Centomoggia di Terre del Principe


I produttori di vino si dividono tra commercianti e viticoltori, i primi devono inventarsi le storie adatte per vendere un prodotto senza anima, gli altri possono affidare al bicchiere il racconto della loro fatica tra i vigneti, quando la mattina il primo pensiero è guardare cosa riserva il cielo alla terra. Non bisogna aver fatto corsi per sommelier o essere grandi esperti per capire se nel vino c’è il produttore, basta berlo. Ecco perché quando aziende di tradizione bianchiste si inventano i rossi per inseguire la moda in genere fanno un cattivo servizio a se stesse. Nei vini di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli (giornalista del «Mattino») non c’è solo la loro grande passione per l’agricoltura ma soprattutto l’amore che sarà spillato a giugno con il loro matrimonio tra le barrique di Terre del Principe. Un crescendo rossiniano, prima Le Sèrole e il Fontanavigna della vendemmia 2003 fatti con il pallagrello bianco, poi, quest’anno, uno dopo l’altro sono usciti i rossi dalla cantina: il Castello delle Femmine blend di pallagrello nero e casavecchia dall’incredibile rapporto tra qualità e prezzo, poi l’Ambruco, pallagrello nero in purezza che ha bisogno ancora un po’ di elevamento in bottiglia, infine il Centomoggia che rappresenta la massima espressione mai raggiunta dal casavecchia, un vitigno finora capace di piacerci ma non di stupirci. Invece questo rosso pensato da Moio e coccolato con cura da Peppe, Manuela e da Masina, ci ha impressionato in primo luogo per la grande pulizia olfattiva che consente di sentire ben distinte la china, la concia, il tabacco, le note balsamiche, in un incredibile valzer di aromi. In bocca le premesse sono rispettate, non c’è la morbidezza dei vini storditi in stile australiano dal legno e purtroppo imitata subito in Italia, l’ingresso è intenso, ben equilibrato, il vino si irraggia in tutto il palato presidiandolo a lungo anche dopo, segno di una struttura solida e di tannini lavorati con sapienza. Bisogna solo aspettare per capire le potenzialità regalate dall’invecchiamento: una magnum 2000 di casavecchia ha dato buoni risultati, la freschezza rivelata sin dal colore rosso rubino non lasciava dubbi sulla tenuta. La primavera di Caserta, e della Campania, continua dunque grazie a questo fantastico tridente di uve che ha completamente rivoluzionato la viticoltura sulle colline Caiatine: ormai sono oltre una decina le aziende impegnate a lavorare pallagrello e casavecchia sul territorio, conferma di un cambiamento compiuto, proprio come avvenne in Irpinia nel dopoguerra con aglianico, fiano e greco. Se ne discute domani mattina alla Fattoria Selvanova a Castel Campagnano, per la prima volta ci saranno tutti i produttori e anche questo è un piccolo segno di speranza. Così parlò Plinio il Vecchio.

20 maggio 2005