Cocciapazza 2001 Montepulciano d’Abruzzo doc Torre dei Beati | Voto 89/100


La vendemmia, otto giorni dopo l'11 settembre 2001, nootare la t-shirt dell'operaio musulmano:) da sx Adriana Galasso

Uva: Montepulciano
Fascia di prezzo: da 5 a 10  euro franco cantina
Fermentazione e matirazione: acciaio e legno

Vista 5  Naso 25 Palato 26 Non omologazione 33

Torre dei Beati, sì  ancora loro,  Coccia Pazza 2001, il primo nato di casa, è capitato per caso o per fortuna nella mia cantina. Dal 2000, anno di nascita dell’azienda,  è cambiato tutto e niente, nel senso che Adriana e Fausto, sono ancora insieme, si amano di più,  fanno ancora vino e la loro filosofia non ha ceduto al mercato. Conduzione biologica e attenzione maniacale a tutti gli aspetti della produzione dalla vigna alla bottiglia. Negli ultimi due o tre anni sono piovuti riconoscimenti dalla critica delle guide, ma, Adriana e Fausto non hanno deviato di una virgola il proprio concetto del fare vino: gli impianti sono quelli ereditati, a tendone con qualche piccola modifica per abbassare un po’ le rese, ma niente concimazioni e arricchimenti dei terreni.

Siamo sulle prime colline ai piedi del Gran Sasso, a valle del torrente Tavo. Qui il terreno è argilloso – calcareo, ricco di scheletro con forti escursioni termiche giorno/notte, già in settembre compare la prima neve; i salti termici conferiscono una decisa esaltazione del corredo dei profumi. Cocciapazza 2001  si presenta di colore ancora rubino vivo con qualche leggera  nota granato, ancora dominato da un frutto vitale,  non mostra segni di appassimento; sì è maturo, magari va verso la marasca sotto spirito, ma, accidenti, è vivo! Una sorpresa spiazzante. In roteazione ha una consistenza decisa, archetti larghi e regolari si muovono sinuosi  e lenti nel bicchiere non molto fitto: media trasparenza. L’attacco  è di prugna molto matura, quasi californiana, a seguire leggeri ricordi agrumati su sottofondo balsamico. Man mano che il vino si apre comincia la danza delle spezie: si alternano, caffè, cioccolato, liquirizia, tostato, Il naso è  seducente, magari mi dico, al palato cadrà… niente paura, il gusto regge perfettamente il quadro olfattivo, la coerenza mi meraviglia, son passati quasi 12 anni,  La beva è  intrigante, si torna con piacere al  bicchiere, il sorso è sapido e persuasivo, carico e  ben articolato;  tra durezza e morbidezza fa capolino la sapidità,  non dimentichiamo che l’Adriatico è a due passi,  circa 20 km.  Il tannino è ben imbrigliato, setoso  con il calore alcolico  (14 °C) bilanciato. Freschezza e sapidità si fondono piacevolmente con la lunga e complessa persistenza aromatica, che termina in note di cioccolato cremoso.

Il vino viene dalla a vigna di contrada Poggioragone, in passato chiamata Cocciapazza, piantata nel 1972 a tendone, siamo a 270 metri, sui primi speroni collinari che svettano  verso i quasi 3000 metri del  Gran Sasso. La particolare posizione fa sì che la vigna risenta costantemente durante il giorno dell’aria temperata proveniente dal mare, e la notte del freddo che scende dalla montagna. Qui il  tendone, si preferisce chiamarlo pergola abruzzese ,come a rivendicarne una vocazione qualitativa contro il pensiero comune , che lo vuole  in un impianto unicamente da super-produzioni. Questo tipo di conduzione, se gestita con equilibrio, può dare uve di grande qualita’, con il “limite”  che non esistono possibilità di meccanizzazione. Dopo la fermentazione  in acciaio per circa 30 giorni, il vino passa in  barrique per il 70% nuove , per circa 20/22 mesi. Da affare il prezzo in enoteca tra i 15 e i 17 euro. Cocciapazza si  beve  su  paste ripiene e timballi, agnello e capretto variamente cucinati, cacciagione, formaggi mediamente piccanti e stagionati, o, in un momento di folle estasi, a solo, ma questo vale solo per i veri “coccia pazza” :-)

2001, il tavolo di cernita del coccia pazza in fondo a dx con il cappellino Adriana, allora come oggi

“Affiorano tanti ricordi – mi racconta Fausto –  “la nostra prima bottiglia, il  Montepulciano base, uscì nel 2000.
Nel 2001 decidemmo di fare la prima selezione, il Cocciapazza, che chiamammo con il curioso vecchio nome della contrada di Loreto Aprutino dove abbiamo la vigna.
Individuammo i due ettari migliori della vigna, piantati nel 1972, e, al momento dell’ invaiatura , diradamento dei grappoli  a tutta forza. L’annata  2001 è  una delle piu’ belle che io abbia vissuto, i grappoli erano perfetti e il tempo  bellissimo per tutta la durata della vendemmia. Nella parcella destinata al Cocciapazza facemmo due raccolte scalari, vini ottimi in entrambe le fermentazioni, ma il tocco in piu’ venne dalla fortuna di quella straordinaria vendemmia. Decidemmo di lasciare  qualche grappolo, uno o due per pianta, raccogliemmo 15 giorni dopo, l’uva era incredibile. Quella estrazione che avviene normalmente in cisterna durante la macerazione con le bucce era praticamente gia’ avvenuta sulle piante, all’aperto e con quelle forti escursioni termiche di fine ottobre tipiche della nostra zona. Unimmo il vino di questa ultima fermentazione a quello ottenuto dalle vendemmie precedenti e questo rafforzò di molto il carattere del Cocciapazza 2001. Dopo 14 mesi di barrique nuova e qualche mese di bottiglia uscirono nell’autunno 2003 , 16000 bottiglie. Cocciapazza 2001 fu il nostro primo vino importante, figlio di questa straordinaria annata interpretata con tutto il nostro entusiasmo e la nostra ingenuità  di vignaioli novizi, innamorati della nostra terra. Ricordo ancora le acrobazie a cui eravamo costretti nella nostra prima micro cantina”. …
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scheda di Giulia Cannada Bartoli

Sede legale: Via Adriatica Sud 89, 66023 Francavilla al Mare (Ch). Vigneti e cantina: Contrada Poggioragone 56, 65014 Loreto Aprutino (Pe) tel . 085. 49 16 069,  333.3832344 fax www.torredeibeati.it, [email protected], Enologo: Giancarlo Soverchia. Ettari di proprietà  25 . Bottiglie prodotte 90.000. Vitigni: Montepulciano d’Abruzzo e Pecorino

Un commento

  1. il vino è veramente buono e la scheda gli rende giustizia. ho notato però che non sempre il prezzo di vendita è quello segnalato. un eccessivo ricarico finisce col danneggiare sia il produttore che l’enotecario.

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