collina di Cigliano, terra di congiungimento tra l’oasi naturale degli Astroni e il vulcano Solfatara, si trova all’interno del complesso vulcanico monogenico dei Campi Flegrei. Siamo in un luogo magico, di straordinaria suggestione: tra due vulcani, un paesaggio unico al mondo. La presenza delle fumarole e la brezza marina che soffia dal Golfo di Pozzuoli creano un microclima irripetibile. Di fronte, a cornice del panorama già fantastico, svettano Capri, Ischia e Procida.
L’attività eruttiva degli ultimi 15.000 anni, successiva quindi all’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, è stata principalmente esplosiva, prevalentemente freato magmatica. Tale attività è stata interrotta da due lunghi periodi di quiescenza che hanno consentito di suddividerla in tre epoche differenti. Nella terza Epoca (5.500 – 3.800 anni) si è formato il cratere di Cigliano, un “vulcano urbano”, risultato di un’eruzione freato-magmatica, simile a quella che ha dato origine al Monte Nuovo. Il cratere si apre verso est e si compone di strati di lapilli e sabbie sciolte, che conferiscono ai versanti una scarsa tenuta, generando potenziali problemi di dissesto (Fonte Ingv).
Storia archeologica della collina di Cigliano
Non siamo lontani dalla Montagna Spaccata, che è tra le opere di ingegneria urbanistica e stradale intraprese dai Romani nel territorio, una profonda fenditura nella collina realizzata per consentire il passaggio della via Consolare Campana. A poca distanza i resti del Praetorio (villa) di Falcidio, luogo di interesse archeologico affascinante e poco conosciuto.
Gli importanti reperti archeologici sono ancora ben visibili, tra natura rigogliosa e, ahimè, segni di degrado ambientale Attraverso approfondite ricerche gli studiosi hanno riconosciuto questo luogo come quello in cui sorgeva la lussuosa villa romana di Falcidio, identificato da Cicerone come un importante e facoltoso tribuno della plebe. Siamo nella fiorente Puteoli dell’impero romano, all’epoca Portus Iulius di Roma Caput Mundi e luogo di villeggiatura di tutta la più potente aristocrazia imperiale. I ruderi sorgono su una serie di cinque terrazzamenti, il più alto e maestoso estremamente panoramico sul golfo di Pozzuoli, domina la vista di tutta la costa dei Campi Flegrei, di Capri, Ischia e Procida. Al culmine un boschetto di querce secolari nasconde la parte più alta della villa. Tra i resti delle strutture visibili ritroviamo interi ambienti e tratti di mura, con antiche cisterne che secondo le documentazioni dell’800 dovevano in origine essere ben cinque a servire l’enorme complesso con servizi idrici e probabili giochi d’acqua e fontane. Non si esclude la presenza di acqua sorgiva termale, per la vicinanza con l’area della Solfatara. I muri dei terrazzamenti sono realizzati con materiale di recupero della villa, ogni pietra ha oltre duemila anni di storia.
Nella parte più bassa si osserva un muro in opus reticolatum a piccole nicchie, la cosiddetta “cella memoriae” prospiciente alla villa, luogo dove gli antichi romani seppellivano i loro cari, e che fu il riferimento per l’utilizzo paleocristiano successivo. La storia qui si fonde con gli esordi del Cristianesimo a Pozzuoli, e con le persecuzioni durante il periodo di Diocleziano. Ci sono illustri documentazioni che trattano del’Pretorio di Falcidio ‘, ubicandolo proprio sulla sommità della collina di Cigliano, dagli Atti Vaticani, per seguire con vari importanti testi religiosi dell’800.
Nel 305 d.C. dopo il martirio di San Gennaro e dei martiri puteolani decapitati alla Solfatara di Pozzuoli, secondo le fonti, Procolo (oggi Santo Patrono di Pozzuoli), Eutichete ed Acuzio furono portati al Falcidio, qui sepolti e, proprio in questo luogo, fu realizzata, sulle vestigia dell’antica villa, una basilica paleocristiana, la leggendaria Santa Stefania. Visibili ancora oggi le relative strutture con archi a tutto sesto con tracce ad affresco e si ha notizia di ambienti sotterranei ancora inesplorati. Il luogo è caduto nell’oblio, fino ad oggi, quando alcuni ricercatori dell’Università Suor Orsola Benincasa lo stanno riportando alla luce per collocarlo nella gloriosa storia antica di Pozzuoli.
Cantine Federiciane Monteleone, perché? Su uno sperone del territorio maranese che guarda da un lato verso la conca di Quarto, e dall’altro la pianura fin oltre Giugliano, Federico II, nel 1227, fece edificare una dimora fortificata per quando veniva a cacciare: il castello di Belvedere. Il territorio di Marano sotto questo imperatore toccherà il fondo più basso della sopraffazione a dispetto dei grandissimi meriti che gli si possono attribuire. Federico affamò i cittadini di Marano, perché vietò loro, per il proprio piacere di caccia, sia la semina sia il pascolo, che il disboscamento di grandissima parte del territorio. Quando nel 1250 egli morì, memori di quanto avevano dovuto soffrire per colpa sua, i paesani lo distrussero completamente, perché era il simbolo più evidente dell’oppressione. Nel 1275 Carlo I D’Angiò ne ordinò la ricostruzione a spese dei rivoltosi. Il nuovo castello fu terminato prima del 26 gennaio 1278, data in cui è accertato che Carlo D’Angiò lo adibì a propria dimora e Curia Regia. Sotto i D’Angiò le restrizioni per i contadini aumentarono. All’antico divieto di semina e di pascolo, si aggiunse un intensivo rimboschimento e ripopolamento della selvaggina sempre per il piacere della caccia. Ai contadini non restò altro da fare che allontanarsi trasferendosi presso altri piccoli nuclei abitativi dell’entroterra, dando origine così all’attuale Marano che dista dal Castello circa sei chilometri. Nel 1284 una nuova rivolta contro i signori che avevano reso incoltivabili le terre, portò i contadini della zona a appiccare il fuoco al Castello che andò distrutto in parte. Fu di nuovo costruito a spese dei rivoltosi e 150 capi rivoluzionari vennero impiccati per dare l’esempio ai sovversivi. Il declino del Castello di Belvedere iniziò con l’arrivo degli Aragonesi che per le loro riunioni cortigiane preferirono il castello Caracciolo. Nel 1500 il castello venne regalato al primo ministro francese D’Amboise. In seguito passò alla famiglia Pignatelli, ramo Monteleone di cui ancora oggi conserva il nome, anche se la struttura è seriamente malridotta. Oggi la zona, crocevia tra Quarto, San Rocco, Licola, Giugliano e Qualiano, resta simbolo di un sorprendente legame tra i cittadini ed il territorio. Fino al 1950 era abitato anche al piano superiore, nonostante non vi fossero né energia elettrica, né acqua. Il restauro del castello è in corso e prevede il ripristino del decoro estetico, il rifacimento dei solai lignei e la ristrutturazione interna ed esterna.
La vigna di Cigliano
Il progetto della vigna di Cigliano è ambizioso: sono stati recuperati e ripristinati quasi 6 ettari di terrazzamenti abbandonati da decenni. Un territorio, come i Campi Flegrei, per composizione orografica, non può che essere coltivato a terrazzamenti: il dissesto idrogeologico, lo stesso bradisismo e la mancata cura, anche solo per un anno, sono causa della scomparsa degli stessi. Il salvataggio di questi terreni è dunque non solo un’operazione enologica e agronomica ma, anche una fondamentale attività culturale di salvaguardia della storia e recupero del paesaggio flegreo.
La vigna, circondata dai resti dell’archeologia flegrea, s’impregna degli sbuffi sulfurei della Solfatara e testimonia secoli di storia e cultura non solo viticola.
Su questi terreni di matrice vulcanica, sciolti, sabbiosi e ricchi di sostanze organiche, nasce Vigna Cigliano Bianco Dop, un blend di Falanghina, Bombino, Greco, Verdeca e Montonico. La 2020 è la prima annata di produzione. Cinque vitigni allevati sulla collina dove, in epoca prefillosserica, tra i filari della collina flegrea, fiorivano queste stesse varietà.
La vigna si trova a 250 metri sul livello del mare ed è esposta a Est-Ovest. La vendemmia è avvenuta a metà settembre. L’annata 2020 ha fatto registrare un inverno mite con piogge moderate e germogliamento regolare a metà aprile. La primavera, inizialmente più calda della media e con poche precipitazioni, ha visto un breve calo termico a fine maggio, causando lievi rallentamenti nella fioritura e allegagione. L’estate ha seguito un andamento tipico degli ultimi vent’anni, con caldo stabile da giugno a settembre, interrotto solo da fasi più torride. Temperature e piogge risultano simili al 2019. L’andamento è praticamente sovrapponibile a quello dell’estate 2019, come rilevano la media delle temperature massime e delle precipitazioni.
Il vino fermenta per il 90% in acciaio e per il 10% in barrique di rovere francese di secondo passaggio. Segue affinamento di 12 mesi sulle fecce fini con regolari batonnage.
L’annata 2020 ci restituisce un vino fresco e ben equipaggiato per future evoluzioni, grazie alla robusta trama acida, alla vivace spalla sapida e al bilanciato grado alcolico.
Il calice si presenta giallo paglierino carico con brillanti e marcati riflessi dorati. Al naso un’esplosione di ginestra e fiori gialli, seguita da sbuffi balsamici. Al palato freschezza e esuberante sapidità se la giocano in buon equilibrio con la struttura (13%). Olfatto e gusto sono perfettamente allineati. La mineralità, propria di questi suoli, governa il sorso caratterizzato anche da note tioliche (composti aromatici varietali responsabili dei sentori di agrumi e frutto della passione). La chiusura, lunga e persistente, si distende con una piacevole e tipica nota iodata, caratteristica della Falanghina Flegrea.
Per Vigna Cigliano 2020, ho scelto un abbinamento “pasquale” cucinato da me: Fettuccine all’uovo, con pesto di fave, menta e basilico, pancetta croccante e pecorino Romano fresco. …. La ricetta: in un tegame mettete olio Evo (il mio, biologico dal Pollino) e pancetta a dadini, attendete che diventi croccante, toglietela dal tegame e asciugatela su carta assorbente. Nel mixer: fave fresche, olio Evo, 1 spicchio d’aglio, pecorino e parmigiano Reggiano grattugiato, qualche fogliolina di basilico e menta. In acqua bollente salata, cuocete le fettuccine. Scolatele 2 minuti prima della cottura prevista, versatele nel tegame con l’olio, a fiamma lenta, aggiungete il pesto di fave e acqua di cottura, mantecate. Impiattate, aggiungendo la pancetta croccante tenuta da parte, una spolverata di pecorino e pepe a piacere.
Prezzo medio in enoteca 18,00 -20,00 €
Cantine Federiciane affonda le radici nel passato ma. ha saputo evolversi, realizzando il giusto mix tra storia, tradizione e modernità, grazie al passaggio generazionale programmato e ben riuscito.
Da questi miei lunghi giri tra i Campi Flegrei, traggo una riflessione: il sacrificio, la passione, l’abnegazione, l’etica e la competenza tecnica, che ho trovato nei vignaioli di questa meravigliosa terra, potrebbero essere la leva per sfruttare al meglio la straordinaria combinazione – unica al mondo – tra capacità umana e genius loci. Forse, un giorno ci renderemo conto che abbiamo tra le mani una macchina di eccezionale potenza che, ahimè, continuiamo a guidare come un calesse tirato da ciucci (con tutto il rispetto per i ciucciJ
In cantina è stata avviata anche un’interessante attività di accoglienza enoturistica in Vigna Cigliano con due percorsi, uno Classic e uno Premium, secondo la tipologia di wine experience prescelta. Entrambi i tour sono acquistabili online.
Cantine Federiciane 1951, Via Antica Consolare Campana 34, Marano di Napoli 80016 (Na) 081. 576 52.94 www.federiciane.it Ettari: 10 di proprietà, 5 in affitto, 25 in gestione. Bottiglie: circa 350.000. Vitigni: Falanghina, Greco, Bombino, Verdeca, Fiano, Piedirosso, Aglianico, Marsigliese, Sciascinoso, Primitivo. Enologo: Luca Palumbo