Cilento, Colline Pellaresi


di Enrico Malgi

Piccole vigne crescono. Nel Cilento riesumato, rinato, riscoperto e rivalutato, il maggior numero delle aziende vitivinicole è composto da minuscole entità territoriali, frammentate e parcellizzate più che nella Borgogna post-rivoluzionaria. Qui, purtroppo, non esiste il concetto di associazionismo cooperativistico, come in altre zone regionali o nazionali. Per la verità, alcuni anni orsono ci fu un timido, sperimentale tentativo, con la fondazione della Cantina Sociale di Rutino, che dopo pochi anni dovette chiudere i battenti per sopraggiunte difficoltà economiche, e non solo. La mentalità non si cambia…!
Nel comune di Moio della Civitella vicinoVallo della Lucania, e precisamente alla frazione Pellare, esiste un’unica azienda vitivinicola che opera in modo imprenditoriale e associativo. Tra queste dolci e panoramiche colline (“Bacchus amat apertos colles”) insiste un microclima perfetto.

I vigneti godono di un’ottima esposizione, piantati su un terreno di natura argillosa. Una costante brezza che soffia dal mare, in linea d’aria molto prossimo, passa carezzevole tra i grappoli e li asciuga, spazzando via così pioggia, umidità e muffa. Non manca poi una buona escursione termica tra il giorno e la notte e anche un prolungato soleggiamento nell’arco dell’anno. Il “terroir”, quindi, esprime ottime potenzialità ed è proprio l’ideale per produrre uve sane e succose.


La viticoltura da queste parti ha radici antiche e profonde. Basti pensare che nel locale Museo della Civiltà Contadina, tra i tanti documenti conservati, è stata rinvenuta una vecchia scrittura del notaio Francesco Antonio Valletta. In essa si afferma che in data 30 aprile 1571 un tale Cesare Longo (fratello di Maria Beatrice Longo, fondatrice dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli) aveva venduto il suo vino di Moio della Civitella alla Corte Vicereale di Napoli.  Esso era molto rinomato all’epoca, tanto da superare perfino la fama del vino del Vesuvio! Altro documento reperito in loco mette in risalto un evento del 1900, quando il segretario comunale Giovanni Alario, proprietario di vasti vigneti, volle partecipare all’Esposizione Mondiale di Parigi con il suo vino. Ebbene egli ottenne un clamoroso exploit, conquistando la medaglia d’oro di prima classe!

L’azienda agricola Colline Pellaresi nasce dall’entusiasmo di quattro giovani uniti in società, con il lodevole intento di voler rivalutare e riportare agli antichi fasti del passato la tradizione vitivinicola di questo territorio. Con tenacia e forte attaccamento alla coltura della vite, questi lontani figli del popolo degli Enotri hanno conseguito con il loro lavoro risultati encomiabili. I vini che si producono sono soltanto tre e sono accomunati dallo stesso nome: Tòcula, che si rifà all’espressione vernacolare locale “bere a tòcula irìto”. Cioè, dopo aver deglutito una sorsata, bisogna agitare la mano che regge il bicchiere in senso anti-orario, e ripetere questa operazione fino a godere dell’ultima goccia di vino che sta in fondo.
I vini, ricavati da vigneti posizionati a Pellare nelle località di Anghirri e Mulinieddo, sono due rossi e un bianco.

Il primo è fatto solo con uve di Aglianico in purezza, sotto la denominazione Cilento doc e il nome Tòcula è accompagnato dalla dicitura Barriques. Questo perché, dopo la sosta in acciaio per alcuni mesi ove si attiva anche la fermentazione malolattica, questo vino finisce di maturare nelle piccole botti francesi di 225 litri, chiamate appunto barriques, per 12 mesi. Il colore è di un rubino vivido e brillante. Al naso si colgono aromi di frutta rossa matura, come la ciliegia, la prugna e il ribes. La bocca rileva note speziate e vanigliate, con una trama tannica che, dopo i tempi di affinamento, si stempera in una bella estensione papillare.

Il rosso base, denominato Campania igt, è composto da una miscellanea di Mangiaguerra e Guarnaccia, tipici vitigni cilentani, ed è molto godibile.

Il vino bianco, anch’esso sotto la denominazione Campania igt, è un uvaggio di Malvasia e Moscatella. Ha una cromaticità lampeggiante e tendente verso un paglierino carico. Il naso risente dell’aromaticità dei due vitigni ed esprime, quindi, un effluvio erbaceo di salvia e timo. Il gusto richiama i sentori aromatici, già percepiti al naso, e rende la bocca appagante. Il retrogusto è abbastanza ampio e gradevole.
Speriamo che questo singolo caso di collettivismo locale sia di esempio ad altri viticoltori, se si vuole progredire e produrre vini di qualità a basso costo per essere poi concorrenziali sul mercato. Tenendo sempre presente, comunque, il contesto territoriale dove ci si trova, il quale è storicamente vocato alla coltura della vite, come si è visto.

Sede a Moio della Civitella – Frazione Pellare – Via Alcide De Gasperi, 1 – Tel. 3391804997 – www.collinepellaresi.com [email protected] – Responsabile di produzione Luigi Ruggiero – Ettari di proprietà 6 – Bottiglie prodotte circa 10.000 – Vitigni: aglianico, mangiaguerra, guarnaccia, malvasia e moscatella.

8 Commenti

  1. Bravo come sempre, Enrico. Ma l’auspicio con il quale concludi il tuo post “produrre vini di qualità a basso costo” rappresenta una contraddizione in termini. La qualità difficilmente va a braccetto con i costi, soprattutto in realtà associative quali cooperative o consorzi oppure società. Soprattutto da noi al sud, dove vige la pessima usanza del “fotticompagno”. Già ho scritto su questo blog della mia, a dir poco, negativissima esperienza di viticultore nell’unica cooperativa vitivinicola dell’Irpinia, ormai boccheggiante, per la disonestà di chi la amministra. Io ne sono uscito, anche se mi lecco ancora le gravi ferite, ma tanti altri sono tutt’ora sotto le grinfie di personaggi che pur di maneggiare uve e quindi soldi, non evitano di produrre i soliti “vini da prezzo ” di scarso pregio , quindi facilmente vendibili nella grande distribuzione e nella ristorazione di bassa qualità. E’ questo quello che auspichi per il tuo amatissimo Cilento? Non credo !!!

    1. infido tornatore …… perche’ non chiamare quella pessima usanza ” fotticamerata” ? cosi’ tanto per vedere l’effetto che fa :-)

  2. @Lello, come al solito, hai perfettamente inquadrato il problema e saggiamente metti in guardia coloro i quali si avventurano in simili performance. Certamente non è mio intendimento quelllo di consigliare dal mio piccolo osservatorio la soluzione che tui vaticini. Semmai è il contrario. Se riflettiamo un attimo come viene e da chi viene prodotto il vino in Campania ci accorgiamo che esistono le grandi aziende a livello nazionale ed anche internazionale, ubicate proprio dalle tue parti, che vendono milioni di bottiglie ad un costo accessibile e con un buon rapporto qualità-prezzo. Poi ci sono aziende medie con un buon fatturato annuo e che riescono, comunque, a guadagnarci. Esistono alcune cooperative soprattutto nel beneventano che sfornano prodotti molto commerciali e di cui, come affermi giustamente tu “…la qualità difficilmente và a braccetto con la qualità…”, anche se esistono delle eccezioni. come l’azienda che opera dalle parti di Foglianise che esprime ottimi risultati qualitativi, secondo me. Ci sono anche piccole aziende che sono famose e vendono bene. E poi esiste una pletora di mini-aziende, che non fruendo di notorietà e di molte risorse dall’esterno e non trovandosi in un contesto alternativo, sono costrette a produrre bottiglie ad un prezzo non sempre concorrenziale e, quindi, sono destinate al fallimento dopo alcuni anni o a sopravvivvere alla meno peggio. La soluzione, o l’alternativa,sarebbe quella di associarsi fattivamente e seriamente sul modello delle aziende cooperative del Trentino Alto Adige. Qui si ottiene un’ottima produzione qualitativa ad un prezzo onesto e conveniente ed i risultati sono evidenti. Qui da noi, come hai rimarcato, non esiste questa mentalità, per cui io viticoltore produco 10,000 bottiglie all’anno su 4 ettari vitati ad un prezzo maggioritario e non concorrenziale e alla fine dico pure: “Il mio vino è migliore di quello che fa il mio confinante allo stesso modo e praticando gli stessi prezzi”. E se invece ci mettiamo d’accordo seriamente 10, 100, 1000 produttori in associazione non sarebbe meglio? Non si dice che l’unione fa la forza? I costi non si abbattirebbero in tal modo? Non ci sarebbe più visibilità per tutti e, soprattutto, un migliore guadagno? Il piccolo viticoltore della Borgogna, di cui facevo riferimento nel mio post, è molto avvantaggiato rispetto all’emulo irpino o cilentano e, quindi, occorre una soluzione diversa, una sterzata decisa. Mi rendo conto che il discorso è molto complesso e di non facile soluzione, per cui mi fermo qui. Il mio è solo un pensiero del tutto personale e forse anche inattuabile… Abbracci.

  3. Naturalmente volevo dire: “la qualità difficilmente và a braccetto con la quantità”. Mi aspettavo, comunque, una ribattuta di Lello che fino adesso non è arrivata. Ed anche un intervento di Luciano, Marco e qualcun altro su un tema così scottante della produzione vitivinicola regionale in buona parte minimalista. Abbracci.

    1. “Nobile” Enrico, avevo soprasseduto perchè condivido sia la tua analisi che le tue conclusioni. Infatti tu stesso riconosci che tali “nobili” idee, nel nostro sud sono inattuabili… ma aggiungerei con risultati positivi. Questo perchè la cooperazione è comunque presente, ma con quali risultati, è sotto gli occhi di tutti!!! Ti rinnovo la mia stima ed il mio piacere nel confrontarmi con te.

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